
La Cina calpesta ancora la Chiesa e procede da sola con le designazioni nelle diocesi di Shanghai e Xinxiang. Entrambi i prelati sono espressione di istituzioni controllate dal regime. Un «test» per il futuro Santo Padre.Il regime comunista di Pechino continua a calpestare la Chiesa cattolica in Cina. Lunedì, Asia News ha riferito che, secondo sue fonti, «a Shanghai i sacerdoti, insieme ad alcuni rappresentanti delle suore e dei laici, sono stati convocati per ratificare la scelta del nuovo vescovo ausiliare, avvenuta ieri. Padre Wu Jianlin, attuale vicario generale, è stato scelto con una manciata di voti contrari». «Lo stesso è accaduto oggi nella diocesi di Xinxiang (provincia dell’Henan) con un solo candidato, padre Li Janlin», ha proseguito la testata, che ha poi precisato: «Il metodo è quello consueto, nonostante l’accordo con la Santa Sede sulle nomine episcopali stipulato da papa Francesco». Entrambi i prelati eletti, neanche a dirlo, sono espressione di istituzioni controllate dal regime.Non è chiaro se le due designazioni fossero state programmate prima della morte del pontefice. Tuttavia è significativo, oltreché gravissimo, il fatto che il regime di Pechino abbia deciso di procedere in piena Sede apostolica vacante. Non a caso, secondo Asia News, con questa mossa il Partito comunista cinese punterebbe a «testare» il successore di Jorge Mario Bergoglio proprio in relazione al futuro della controversa intesa sino-vaticana sulla nomina dei vescovi.Parliamo di un accordo che, siglato originariamente nel 2018, è stato finora rinnovato tre volte: l’ultima a ottobre scorso per altri quattro anni. Non è un mistero che il pontificato di Francesco, attraverso soprattutto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, abbia spostato il baricentro della politica estera vaticana da Occidente verso la Cina. Una distensione, quella nei confronti di Pechino, che è stata significativamente caldeggiata da gruppi come la Compagnia di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio. Guarda caso, tra i principali fautori dell’intesa sino-vaticana figurano padre Antonio Spadaro e Andrea Riccardi.Ora, è pur vero che quel controverso accordo è stato ripetutamente giustificato con motivazioni di natura pastorale. Ma è altrettanto vero che non ha dato i frutti che qualcuno sperava. Innanzitutto, il regime cinese ha spesso violato l’intesa. A novembre 2022, la Santa Sede espresse «sorpresa e rammarico» per l’installazione (il suo insediamento nella nuova diocesi, ndr) di monsignor Giovanni Peng Weizhao come vescovo ausiliare di Jiangxi: una diocesi non riconosciuta da Roma. Era, invece, aprile 2023, quando il vescovo Joseph Shen Bin fu installato nella diocesi di Shanghai senza interpellare la Santa Sede. Nel luglio successivo, il pontefice ratificò la nomina a fatto ormai compiuto. Come se non bastasse, a maggio dell’anno scorso, Shen Bin ha preso parte a un convegno in Vaticano in cui, alla presenza di Parolin, ha difeso lo stato della libertà religiosa in Cina, auspicando altresì che la Chiesa cinese possa «seguire un percorso di sinicizzazione». Peccato che la «sincizzazione» sia, nei fatti, un processo di indottrinamento secondo i principi del socialismo a cui da anni, ormai, Xi Jinping ha sottoposto i cattolici cinesi. Tutto questo, senza trascurare che, a inizio aprile, la stessa Asia News aveva riportato l’ennesimo arresto del vescovo sotterraneo, Pietro Shao Zhumin, da parte delle autorità del regime.Insomma, in tutti questi anni Pechino non solo ha più volte violato l’accordo sino-vaticano ma la situazione dei fedeli in Cina non è affatto migliorata. Tra l’altro, la nuova mossa del Pcc, in piena Sede vacante in Vaticano, difficilmente sfuggirà ai cardinali attualmente riuniti nelle congregazioni generali. Si tratta di un quadro complessivo che, in vista del conclave, rischia di mettere in una posizione scomoda tutti quei porporati storicamente favorevoli alla distensione con la Repubblica popolare: non solo Parolin, ma anche Luis Antonio Tagle, Matteo Zuppi e Stephen Chow. Di contro, i cardinali avversi all’accordo cinese potrebbero dare battaglia: ci riferiamo soprattutto a Timothy Dolan, Raymond Burke e Gerhard Müller. Uno storico critico dell’intesa è anche Joseph Zen che, pur non essendo cardinale elettore, si trova attualmente a Roma per le congregazioni generali e martedì ha pubblicato su X una propria foto in preghiera davanti alla tomba di Benedetto XVI: un pontefice che, nonostante un tentativo di disgelo con Pechino, bloccò il processo quando, nel 2012, le autorità cinesi ordinarono un vescovo senza l’approvazione della Santa Sede.E attenzione: la dialettica tra le varie posizioni non riguarda solo la questione della libertà religiosa ma anche dinamiche di natura geopolitica. Pechino ha tutto l’interesse a mantenere in vita l’accordo sui vescovi, pur calpestandolo nei fatti, per accreditarsi maggiormente sul piano politico-diplomatico agli occhi di ampie parti del Sud globale (specialmente Africa e America latina). Dall’altra parte, gli Stati Uniti non hanno mai visto di buon occhio quell’intesa. Sotto questo aspetto, è significativo l’endorsement ufficioso che, l’altro ieri, Donald Trump ha dato al cardinale Dolan: uno dei critici dell’accordo sino-vaticano. L’arcivescovo di New York non solo è, teoricamente, papabile ma, se non dovesse farcela, potrebbe comunque ritagliarsi un ruolo di «regista» in seno al conclave: non bisogna sottovalutare alcune importanti convergenze che si registrano tra la Chiesa statunitense e quella africana.La partita resta ovviamente aperta. Ma le notizie che arrivano dalla Cina destano notevoli preoccupazioni. Forse chi in questi anni ha spinto a favore della distensione con Pechino, non ha reso, alla fine dei conti, un grande servigio alla Chiesa.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






