
La Procura meneghina apre un fascicolo sui lavoratori (spesso clandestini) simbolo della gig economy. Settore nel mirino per violazione delle norme sulla sicurezza.Sono diventati figure comuni nel tessuto metropolitano. In bici, con pettorine colorate e le spalle piegate dal peso di grosse borse termiche. Trasportano generi alimentari, cibo che compriamo con un click attraverso applicazioni da cellulare. Sono i rider, gli eredi del pony express degli anni Ottanta, giovani perlopiù stranieri divenuti secondo gli inquirenti il terminale di ben altri business. Sì, perché se da un lato è di queste ore la notizia di un fascicolo aperto dalla Procura di Milano che ipotizza presunte violazioni delle norme antinfortunistica e di sicurezza stradale, dall'altro i riflettori degli inquirenti sono puntati da mesi sul fenomeno che nasconde interessi criminali. Si parla di caporalato, sfruttamento del lavoro e spaccio di droga. Un'inchiesta del Corriere della Sera ha portato alla luce la pratica diffusa della cessione dell'account. Il lavoro del rider si basa infatti sul possesso di credenziali che identificano il corriere su un'applicazione digitale che riceve l'ordine. Il titolare delle credenziali, ecco il fenomeno, può però cederle a un altro potenziale rider. Ed è qui che entra in gioco il sistema degli irregolari. Migranti irregolari. Sono due i metodi utilizzati. Il riguarda una sorta di caporalato «sussidiario» e viene praticato tra immigrati che cercano di aiutare i connazionali. In questo caso i primi sono regolarmente registrati a uno dei tanti siti di food delivery. Poi cedono a qualche conoscente l'attrezzatura e il cellulare con l'applicazione necessaria per lavorare, sia perché genera il codice che consente il ritiro del cibo al ristorante sia per conoscere l'indirizzo di consegna. «A chi li avvicina fingendo di voler diventare un rider, dicono di averla ricevuta gratuitamente ma è probabile, invece, che paghino almeno 65 euro» scrive il Corriere della Sera. L'altra forma di caporalato riguarda l'utilizzo di clandestini. C'è, in questo caso, chi si registra sul portale e poi vende la registrazione fornendo un'opportunità di lavoro. Opportunità che in realtà è puro sfruttamento. In questa jungla di fattorini «non identificati» si annidano gli affari della criminalità italiana e straniera. La scorsa estate fu un servizio della trasmissione Quarta Repubblica di Nicola Porro a documentare una serie di consegne sospette su Milano. I rider, tutti di colore, si incontravano davanti alla stazione centrale del capoluogo lombardo. Qui, dopo uno scambio veloce di denaro, ripartivano in sella alle bici per effettuare la consegna. Un panino, una birra e una dose di sostanze stupefacenti. Impossibile tracciare il contenuto del «pacco»; il quantitativo minimo di sostanza, tra l'altro, avrebbe evitato conseguenze penali al fattorino in caso di fermo da parte delle forze dell'ordine. Sul fronte della sicurezza, a partire già dallo scorso giugno, gli inquirenti milanesi, con la squadra specializzata del dipartimento «ambiente, sicurezza, salute, lavoro», hanno iniziato a raccogliere elementi e testimonianze a verbale nel fascicolo, al momento senza ipotesi di reato, ma che ipotizza presunte violazioni del decreto legislativo in materia di sicurezza sul lavoro (reato che a breve sarà iscritto) da parte delle società per le quali i rider lavorano. In più, la Procura ha deciso di monitorare gli incidenti stradali che coinvolgono rider, anche a tutela della collettività, perché spesso viaggiano contromano, senza luci o comunque senza rispettare le norme sulla circolazione stradale.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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