2021-08-28
Infinita Bebe Vio, medaglia d'oro anche a Tokyo
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La campionessa veneta ha battuto nella finale di fioretto femminile la cinse Zhou Jingjing con il punteggio di 15-9 bissando così il successo di cinque anni fa a Rio de Janeiro. Italia decima nel medagliere con 18 metalli: 5 ori, 7 argenti e 6 bronzi.Se vincere una volta è complicato, rivincere lo è ancora di più. E semmai ce ne fosse ancora bisogno, Bebe Vio ha dimostrato ancora una volta di che pasta è fatta. Nemmeno il tempo di archiviare la mezza delusione per aver dovuto rinunciare alla gara di sciabola che la campionessa veneta è salita - nella notte tra venerdì e sabato- sulla pedana del Makuhari Messe di Tokyo con un unico e preciso obiettivo: vincere la medaglia d'oro in quella che è la sua specialità, di cui è campionessa mondiale e paralimpica: il fioretto. E così è stato. Un 15-9 senza storia nella finale contro la cinese Zhou Jingjing, in quella che doveva essere la rivincita di Rio per l'atleta cinese, e che invece è stato un dolce remake con lo stesso finale: Bebe sul gradino più alto del podio proprio come cinque anni fa in Brasile.Per la schermitrice 24enne, portabandiera dell'Italia a questi Giochi paralimpici, un successo che la proietta dritta nella storia dello sport azzurro. Un'impresa sì pronosticabile alla vigilia, considerato che Bebe Vio nella sua specialità è semplicemente la migliore, ma per nulla scontata. Perché quando ci si presenta a un grande appuntamento, come quello a cinque cerchi, da super favorita e con il grande carico mediatico sulle spalle, oltre a essere la migliore, servono altre qualità: personalità, capacità di gestire e sopportare le pressioni e una forza mentale fuori dal comune. Una forza che Bebe ha sempre dimostrato di avere e che ha confermato a Tokyo. «Purtroppo niente di gara di sciabola» - aveva detto due giorni fa annunciando il ritiro dalla gara di sciabola - «spero di potervi dare spiegazioni dopo le gare. Grazie a tutti quelli che hanno creduto in me e in questa missione non impossibile ma solo rimandata».La medaglia appena conquistata da Bebe Vio è la quinta d'oro per l'Italia a queste Paralimpiadi. Si aggiunge alle due di Francesco Bocciardo e a quelle di Carlotta Gilli e Stefano Raimondi nel nuoto. Il medagliere, a questo punto, colloca i colori italiani al decimo posto con un bottino totale di 18 metalli. Oltre ai cinque ori, anche sette argenti e cinque bronzi.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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