
Sedi del Settentrione sotto organico: gli impiegati vincono i concorsi e poi tornano al Sud. E i disservizi si accumulano.Il governo è impegnato sulla riforma delle pensioni ma, nel frattempo, anche la «macchina» dell’Inps avrebbe bisogno di una profonda revisione. La gestione di Pasquale Tridico, infatti, sta svuotando le sedi del Nord. Prendiamo il caso di Prato, in Toscana. L’allarme è stato lanciato a dicembre dai sindacati: la sede Inps pratese offre servizi a quasi 114.000 lavoratori assicurati, 1.960 lavoratori autonomi e a quasi 60.000 pensionati. Inoltre, gestisce i rapporti previdenziali con oltre 33.000 aziende, più la gestione delle ore di cassa integrazione che, nel 2020, sono state superiori ai 14 milioni. Eppure, la pianta organica dell’Istituto a Prato risulta non solo carente di 19 unità ma rischia di ridursi ulteriormente per 22 mobilità in uscita e tre pensionamenti.Stessa musica a Trieste, dove le carenze di organico raggiungono percentuali non più tollerabili e dove vanno assegnati 20 posti aggiuntivi. I tanti anni di blocco delle assunzioni hanno ridotto drasticamente la forza lavoro interna, che è ora caratterizzata da un’età media lavorativa altissima. A Treviso, la diaspora è iniziata da mesi: il direttore provinciale dell’Inps lo aveva denunciato già a giugno 2022, numeri alla mano: vincono il concorso Inps, vengono assegnati a Treviso, presentano la richiesta di trasferimento nella loro città d’origine - con la legge 104 che dà diritto alla mobilità per assistere un parente invalido - soprattutto in Sicilia, Campania e Puglia. Morale, l’organico nel 2014 contava 349 dipendenti oggi sono 190. E un’altra trentina, sui 59 assunti con l’ultimo concorso di tre anni fa, se ne sono andati perché hanno chiesto il trasferimento a casa. A Torino a fine 2022 è esploso il caso dei ritardi per ricevere il Tfr (o il Tfs per i dipendenti pubblici) che può arrivare anche dopo oltre sette anni. Un altro problema è quello delle pratiche per l’invalidità civile: si arriva anche a sei mesi di attesa a Torino e dieci mesi a Biella. Negli ultimi anni il personale dedicato alla liquidazione del Tfr/Tfs a causa delle forti carenze di organico è stato impegnato in altre attività e l’Inps ha previsto l’utilizzo esclusivo del canale digitale nella trasmissione da parte delle pubbliche amministrazioni dei dati necessari alla liquidazione del Tfs e del Tfr dei dipendenti pubblici, ma solo a partire da quest’anno (finora la digitalizzazione delle pratiche si accavallava con l’uso ancora diffuso dei moduli cartacei). Tra l’altro, nella fase di implementazione è più il tempo che si perde nell’introdurre i nuovi sistemi che i benefici che si ottengono. La situazione è simile ad altre in tutto il Centro e il Nord: a muoversi sono prevalentemente dipendenti del Sud che dopo aver vinto il concorso altrove adesso cercano di tornare più vicini a casa, e in molti casi dopo meno di tre anni dall’assunzione. Il flusso, dunque, aumenterà dal Settentrione alle regioni meridionali e non viceversa. Con il paradosso che molti dei vincitori del penultimo concorso che si sposteranno a Sud ma sono stati formati al Nord, non saranno rimpiazzati nel breve periodo perché i vincitori dell’ultima selezione impiegheranno anni per diventare fungibili. Alcune sedi fanno da centro di formazione, una parte del personale sta due o tre anni e impara, poi se ne va e il gap di preparazione si riallarga. Una soluzione potrebbe essere quella di fare i concorsi su base regionale: se concorri per un posto in Veneto, sai che poi dovrai lavorare lì. Ma va cambiata la legge che agli enti nazionali come l’Inps non lo consente. A inizio dicembre, in un’intervista alla Stampa, lo stesso presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, Roberto Ghiselli, ammetteva che «al Nord, penso innanzitutto a Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, molte persone che vengono da altre Regioni, magari dal Mezzogiorno, dopo un po’ chiedono di essere riavvicinate. In questo quadro poi il Piemonte, e Torino in particolare, hanno livelli di allerta ben superiori alla media visto che il calo dell’organico supera al 26% contro una media nazionale del 20%. Per il personale adesso sono in corso procedure per circa 5.000 assunzioni che da gennaio saranno inserite. Però nel frattempo le uscite continuano per cui questi nuovi inserimenti non saranno sufficienti». Le domande per il nuovo bando di mobilità nazionale vanno presentate dal 24 gennaio ed entro il termine perentorio del 31 (poi le direzioni regionali e di coordinamento metropolitano dovranno concludere l’istruttoria delle domande entro il 7 febbraio). È riservato a chi ha un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e maturato almeno un anno di anzianità di servizio presso l’Inps alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande. Con un’ulteriore eccezione per il personale in forza presso le strutture della Provincia di Bolzano: in virtù delle norme autonomistiche, il trasferimento dal ruolo locale al ruolo generale è vincolato al possesso di «almeno sette anni di anzianità dall’immissione nei ruoli locali e della necessaria ratifica da parte della commissione del personale».
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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