2021-12-08
Gli intellò si danno alla caccia al dissidente
Per Piergiorgio Odifreddi, pensatori come Massimo Cacciari o Giorgio Agamben, criticando le misure del governo, «coprono le becere rivendicazioni dei no vax» Per Massimo Recalcati sono degli eterni adolescenti, vanesi in cerca di visibilità. Ogni mezzo è buono per scomunicare chi non si allinea.La pandemia e l’emergenza senza fine hanno permesso a molti intellettuali italiani di compiere un salto di qualità. Essi hanno abbandonato gli appelli, le raccolte firme e i comunicati supponenti per dedicarsi a tempo pieno a un’attività più salutare, quasi ginnica: l’invettiva. Che cosa è cambiato? Facile: da quando è concesso imporre con una certa violenza il pensiero unico, gli illuminati progressisti si sentono finalmente al comando. Non sono più il manipolo di incompresi che guarda con sdegno al popolino schieratosi a destra. No: sono i ferri di lancia del nuovo regime. Il fatto di essersi (come sempre) uniformati alla narrazione prevalente ha concesso loro di spadroneggiare anche al di fuori del ristretto ambito libresco in cui fino a ieri erano confinati: sono al potere, e non vogliono mollare lo scettro. Si sentono espressione della maggioranza, quindi si prendono il diritto di infierire brutalmente su chi non si adegua.Prendiamo ad esempio il matematico Piergiorgio Odifreddi, uno che non ha mai amato molto i dogmi della fede cristiana ma è prontissimo a prostrarsi di fronte alle supreme Verità esposte dalla Cattedrale Sanitaria. Egli non ha timore di fare nomi e cognomi dei nemici del popolo: Agamben, Cacciari, Freccero, Mattei. Costoro sarebbero colpevoli di offrire «copertura alle becere rivendicazioni dei no vax e dei no brain, che a loro volta vengono cavalcate dai partiti di destra». Odifreddi accusa gli oppositori - tutti dichiaratamente di sinistra - di essere spocchiosi, di preferire la «cultura umanistica» a quella scientifica, e di essere in fin dei conti dei fascistoni. È grazie a gente del genere, afferma il matematico, che ancora oggi si continua a «(non) educare i giovani nella maniera che piaceva a Mussolini un secolo fa».Anche Massimo Recalcati, sempre sulla Stampa, se la prende con la minoranza di filosofi, giornalisti e commentatori critici verso la gestione della pandemia. Li accusa di comportarsi come bambocci, poiché «solo gli adolescenti rivendicano il diritto di critica permanente senza gestire alcuna responsabilità». Provando a confondere le acque, il noto psicoanalista punta il dito contro «l’aristocraticismo inguaribile tipico soprattutto della sinistra intellettuale: il popolo non è il popolo, ma il popolo siamo noi che parliamo del popolo». Curiosamente, tale «aristocraticismo» andava benissimo finché gli intellettuali passavano il tempo a prendere a legnate populisti e sovranisti (forti di un ampio sostegno popolare).In ogni caso, Recalcati non risparmia fendenti. Egli bastona e ridicolizza le figure del dissenso: «Il vecchio saggio che perde la bussola, i filosofi anti sistema che non perdono una sola occasione di mostrarsi sullo schermo, il medico che critica la scienza ufficiale nel nome di cure alternative improbabili, il personaggio televisivo in declino che cerca la sua ribalta, la giornalista no vax che evoca l’incresciosa somministrazione del vaccino ai nostri figli, politici senza alcuna rappresentanza che contrastano le tesi di scienziati trasformandosi in virologi provetti, ecc.». Non pago, lo psicoanalista attacca pure le televisioni che «pur di fare audience» cavalcano «irresponsabilmente la tigre di carta del legittimo dissenso della minoranza soprattutto laddove essa sa raggiungere i toni più esilaranti della commedia all’italiana». E anche questo è piuttosto curioso, dato che praticamente tutti i programmi televisivi si sono schierati sul versante filogovernativo, sfornando a ripetizione servizi contro i perfidi no vax.A ben vedere, sia Odifreddi sia Recalcati agiscono secondo modalità per nulla inedite: assaltano gli intellettuali dissidenti con gli stessi toni e gli stessi argomenti utilizzati dall’intelligencija sovietica. Riepiloghiamo i capi d’accusa: i nemici del popolo sono bambini che non sanno rispettare le regole; sono egolatri in cerca di visibilità a ogni costo; non rappresentano davvero il popolo, ma tentano soltanto di sfruttarlo; non sono colti come vorrebbero far credere e, in definitiva, sono fascisti o fanno il gioco dei fascisti.Basta una rapida ricognizione per rendersi conto che, dal secondo dopoguerra a oggi, gli intellettuali progressisti hanno sempre sfruttato questo genere di retorica per schiacciare gli avversari. In Urss, ovviamente, il meccanismo raggiungeva i più spaventosi estremi, ma più o meno ovunque operasse l’ortodossia comunista la mannaia calava altrettanto rapidamente, magari con appena meno brutalità. Lo dimostra molto bene il filosofo francese Michel Onfray in un bel libro intitolato Coscienze ribelli (Ponte alle Grazie). Onfray esamina il rapporto fra Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Mentre il secondo era tormentato, anarcoide e libertario, il primo incarnava la definizione stessa di «intellettuale impegnato». Benché avesse scritto per le riviste collaborazioniste all’epoca di Vichy e non avesse visto la resistenza nemmeno in cartolina, Sartre si era rifatto una verginità (attraverso una fitta rete di menzogne e omissioni), si era venduto come «antifascista» d’acciaio e in breve tempo – raggiunto il successo – si era trasformato in un custode del Verbo rosso.Nel 1951, Camus pubblicò da Gallimard L’uomo in rivolta, un libro che – come sintetizza benissimo Onfray - «critica la collusione tra il millenarismo marxista e i campi sovietici, analizza il ruolo svolto dalla dialettica hegeliana nella genealogia del socialismo del filo spinato, denuncia un nesso tra la religione della storia e la benedizione dei gulag». Un simile attacco al comunismo – da sinistra, per altro – non poteva essere tollerato da Sartre, che pure si professava grande amico di Camus.Il simpatico Jean-Paul si prodigò in tutti i modi per fare a pezzi il «nemico interno»: nel maggio del 1952 commissionò a un suo adepto (Jeanson) una bestiale stroncatura del libro di Camus per la rivista Les Temps Modernes. Il succo dell’articolo, riassume Onfray, era il seguente: «Poiché era piaciuto alla destra, il libro doveva necessariamente essere di destra». Nulla fu trascurato per infangare Camus: «l’insulto, la calunnia, il disprezzo, l’attacco ad hominem». La sua proposta di sinistra antimarxista non doveva «neanche essere presa in considerazione per non essere discussa». Camus fu accusato di non essere un pensatore raffinato, di non conoscere i classici della filosofia, di godere dei (pochi) difetti del socialismo reale, di essere (proprio lui che inorridiva all’idea dei gulag!) un sostenitore del totalitarismo e – alla fine dei conti – un uomo di destra o addirittura un fascista mascherato. Vedete? Si torna sempre lì: chi si oppone è un ignorante, un egoista, un destrorso, un parassita da spappolare. Le sue tesi non vanno mai discusse, al massimo liquidate con un sogghigno. E se il malcapitato si lamenta, si parte con una nuova scarica, lo si dipinge come un piagnone, una macchietta che si crede chissà chi. Sì, forse Odifreddi ha ragione: qui si studiano poco le scienze. A quanto pare, tuttavia, si studia poco anche la storia. Quella che oggi si ripropone sotto forma di farsa, ma con la stessa ferocia di sempre.
Giusi Bartolozzi (Imagoeconomica)
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