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2021-12-27
La crescente influenza di Mosca in Africa non piace a Biden e Macron
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Il ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop durante una sua visita a Mosca al suo omologo Sergei Lavrov lo scorso 11 novembre (Ansa)
La longa manus di Mosca si allunga sempre più sull’Africa. Giovedì scorso, sedici Paesi occidentali hanno condannato il dispiegamento di mercenari russi appartenenti al Wagner Group in Mali. In particolare, questo fronte (di cui, tra gli altri, fanno parte Italia, Francia, Regno Unito e Germania) ha puntato il dito contro il “coinvolgimento del governo della Federazione Russa nel fornire supporto materiale allo spiegamento del gruppo Wagner in Mali e [ha chiesto] alla Russia di tornare a un responsabile e un comportamento costruttivo nella regione”. Secondo quanto riferito dalla Cnn, pochi giorni prima “i dati di monitoraggio dei voli hanno mostrato un Tu-154 dell'aeronautica russa in volo verso la capitale del Mali, Bamako, da Bengasi in Libia”.
Non è del resto un mistero che proprio nella parte orientale della Libia si registri una significativa presenza di mercenari russi che sostengono il generale Khalifa Haftar: l'uomo forte della Cirenaica attualmente candidato alle elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi nel Paese il mese prossimo. Non solo: secondo quanto recentemente riferito dall’Alto consiglio di Stato libico sarebbero presenti sul territorio circa 7.000 combattenti appartenenti al Wagner Group. E' quindi fortemente plausibile ritenere che il Cremlino consideri la Libia orientale come una testa di ponte per rafforzarsi nel Sahel. Il Mali, dal canto suo, ha tuttavia respinto l’accusa dei Paesi occidentali. In una dichiarazione diffusa venerdì scorso, il governo di Bamako ha fornito “una smentita formale a queste accuse infondate” di “un presunto dispiegamento di elementi da parte di una società di sicurezza privata in Mali”.
Ricordiamo che, dal 2012, il Mali è funestato da una violenta insurrezione jihadista che si è espansa anche in Niger e Burkina Faso, arrivando potenzialmente a minacciare il Golfo di Guinea. Ebbene, proprio in Mali è militarmente presente dal 2013 la Francia con la missione Burkhane: un impegno che tuttavia Emmanuel Macron ha intenzione di ridurre significativamente entro il 2023. L’inquilino dell’Eliseo avrebbe dovuto tra l'altro recarsi in visita ufficiale in Mali alcuni giorni fa: un appuntamento poi saltato ufficialmente a causa della pandemia, per quanto – secondo Agenzia Nova – le ragioni effettive nascerebbero da alcune divergenze politiche con la leadership maliana (forse dettate proprio dalla questione russa). E’ quindi abbastanza evidente che la Russia – così come la Turchia – stia cercando di approfittare della crescente debolezza francese per espandere e rafforzare la propria influenza nel Sahel.
In tutto questo, appena due settimane fa, l’Unione europea ha comminato delle sanzioni contro il Wagner Group, accusandolo di “gravi violazioni dei diritti umani” e di “attività destabilizzanti”. “La decisione […] mira a porre un freno alle attività sovversive del Wagner Group. Mostra la forte determinazione dell'Ue a difendere i propri interessi e valori nel suo vicinato e oltre e a intraprendere azioni concrete nei confronti di coloro che minacciano la pace e la sicurezza internazionali e violano il diritto internazionale”, ha dichiarato l’Ue. Non solo: Bruxelles ha anche recentemente sospeso la propria missione di addestramento nella Repubblica Centrafricana, sostenendo di temere che il personale militare locale venga poi utilizzato proprio dal Wagner Group. Ricordiamo che Bangui abbia rafforzato i propri legami con Mosca nel settore della Difesa almeno dal 2017.
La questione, insomma, è strutturale. Da una parte, Parigi vede la propria influenza in Africa sempre più impopolare e politicamente traballante: una situazione che – come abbiamo visto – sta spingendo Macron verso un progressivo disimpegno militare. Dall’altra, gli Stati Uniti hanno colpevolmente ignorato – negli ultimi decenni – una solida strategia geopolitica nel continente. Tutto questo ha quindi aperto ampi margini di manovra per Mosca.
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Dal Mali alla Repubblica Centrafricana: la presenza della Russia in Africa si sta notevolmente rafforzando. Una situazione che irrita la Francia e preoccupa gli Stati Uniti. La longa manus di Mosca si allunga sempre più sull’Africa. Giovedì scorso, sedici Paesi occidentali hanno condannato il dispiegamento di mercenari russi appartenenti al Wagner Group in Mali. In particolare, questo fronte (di cui, tra gli altri, fanno parte Italia, Francia, Regno Unito e Germania) ha puntato il dito contro il “coinvolgimento del governo della Federazione Russa nel fornire supporto materiale allo spiegamento del gruppo Wagner in Mali e [ha chiesto] alla Russia di tornare a un responsabile e un comportamento costruttivo nella regione”. Secondo quanto riferito dalla Cnn, pochi giorni prima “i dati di monitoraggio dei voli hanno mostrato un Tu-154 dell'aeronautica russa in volo verso la capitale del Mali, Bamako, da Bengasi in Libia”. Non è del resto un mistero che proprio nella parte orientale della Libia si registri una significativa presenza di mercenari russi che sostengono il generale Khalifa Haftar: l'uomo forte della Cirenaica attualmente candidato alle elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi nel Paese il mese prossimo. Non solo: secondo quanto recentemente riferito dall’Alto consiglio di Stato libico sarebbero presenti sul territorio circa 7.000 combattenti appartenenti al Wagner Group. E' quindi fortemente plausibile ritenere che il Cremlino consideri la Libia orientale come una testa di ponte per rafforzarsi nel Sahel. Il Mali, dal canto suo, ha tuttavia respinto l’accusa dei Paesi occidentali. In una dichiarazione diffusa venerdì scorso, il governo di Bamako ha fornito “una smentita formale a queste accuse infondate” di “un presunto dispiegamento di elementi da parte di una società di sicurezza privata in Mali”.Ricordiamo che, dal 2012, il Mali è funestato da una violenta insurrezione jihadista che si è espansa anche in Niger e Burkina Faso, arrivando potenzialmente a minacciare il Golfo di Guinea. Ebbene, proprio in Mali è militarmente presente dal 2013 la Francia con la missione Burkhane: un impegno che tuttavia Emmanuel Macron ha intenzione di ridurre significativamente entro il 2023. L’inquilino dell’Eliseo avrebbe dovuto tra l'altro recarsi in visita ufficiale in Mali alcuni giorni fa: un appuntamento poi saltato ufficialmente a causa della pandemia, per quanto – secondo Agenzia Nova – le ragioni effettive nascerebbero da alcune divergenze politiche con la leadership maliana (forse dettate proprio dalla questione russa). E’ quindi abbastanza evidente che la Russia – così come la Turchia – stia cercando di approfittare della crescente debolezza francese per espandere e rafforzare la propria influenza nel Sahel. In tutto questo, appena due settimane fa, l’Unione europea ha comminato delle sanzioni contro il Wagner Group, accusandolo di “gravi violazioni dei diritti umani” e di “attività destabilizzanti”. “La decisione […] mira a porre un freno alle attività sovversive del Wagner Group. Mostra la forte determinazione dell'Ue a difendere i propri interessi e valori nel suo vicinato e oltre e a intraprendere azioni concrete nei confronti di coloro che minacciano la pace e la sicurezza internazionali e violano il diritto internazionale”, ha dichiarato l’Ue. Non solo: Bruxelles ha anche recentemente sospeso la propria missione di addestramento nella Repubblica Centrafricana, sostenendo di temere che il personale militare locale venga poi utilizzato proprio dal Wagner Group. Ricordiamo che Bangui abbia rafforzato i propri legami con Mosca nel settore della Difesa almeno dal 2017. La questione, insomma, è strutturale. Da una parte, Parigi vede la propria influenza in Africa sempre più impopolare e politicamente traballante: una situazione che – come abbiamo visto – sta spingendo Macron verso un progressivo disimpegno militare. Dall’altra, gli Stati Uniti hanno colpevolmente ignorato – negli ultimi decenni – una solida strategia geopolitica nel continente. Tutto questo ha quindi aperto ampi margini di manovra per Mosca.
(Ansa)
L’attività, eseguita dal Commissariato Greco-Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Procura per i Minorenni di Milano, tramite misure cautelari e fermi. Venerdì 21 novembre, i poliziotti hanno infatti sottoposto a fermo due 22enni. Nel corso della settimana, inoltre, gli agenti hanno eseguito un’altra ordinanza nei confronti di tre giovani di 15, 20 e 22 anni.
Il 22enne destinatario di quest’ultimo provvedimento è anche uno dei due indagati fermati il 21 novembre per la rapina avvenuta a Caiazzo una decina di giorni prima.
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Il mosaico romano scoperto dai bersaglieri dopo la battaglia di Ain Zara (Getty Images)
Il 4 dicembre 1911 i cannoni italiani tuonarono ad Ain Zara, un’oasi fortificata a circa 15 chilometri a sud di Tripoli, capitale conquistata dagli Italiani nell’ottobre precedente, all’esordio della guerra di Libia. La zona era ancora fortemente presidiata da truppe arabo-ottomane, che minacciavano costantemente la città in mano agli italiani.
All’alba del giorno stabilito per l’offensiva, il Regio Esercito iniziò la marcia diviso in tre colonne cui presero parte quattro Reggimenti di fanteria, uomini del 4°Reggimento artiglieria da montagna e del 1° Artiglieria da campagna supportati da reparti del Genio. Lo scontro fu duro, gli arabi (che eguagliavano quasi nel numero gli italiani) offrirono una strenua resistenza. Solo l’azione delle artiglierie fu in grado di risolvere la situazione e, dopo una battaglia corpo a corpo all’interno dell’oasi e 15 caduti tra gli italiani, poco dopo le 15 su Ain Zara sventolava il tricolore con lo stemma sabaudo. Fu per la campagna di Libia una vittoria importante perché da quel momento Tripoli non fu più minacciata e perché fu la prima azione concertata del Regio Esercito fuori dall’Europa.
Il 6 dicembre 1911 un avvenimento legato al combattimento di due giorni prima aggiunse importanza all’oasi appena conquistata. Nel pomeriggio i bersaglieri del 33°battaglione dell’11°Reggimento che stavano eseguendo lavori di trinceramento si accorsero di aver dissotterrato dalla sabbia un mosaico. Verso le 17 emerse dal terreno quello che appariva un raffinato manufatto perfettamente conservato, con disegni geometrici e motivi vegetali, di 6,75X5,80 metri. A prima vista, quella dei bersaglieri e dei loro ufficiali sottotenente Braida e più tardi maggiore Barbiani e colonnello Fara, appariva come il pavimento di una villa. Inizialmente attribuito all’età degli Antonini (92-192 d.C.). Più tardi, dopo l’analisi fatta dagli archeologi guidati dal professor Salvatore Aurigemma, si ipotizzò una collocazione cronologica più precisa e corrispondente all’età di Marco Aurelio. I bersaglieri, con la conquista dell’oasi di Ain Zara, avevano riportato alla luce un frammento dell’antica Oea, l’attuale Tripoli. Negli anni successivi, a poca distanza dal campo di battaglia del dicembre 1911 fu riportato alla luce quello che attualmente è l’unico monumento integro dell’antica città della Tripolitania romana: l’arco di Marco Aurelio, che fu trovato poco dopo la fine delle ostilità. Un altro pezzo del grande patrimonio archeologico della Libia romana, che i pezzi da 149/23 e quelli da 75/27 dell’artiglieria alpina contribuirono involontariamente a riportare alla luce.
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