2022-09-19
Insalata di riso. Il piatto unico che sazia anche chi fa una dieta
La ricetta tradizionale di Ferragosto e delle scampagnate estive è più sana perfino della variante in bianco. Merita di essere riabilitato l’uso del «parboiled»: Gualtiero Marchesi lo impiegava senza timori. Per raffreddarlo dopo la cottura meglio sciacquarlo: in questo modo sparirà molto amido «volatile» e si abbasserà l’indice glicemico.i consigli per una preparazione perfetta delle insalate di riso.Lo speciale contiene due articoli.Se continueremo ad avere temperature a questi livelli, potremo cantare la nota canzone dei Righeira, L’estate sta finendo, a dicembre. In questa lunghissima estate calda, non appare tardivo l’esame di una ricetta nostrana molto amata e rinfrescante: l’insalata di riso. Anche detta «riso freddo», in condizioni di caldo normale scompare dai menu a fine agosto per riapparire l’estate successiva. Mangiandosi fredda di frigo, ha lo stesso destino della pasta fredda, del gelato o del ghiacciolo: un uso stagionale. In più, però, rispetto ai precedenti, ha una brutta fama. Certo, esiste un grande numero di estimatori del piatto, i quali possono persino festeggiare la Giornata mondiale dell’insalata di riso (l’8 luglio). Ma ci sono pure detrattori che ciclicamente la descrivono come una porcheria e si moltiplicano le varianti che vorrebbero «nobilitare» un piatto «colpevole» di essere popolare. Forse questa ostilità nasce anche dal fatto che questa specialità è associata al preparato per insalata di riso, conserva che molti indicano con spregio come industriale, ma che, in realtà, oggi è la versione industriale di una conserva che più tradizionale non si può, la giardiniera. Nel preparato per insalata di riso, alla giardiniera, cioè cavolfiore, carota, sedano e peperoni sottaceto, sono aggiunti funghetti, mais, fagiolini, cipolline, olive, carciofini. Che si aggiungerebbero comunque, nella preparazione casalinga di un’insalata di riso, a una giardiniera fatta in casa. viva la giardinieraDa dove arriva questo piatto buono, bello e colorato? Ricostruire la storia dell’insalata di riso è difficile. Alcuni operano un parallelo con la paella, suffragato dal fatto che entrambe accolgono tante categorie di ingredienti oltre al riso. Anche il collegamento con il taboulé da una parte sembrerebbe calzare, ma dall’altra sembra decisamente tirato per i capelli, accogliendo l’insalata di riso ingredienti proteici, oltre alle verdure tipiche del piatto libanese. La nostra ricorda anche il riso alla cantonese, che però è anch’esso caldo, e si è affermato in Italia con l’avvento dei ristoranti cinesi, quando ormai l’insalata di riso era già un classico del pranzo di Ferragosto. Insomma, l’origine è ignota, ma questo piatto spopola nel secondo cinquantennio del Novecento, affermandosi prima come ricetta, poi come prototipo da modellare a piacimento. Considerata da tanti uno «svuotafrigo», l’insalata di riso è vittima di vari pregiudizi, tra cui quello sul riso parboiled utilizzato per prepararla, che secondo alcuni sarebbe di qualità non sopraffina. In realtà, il parboiled non è una schifezza e soprattutto non è una varietà di riso. È un trattamento a cui sono sottoposti tanti tipi di riso, compreso il Carnaroli. Non a caso, nella ricetta Insalata di riso, filetto di manzo e salsa soia, Gualtiero Marchesi usa il riso parboiled. La parola parboiled è crasi di «partially boiled», cioè «parzialmente bollito». A dispetto della definizione, il parboiled non è precotto, il trattamento parboiling lo rende adatto a cotture prolungate (è il cosiddetto «riso che non scuoce»). Il trattamento prevede idratazione del riso grezzo in acqua calda, vaporizzazione ed essiccazione. Ciò gelatinizza l’amido, arricchisce i chicchi di vitamine, minerali e proteine, che passano dagli elementi che poi verranno separati con la raffinazione al chicco, aumenta il tempo di conservazione del riso sia prima sia post cottura e riduce l’assorbimento dei condimenti (quindi si può condire un filo meno, se si è a dieta).dispute interminabiliComunque sia, le dispute sull’insalata di riso continuano a essere tantissime, e molto diffuse. Si sprecano infatti i tentativi di «nobilitare» questo piatto tradizionale, anche se non ce ne sarebbe bisogno. C’è appunto chi suggerisce l’utilizzo un «riso buono», ad esempio il Carnaroli non sottoposto a trattamento parboiled. Il Carnaroli è in effetti ottimo per i risotti, ma lo è altrettanto freddo in insalata, anche se non pretrattato parboiled. Altri invece insistono sull’utilizzo del riso integrale (nel caso in cui voleste usarlo, sciacquatelo e mettetelo a cuocere da freddo), ma a noi sembra che così appesantiscano gusto e piatto. Se non si questiona sul tipo di riso, lo si fa sul trattamento al quale sottoporlo, in primis sul raffreddamento. Per alcuni non bisogna assolutamente sciacquarlo, secondo noi invece sciacquare aiuta a freddare il riso velocemente nel più semplice modo possibile, e poi elimina quell’amido «volatile» che nell’insalata non ci serve. Sciacquare dall’amido abbassa anche un po’ l’indice glicemico, anche se l’insalata di riso non ne avrebbe bisogno. A dispetto della negatività che le attribuiscono alcuni, dal punto di vista dietetico l’insalata di riso presenta infatti una serie di elementi positivi rispetto a un semplice piatto di riso in bianco. Il dietologo attento all’indice glicemico sconsiglia di mangiare solo riso bianco, magari in grandi quantità: è percepito come pasto leggero, ma a ben vedere non lo è. L’indice glicemico del riso bianco è infatti 89. Come spiega l’Istituto superiore di sanità, «l’indice glicemico esprime la rapidità con cui gli alimenti contenenti carboidrati fanno aumentare la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia). I carboidrati per essere assorbiti e passare nella circolazione sanguigna devono essere trasformati in glucosio dagli enzimi digestivi. L’aumento della glicemia testimonia il livello di assorbimento del glucosio alimentare. Generalmente, alimenti che fanno aumentare la glicemia in modo rapido hanno un alto indice glicemico, quelli che la fanno salire in modo più graduale hanno un indice glicemico basso». glucosio nel sangueE ancora: «È importante, però, chiarire che l’indice glicemico non tiene conto di quanto si alzano i livelli di glucosio nel sangue ma solo della velocità alla quale questo avviene. Per questo motivo, un altro parametro da considerare, forse anche più importante dell’indice glicemico, è il carico glicemico che tiene conto della quantità di alimento che è stata mangiata. Il carico glicemico si ottiene molto facilmente moltiplicando l’indice glicemico per i grammi di carboidrati contenuti nella porzione dell’alimento che è stata consumata».L’indice glicemico basso va da 10 a 40, il medio da 40 a 70, l’alto da 70 a 100. Un modo per abbassare l’indice glicemico di un piatto è inserire proteine e fibre. L’insalata di riso nella sua ricetta canonica, con i suoi tocchetti di formaggio e di tonno, le carote e il cavolfiore, presenta un indice glicemico molto più basso del solo riso bianco. Ancora: per abbassare l’indice glicemico del riso bianco, il dietologo consiglia anche di sciacquarlo ante e post cottura per diminuire l’amido. Beh, è esattamente ciò che si fa nell’insalata di riso sciacquando il riso dopo la cottura. In quel caso l’obiettivo è evitare che i chicchi di riso si incollino gli uni agli altri ed eliminare l’amido che hanno addosso aiuta. Ora sappiamo che questo rende il piatto più performante anche dal punto di vista glicemico e perciò sciacquare il riso per l’insalata, dopo la lessatura, ha molto più senso che diminuirne la temperatura tramite altri metodi che alcuni consigliano. Sciacquatelo, volendo, anche prima di lessarlo e ricordatevi che sciacquandolo sotto l’acqua corrente lo freddiamo e in più gli togliamo l’amido. Fondamentale per l’insalata di riso è poi l’apporto delle verdure sottaceto. L’aceto gli conferisce quel particolare gusto e aiuta a conservare meglio il riso freddo: si aggiunge un po’ di aceto, giapponese, anche nella preparazione del sushi. Qualcuno sostituisce l’aceto con il limone, ma se seguite la nostra ricetta riportata in queste pagine, non serve aggiungere limone, perché usiamo l’aceto e un po’ di aroma di limone è dato dalla maionese, che lo contiene. infinite variantiLe varianti possibili sono infinite. C’è chi interviene usando parmigiano reggiano o grana padano al posto di emmenthal o leerdammer, chi le vongole al posto del tonno (in teoria si possono usare anche le ostriche), le uova di quaglia al posto di quelle di gallina. E volendo fare i Briatore dell’insalata di riso si potrebbero mettere dadini di Patanegra al posto del prosciutto cotto. Le varie modifiche possono certo avere senso, anche se, secondo noi, l’alchimia dell’insalata di riso classica è insuperabile. Altro aspetto rilevante per la salute è l’impatto dietetico. Di questi tempi vanno molto di moda i pasti completi in piatti unici: la bowl e il poké, il ramen giapponese e la zuppa di noodle cinese. Beh, la nostra insalata di riso è un pasto completo in piatto unico da un bel pezzo, unico piatto-pasto completo freddo italiano insieme con l’insalata di pasta. Ingerito un cibo freddo, l’organismo ne riequilibrerà la temperatura portandolo alla nostra temperatura interna ideale e questo lavorio fa bruciare calorie in più, non tantissime, ma in caso di dieta tutto fa brodo, quindi annotiamo anche questo piccolo risvolto dietetico mentre andiamo a fare i conti in tasca, anzi in ciotola, all’insalata di riso. Per 100 grammi di riso bianco abbiamo 362 calorie, 100 grammi di emmenthal 403 (fontina 343 e lerdammer 373), 100 grammi di sottaceti per insalata di riso 55, 100 grammi di maionese 690, 100 grammi di olio evo 901, 100 grammi di uovo 130, 100 grammi di tonno al naturale 101, 100 grammi di wurstel grandi 270. Rapportando le calorie alle dosi, il conto calorico definitivo (289 + 171 + 14 + 69 + 90 + 78 + 80 + 216) di una porzione di insalata di riso secondo la nostra ricetta è di 1.000 calorie a persona, un pasto completo al quale non occorre aggiungere veramente niente. Se si è a dieta, dimezzare la porzione dimezzerà le calorie e avremo un pasto completo da dieta da 1.200 calorie al giorno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/insalata-di-riso-2658305301.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-consigli-per-orientarsi-nella-preparazione-perfetta" data-post-id="2658305301" data-published-at="1663598036" data-use-pagination="False"> I consigli per orientarsi nella preparazione perfetta Da Il grande libro dei primi piatti. Pasta, gnocchi, riso, zuppe e minestre di Paolo Petroni, Giunti editore, ecco i consigli per preparare alla perfezione il riso per la nostra insalata. I risi ideali per insalate di riso, antipasti, piatti unici, contorni, spiega Petroni, sono: arborio; ariete; baldo (anche pilaf); carnaroli (anche pilaf); gladio (anche pilaf); lido; patna (anche pilaf); ribe; risi «parboiled» in genere. Il riso va sempre mescolato con mestoli di legno. Ecco le istruzioni per le insalate di riso: preparate un riso bianco bollito all’italiana, lavando il riso prima di lessarlo. Scolatelo e freddatelo sotto l’acqua del rubinetto. Sgranatelo con un forchettone e con poco olio. Aggiungete gli altri ingredienti (verdure, pesci, eccetera). Si può preparare anche partendo da un riso pilaf fatto senza burro e senza cipolla (cotto cioè solo con acqua salata). In questo caso, fatelo subito raffreddare aprendolo con un forchettone su della carta d’alluminio. Riso bianco bollito all’italiana, detto anche «all’inglese» (riso bollito in molta acqua e poi scolato): portate a ebollizione mezzo litro d’acqua ogni 75 grammi di riso (ad esempio per 4 persone, 2 litri per 300 grammi di riso) e poi salate. Versate il riso a pioggia e mescolate bene. Fate cuocere, a recipiente scoperto, con l’acqua che bolle appena (non violentemente); girate dopo alcuni minuti e poi ogni tanto. Scolatelo e conditelo subito. Se lo usate per insalate, contorni, timballi o se volete conservarlo, raffreddatelo subito sotto l’acqua fredda. Allargatelo in una teglia o su carta d’alluminio perché rimanga sgranato (è possibile aggiungere un po’ d’olio). Riso pilaf (riso cotto in forno con assorbimento totale del liquido di cottura): in una teglia da forno o in un tegame largo e basso o nell’apposito contenitore di coccio da forno, fate appassire in burro o olio poca cipolla tritata o passata nel mixer (facoltativa). Aggiungete il riso ben lavato (per far perdere un po’ d’amido) e fatelo tostare per circa 3 minuti. Aggiungete il liquido di cottura bollente (il triplo del peso del riso, ad esempio per 300 grammi di riso usate un litro scarso, cioè 900 cc), di solito acqua salata o brodo (vegetale, di pesce, di carne ben sgrassato). Spianate il riso in modo uniforme e coprite la teglia con il suo coperchio o con carta d’alluminio. Mettete la teglia nel forno già caldo (a circa 200 °C) e cuocete per circa 20 minuti. Si può cuocere anche sul fuoco medio, purché si usi un tegame in alluminio pesante o in acciaio inossidabile di ottima qualità e con fondo molto spesso. Togliete dal forno, aggiungete poco burro o olio e sgranate il riso con un forchettone di legno. Se vi serve per insalate di riso, raffreddatelo subito stendendolo su carta d’alluminio.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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