2024-03-02
L’inflazione cala a 2 velocità. La Lagarde non taglia i tassi per aiutare Parigi e Berlino
Da noi siamo allo 0,8%, in Germania al +2,5% e in Francia al 2,9%. Buoni segnali da Pil e debito che, con meno austerità, scende più degli altri al netto degli interessi.L’economia italiana cresce più delle attese, con un Pil che nel 2023 fa segnare un +0,9%. Inflazione bassa e stabile, rapporti debito/Pil e deficit/Pil in calo. In estrema sintesi questa è la fotografia dell’Italia scattata dall’Istat ieri con due comunicati. L’indice dei prezzi al consumo fa segnare un +0,1% rispetto al mese precedente (+0,8% su base annua), esattamente come a gennaio. Le singole voci all’interno dell’indice hanno però andamenti diversi. Rallenta l’aumento dei prezzi degli alimentari non lavorati (da +7,5% a +4,5%) e lavorati (da +4,5% a +3,8%), dei trasporti (da +4,2% a +3,8%), mentre si attenua il calo dei prezzi degli energetici regolamentati (da -20,6% a -18,6%) e non (da -20,4% a -17,2%)Nell’eurozona va molto peggio, con l’inflazione tendenziale al 2,6%. In Germania il dato congiunturale è del +0,4%, quello tendenziale è tre volte quello italiano (+2,5%). In Francia ancora peggio, rispettivamente +0,8% e +2,9%.Un bel rompicapo per la Banca Centrale Europa. Avere una moneta unica e una Banca centrale unica in presenza di differenziali di inflazione così accentuati rappresenta un problema, la cui unica soluzione è che qualcuno ci perde. Più Francoforte tarda ad abbassare i tassi di interesse, più favorisce Francia e Germania svantaggiando l’Italia, la cui inflazione è rientrata. Si spiegano così i ritardi di Christine Lagarde all’idea di tagliare i tassi.Meglio delle attese il prodotto interno lordo italiano, cresciuto nel 2023 dello 0,9%, in rallentamento rispetto al +4% del 2022, ma più alto della stima del governo (+0,8%).Il rapporto deficit/Pil si è attestato sul 7,2%, dal 8,6% del 2022, più alto rispetto alla stima del governo (5,3%). Nel commentare i dati diffusi da Istat, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha fatto riferimento alla «emorragia dell’irresponsabile stagione del Superbonus», che con i suoi effetti è andato «purtroppo oltre le già pessimistiche prospettive». «Con la non semplice chiusura di quella stagione, la finanza pubblica dal 2024 intraprende un sentiero di ragionevole sostenibilità», ha concluso il ministro. Il rapporto debito/Pil nel 2023 è sceso dal 140,5% registrato nel 2022 al 137,3% del 2023. Un dato decisamente migliore di quello contenuto nella nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, che era pari a 140,2%. Mentre la terza emissione del Btp Italia fa il pieno (18,32 miliardi collocati presso i risparmiatori italiani), il saldo primario (indebitamento netto meno la spesa per interessi) è negativo (-3,4% sul Pil) ma meglio del 2022, che era al 4,3%. Però, dagli anni Novanta al 2019 l’Italia si segnalava per aver registrato avanzi primari record. Lo sa anche il prestigioso quotidiano economico italiano, il Sole24ore, che ieri ha pubblicato un articolo a firma di Marco Fortis, economista competente e attento, che con correttezza riconosce quanto si sa da tempo, ovvero che l’Italia «è l’unica nazione tra i Paesi del G7 [...] ad essere riuscita a ridurre il debito pubblico al netto della spesa per interessi negli ultimi 28 anni [...]. Si tratta di un dato praticamente sconosciuto, la cui acquisizione, sul piano concettuale e comunicazionale, è di fondamentale importanza sia per l’Italia sia per le stesse riflessioni sul futuro e le strategie dell’Europa. [...] Un dato che dovrebbe essere portato all’attenzione non solo di Bruxelles ma anche delle agenzie di rating e degli investitori».Un dato come questo, in realtà, non può essere «praticamente sconosciuto». Chi si occupa di queste cose conosce bene la storia degli avanzi primari accumulati dall’Italia. Semmai, è la diffusione nel dibattito pubblico di questa dirompente verità ad essere stata trattenuta, perché l’idea di un’Italia virtuosa in termini di disciplina fiscale non si confaceva alla narrazione dominante. Ancora oggi, c’è chi ritiene doveroso far passare l’idea che il nostro Paese sia la patria della crapula, dove si spende e si spande sulle spalle dei virtuosi paesi del Nord. «Non puoi spendere tutti soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto». Così il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem nel 2017, rivolto ai Paesi mediterranei. Prima ancora, si ricordano i sorrisetti di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nell’ottobre 2011, alla domanda se Silvio Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, li avesse rassicurati sui provvedimenti contro la crisi che avrebbe dovuto prendere il governo italiano. Fu in quel periodo storico che comparve la ben nota prima pagina del sole24ore con il titolo a caratteri cubitali «Fate presto». La lunga storia di avanzi primari accumulati dall’Italia avrebbe consentito al nostro Paese di finanziarsi sui mercati internazionali senza grossi problemi, ma agitando lo spettro dello spread si facilitò persino un cambio di governo. Questo drenaggio di risorse dall’economia ha frenato la crescita del nostro Paese lungo trent’anni, poiché se lo Stato è in avanzo primario significa che i cittadini pagano di tasse più di quello che ricevono per servizi pubblici, con l’effetto di contenere i consumi e dunque la crescita.La realtà è dunque quella di un’Italia che da quasi trent’anni sta facendo austerità. Proprio quella austerità che secondo troppi non abbiamo mai fatto e che dovremmo fare, ancora e di più.
Sergio Mattarella (Getty Images)
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)