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2020-01-09
L’accoglienza all’italiana: migranti sedati e schiavizzati
Ansa
La segnalazione arrivata in Procura a Potenza è inquietante: gli ospiti del Cpr di Palazzo San Gervasio, il centro di permanenza per il rimpatrio al confine tra la Basilicata e la Puglia, verrebbero sedati e picchiati. E mentre dal Viminale propagandano con atteggiamento da primi della classe i dati sulle espulsioni, l'accoglienza nell'era del governo giallorosso potrebbe essersi macchiata di fatti gravissimi. O, almeno, è quello che stanno cercando di accertare i magistrati potentini che, a settembre, hanno disposto un'irruzione nel centro di permanenza per il rimpatrio e hanno sequestrato alcuni farmaci indicati come «materiale pertinente al reato». Insomma, i sedativi che sarebbero stati usati per tenere buoni gli immigrati da espellere.
Una bomba scoppiata tra le mani del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e che rischia di creare molto imbarazzo nel governo. Le gravi carenze strutturali del Cpr di Palazzo San Gervasio erano note al Viminale. Dalla prefettura di Potenza, d'altra parte, hanno segnalato più volte l'impossibilità di accogliere altri detenuti, prima di una ristrutturazione per i danni causati dagli immigrati durante risse, proteste e sassaiole contro gli operatori e le forze dell'ordine. Nessuno immaginava però che in un centro italiano si potessero applicare trattamenti di questo tipo. Tra i reati ipotizzati dai magistrati coordinati dal procuratore Francesco Curcio c'è il 586 del codice penale, per il quale si procede quando da un altro delitto (la detenzione illegale dei farmaci psicotropi) «deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona». Ma stando al decreto di perquisizione vengono ipotizzati anche i reati di «maltrattamenti di persone affidate per questioni di vigilanza o custodia» e l'abuso d'ufficio.
E, così, il 4 settembre 2019, mantenendo un profilo molto basso ed evitando il clamore mediatico, i pm Laura Triassi e Matteo Soave e gli investigatori delle aliquote di polizia giudiziaria di carabinieri e polizia di Stato si sono presentati all'ingresso del Cpr. Nei mobiletti dell'infermeria, uno chiuso con un lucchetto e una vetrinetta aperta, hanno trovato e sequestrato «specialità farmacologiche», si legge in un documento di cui la Verità è entrata in possesso, «rientranti, secondo la tabella dei medicinali, nelle sezioni dei farmaci stupefacenti». Le confezioni dei medicinali, alcune delle quali erano state parzialmente utilizzate, ha annotato la polizia giudiziaria, «erano stipate alla rinfusa all'interno di due scatole di cartone». Gli investigatori hanno anche portato via un registro infermieristico di 66 pagine, il registro della farmacia decorrente tra il 26 agosto e il 4 settembre e 34 schede divise per mesi, con i nomi dei pazienti e i loro codici identificativi. Inoltre è stato prelevato un campione di latte che era in una pentola d'acciaio trovata sui fornelli e alcune scatole di latte ancora sigillate.
Dalla Engel Italia, società che gestisce il centro, nell'immediatezza si sono giustificati riferendo agli investigatori che si trattava di medicinali somministrati in precedenza a ospiti che avevano lasciato ormai la struttura. Ma gli investigatori hanno sottolineato che mentre la presenza di alcuni farmaci effettivamente «appariva riconducibile a terapie mediche somministrate a ospiti non più presenti nel centro», la detenzione di altri, invece, «non appariva giustificata da alcuna necessità terapeutica» e risultava «pertinente ai reati per i quali si procede». L'inchiesta, in quel momento contro ignoti, era stata annotata sul registro delle notizie di reato al numero 3216/19 e, stando a quanto emerge dal decreto di perquisizione, aveva assorbito anche un altro fascicolo.
Tutto è cominciato con una nota inviata dagli agenti delle forze dell'ordine che fanno servizio di vigilanza nel Cpr. La Procura dà atto che in quella informativa «sono stati segnalati, a carico di alcuni non identificati operanti presso il Cpr, comportamenti illeciti che consisterebbero nella somministrazione inappropriata di farmaci tranquillizzanti e atti di violenza verso ospiti del centro». E siccome il Cpr è costantemente tenuto sotto osservazione da un sistema di videosorveglianza, sono stati acquisiti anche i filmati delle telecamere. I video che i magistrati immaginavano di trovare sulle memorie dei telefoni cellulari degli immigrati, invece, non c'erano.
Perché al momento dell'ingresso nel Cpr, secondo quanto hanno raccontato alcuni immigrati, le telecamere degli smartphone, proprio per non permettere le riprese, sarebbero state danneggiate dagli operatori con un trapano. L'attrezzo è saltato fuori durante la perquisizione ed è stato sequestrato. Allegato al decreto di perquisizione c'è anche il verbale di sequestro, redatto da un maresciallo e da un appuntato dei carabinieri, per l'avvitatore Black&Decker nero e arancio.
Ultimo punto del decreto di perquisizione: la droga. Perché viene anche ipotizzata «l'introduzione nel centro di sostanze stupefacenti del tipo cannabis e oppiacei». Che, però, non sono state trovate. Almeno per ora.
I caporali africani sono i nuovi schiavisti. Uomini nei campi e donne sulla strada
A dieci anni esatti dalla rivolata dei migranti di Rosarno e appena due giorni dopo la manifestazione delle sardine a Riace, in Calabria ieri è scattata un'operazione dei carabinieri contro il caporalato e lo sfruttamento degli extracomunitari della baraccopoli di San Ferdinando, che ha portato alla luce una triste realtà, dietro i buoni propositi e le belle parole di chi predica bene volendo accogliere tutti. L'inchiesta della Procura di Palmi, che si somma a quella della Dda di Catanzaro con centinaia di arresti prima di Natale, ci dicono anzitutto una cosa: in Calabria i migranti continuano a essere sfruttati da vivi e pure da morti, con persone che cercano di lucrare pure sui loculi destinati agli africani morti in mare.
Non a caso l'indagine l'indagine sviluppata a Palmi è stata denominata «Euno», il nome dello schiavo siciliano ribelle, che nel 136 a.C. guidò la prima guerra servile contro il possidente terriero Damofilo. Chiarissime le parole del procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza: «C'è amarezza per il fatto che ancora una volta la magistratura è chiamata a una funzione di supplenza. Abbiamo interrotto un'attività criminale, assicurando giustizia a persone alle quali era stato negato il diritto di avere diritti e in particolare il diritto di affrancarsi dal bisogno». «Dopo 10 anni», ha aggiunto il procuratore, riferendosi alla rivolta di Rosarno «non è cambiato molto».
L'indagine dei pm palmesi, ieri mattina, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico di numerose persone ritenute responsabili, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. L'attività investigativa dei carabinieri ha colpito una rete di caporali, composta da cittadini extracomunitari di origine centrafricana all'epoca dei fatti domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e a Rosarno, i quali - in concorso con i titolari di aziende agricole e cooperative del settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro - erano dediti all'intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro ai danni di braccianti agricoli extracomunitari, e anche al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione di donne africane.
Scendendo più nel dettaglio dell'operazione, si scopre che i braccianti extracomunitari sarebbero stati costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, sette giorni su sette, senza alcuna protezione individuale, per 2-3 euro all'ora. Si scopre che i caporali, accusati di sfruttare i braccianti, sono anche loro extracomunitari, provenienti dall'area centroafricana e che avrebbero agito con la complicità di imprenditori agricoli locali. L'indagine è partita a seguito della denuncia di un migrante che ha trovato la forza di ribellarsi ai suoi sfruttatori. Complessivamente, ritornando ai numeri del blitz, i carabinieri, su ordine del gip del tribunale di Palmi, hanno arrestato 20 persone - 13 in carcere e sette ai domiciliari - e notificato altre nove misure restrittive, tra obblighi di dimora, divieti di dimora e obbligo di presentazione alla Pg. Tra gli arrestati figurano 13 caporali e sette imprenditori agricoli della zona, finiti ai domiciliari.
In una terra povera di lavoro come la Calabria prevenire certe piaghe - come ha suggerito il procuratore Sferlazza, a margine della conferenza stampa dopo gli arresti - è pressoché impossibile, con i continui arrivi dall'Africa e dall'Asia. Tantissimi migranti che dovrebbero restare in Calabria giusto il tempo per la ricollocazione in altre nazioni europee rimangono per un periodo indeterminato, soggiornando nei centri d'accoglienza e nelle baraccopoli, senza un lavoro in regola. Di conseguenza, spesso riescono a sopravvivere solo chiedendo l'elemosina o lavorando sotto caporalato, con paghe misere e non dignitose.
Nel caso in esame è emerso che ogni mattina all'alba presso la baraccopoli di San Ferdinando e nel campo container di Rosarno i caporali avrebbero obbligato i braccianti - anche quelli che avrebbero voluto usare la bici - a salire a bordo dei furgoni. È stato scoperto, inoltre, che alcuni braccianti, rannicchiati nel bagagliaio di station wagon, vedendo i militari dell'arma ai posti di blocco, scappavo per non farsi identificare.
Quella condotta dalla Procura di Palmi è stata un'indagine vecchia maniera, con osservazioni, pedinamenti e la permanenza dei carabinieri impiegati nei campi dove gli extracomunitari venivano portati.
In uno dei filmati registrati di nascosto dagli investigatori si vede addirittura il baciamano dei braccianti a uno dei caporali extracomunitari, che sarebbe pure un imam. Tale gesto, viene considerato da chi indaga un elemento comprovante la sottomissione dei lavoratori sfruttati. «Questa inchiesta», ha evidenziato il colonnello Giuseppe Battaglia, «ha il fine nobile di tutelare le fasce deboli. Non siamo qui solo per combattere la 'ndrangheta, ma anche per proteggere tutti, italiani e immigrati».
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La Procura di Potenza indaga sulla società che gestisce il Cpr di Palazzo San Gervasio: sequestrati medicinali che sarebbero stati somministrati senza rispettare le regole alle persone in attesa di espulsione.Arrestate 20 persone in Calabria: i criminali, fra cui un imam, pagavano i braccianti 2 euro l'ora. Baciamano in stile mafioso.Lo speciale contiene due articoli.La segnalazione arrivata in Procura a Potenza è inquietante: gli ospiti del Cpr di Palazzo San Gervasio, il centro di permanenza per il rimpatrio al confine tra la Basilicata e la Puglia, verrebbero sedati e picchiati. E mentre dal Viminale propagandano con atteggiamento da primi della classe i dati sulle espulsioni, l'accoglienza nell'era del governo giallorosso potrebbe essersi macchiata di fatti gravissimi. O, almeno, è quello che stanno cercando di accertare i magistrati potentini che, a settembre, hanno disposto un'irruzione nel centro di permanenza per il rimpatrio e hanno sequestrato alcuni farmaci indicati come «materiale pertinente al reato». Insomma, i sedativi che sarebbero stati usati per tenere buoni gli immigrati da espellere.Una bomba scoppiata tra le mani del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e che rischia di creare molto imbarazzo nel governo. Le gravi carenze strutturali del Cpr di Palazzo San Gervasio erano note al Viminale. Dalla prefettura di Potenza, d'altra parte, hanno segnalato più volte l'impossibilità di accogliere altri detenuti, prima di una ristrutturazione per i danni causati dagli immigrati durante risse, proteste e sassaiole contro gli operatori e le forze dell'ordine. Nessuno immaginava però che in un centro italiano si potessero applicare trattamenti di questo tipo. Tra i reati ipotizzati dai magistrati coordinati dal procuratore Francesco Curcio c'è il 586 del codice penale, per il quale si procede quando da un altro delitto (la detenzione illegale dei farmaci psicotropi) «deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona». Ma stando al decreto di perquisizione vengono ipotizzati anche i reati di «maltrattamenti di persone affidate per questioni di vigilanza o custodia» e l'abuso d'ufficio.E, così, il 4 settembre 2019, mantenendo un profilo molto basso ed evitando il clamore mediatico, i pm Laura Triassi e Matteo Soave e gli investigatori delle aliquote di polizia giudiziaria di carabinieri e polizia di Stato si sono presentati all'ingresso del Cpr. Nei mobiletti dell'infermeria, uno chiuso con un lucchetto e una vetrinetta aperta, hanno trovato e sequestrato «specialità farmacologiche», si legge in un documento di cui la Verità è entrata in possesso, «rientranti, secondo la tabella dei medicinali, nelle sezioni dei farmaci stupefacenti». Le confezioni dei medicinali, alcune delle quali erano state parzialmente utilizzate, ha annotato la polizia giudiziaria, «erano stipate alla rinfusa all'interno di due scatole di cartone». Gli investigatori hanno anche portato via un registro infermieristico di 66 pagine, il registro della farmacia decorrente tra il 26 agosto e il 4 settembre e 34 schede divise per mesi, con i nomi dei pazienti e i loro codici identificativi. Inoltre è stato prelevato un campione di latte che era in una pentola d'acciaio trovata sui fornelli e alcune scatole di latte ancora sigillate. Dalla Engel Italia, società che gestisce il centro, nell'immediatezza si sono giustificati riferendo agli investigatori che si trattava di medicinali somministrati in precedenza a ospiti che avevano lasciato ormai la struttura. Ma gli investigatori hanno sottolineato che mentre la presenza di alcuni farmaci effettivamente «appariva riconducibile a terapie mediche somministrate a ospiti non più presenti nel centro», la detenzione di altri, invece, «non appariva giustificata da alcuna necessità terapeutica» e risultava «pertinente ai reati per i quali si procede». L'inchiesta, in quel momento contro ignoti, era stata annotata sul registro delle notizie di reato al numero 3216/19 e, stando a quanto emerge dal decreto di perquisizione, aveva assorbito anche un altro fascicolo. Tutto è cominciato con una nota inviata dagli agenti delle forze dell'ordine che fanno servizio di vigilanza nel Cpr. La Procura dà atto che in quella informativa «sono stati segnalati, a carico di alcuni non identificati operanti presso il Cpr, comportamenti illeciti che consisterebbero nella somministrazione inappropriata di farmaci tranquillizzanti e atti di violenza verso ospiti del centro». E siccome il Cpr è costantemente tenuto sotto osservazione da un sistema di videosorveglianza, sono stati acquisiti anche i filmati delle telecamere. I video che i magistrati immaginavano di trovare sulle memorie dei telefoni cellulari degli immigrati, invece, non c'erano.Perché al momento dell'ingresso nel Cpr, secondo quanto hanno raccontato alcuni immigrati, le telecamere degli smartphone, proprio per non permettere le riprese, sarebbero state danneggiate dagli operatori con un trapano. L'attrezzo è saltato fuori durante la perquisizione ed è stato sequestrato. Allegato al decreto di perquisizione c'è anche il verbale di sequestro, redatto da un maresciallo e da un appuntato dei carabinieri, per l'avvitatore Black&Decker nero e arancio. Ultimo punto del decreto di perquisizione: la droga. Perché viene anche ipotizzata «l'introduzione nel centro di sostanze stupefacenti del tipo cannabis e oppiacei». Che, però, non sono state trovate. Almeno per ora. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/inchiesta-sul-centro-di-rimpatrio-sedavano-i-migranti-di-nascosto-2644605519.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-caporali-africani-sono-i-nuovi-schiavisti-uomini-nei-campi-e-donne-sulla-strada" data-post-id="2644605519" data-published-at="1765478970" data-use-pagination="False"> I caporali africani sono i nuovi schiavisti. 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Chiarissime le parole del procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza: «C'è amarezza per il fatto che ancora una volta la magistratura è chiamata a una funzione di supplenza. Abbiamo interrotto un'attività criminale, assicurando giustizia a persone alle quali era stato negato il diritto di avere diritti e in particolare il diritto di affrancarsi dal bisogno». «Dopo 10 anni», ha aggiunto il procuratore, riferendosi alla rivolta di Rosarno «non è cambiato molto». L'indagine dei pm palmesi, ieri mattina, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico di numerose persone ritenute responsabili, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. L'attività investigativa dei carabinieri ha colpito una rete di caporali, composta da cittadini extracomunitari di origine centrafricana all'epoca dei fatti domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e a Rosarno, i quali - in concorso con i titolari di aziende agricole e cooperative del settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro - erano dediti all'intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro ai danni di braccianti agricoli extracomunitari, e anche al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione di donne africane. Scendendo più nel dettaglio dell'operazione, si scopre che i braccianti extracomunitari sarebbero stati costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, sette giorni su sette, senza alcuna protezione individuale, per 2-3 euro all'ora. Si scopre che i caporali, accusati di sfruttare i braccianti, sono anche loro extracomunitari, provenienti dall'area centroafricana e che avrebbero agito con la complicità di imprenditori agricoli locali. L'indagine è partita a seguito della denuncia di un migrante che ha trovato la forza di ribellarsi ai suoi sfruttatori. Complessivamente, ritornando ai numeri del blitz, i carabinieri, su ordine del gip del tribunale di Palmi, hanno arrestato 20 persone - 13 in carcere e sette ai domiciliari - e notificato altre nove misure restrittive, tra obblighi di dimora, divieti di dimora e obbligo di presentazione alla Pg. Tra gli arrestati figurano 13 caporali e sette imprenditori agricoli della zona, finiti ai domiciliari. In una terra povera di lavoro come la Calabria prevenire certe piaghe - come ha suggerito il procuratore Sferlazza, a margine della conferenza stampa dopo gli arresti - è pressoché impossibile, con i continui arrivi dall'Africa e dall'Asia. Tantissimi migranti che dovrebbero restare in Calabria giusto il tempo per la ricollocazione in altre nazioni europee rimangono per un periodo indeterminato, soggiornando nei centri d'accoglienza e nelle baraccopoli, senza un lavoro in regola. Di conseguenza, spesso riescono a sopravvivere solo chiedendo l'elemosina o lavorando sotto caporalato, con paghe misere e non dignitose. Nel caso in esame è emerso che ogni mattina all'alba presso la baraccopoli di San Ferdinando e nel campo container di Rosarno i caporali avrebbero obbligato i braccianti - anche quelli che avrebbero voluto usare la bici - a salire a bordo dei furgoni. È stato scoperto, inoltre, che alcuni braccianti, rannicchiati nel bagagliaio di station wagon, vedendo i militari dell'arma ai posti di blocco, scappavo per non farsi identificare. Quella condotta dalla Procura di Palmi è stata un'indagine vecchia maniera, con osservazioni, pedinamenti e la permanenza dei carabinieri impiegati nei campi dove gli extracomunitari venivano portati. In uno dei filmati registrati di nascosto dagli investigatori si vede addirittura il baciamano dei braccianti a uno dei caporali extracomunitari, che sarebbe pure un imam. Tale gesto, viene considerato da chi indaga un elemento comprovante la sottomissione dei lavoratori sfruttati. «Questa inchiesta», ha evidenziato il colonnello Giuseppe Battaglia, «ha il fine nobile di tutelare le fasce deboli. Non siamo qui solo per combattere la 'ndrangheta, ma anche per proteggere tutti, italiani e immigrati».
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La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.
L'amministratore delegato di SIMEST Regina Corradini D’Arienzo (Imagoeconomica)
SIMEST e la Indian Chamber of Commerce hanno firmato un Memorandum of Understanding per favorire progetti congiunti, scambio di informazioni e nuovi investimenti tra imprese italiane e indiane. L'ad di Simest Regina Corradini D’Arienzo: «Mercato chiave per il Made in Italy, rafforziamo il supporto alle aziende».
Nel quadro del Business Forum Italia-India, in corso a Mumbai, SIMEST e Indian Chamber of Commerce (ICC) hanno firmato un Memorandum of Understanding per consolidare la cooperazione economica tra i due Paesi e facilitare nuove opportunità di investimento bilaterale. La firma è avvenuta alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro indiano del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal.
A sottoscrivere l’accordo sono stati l’amministratore delegato di SIMEST, Regina Corradini D’Arienzo, e il direttore generale della ICC, Rajeev Singh. L’intesa punta a mettere in rete le imprese italiane e indiane, sviluppare iniziative comuni e favorire l’accesso ai rispettivi mercati. Tra gli obiettivi: promuovere progetti congiunti, sostenere gli investimenti delle aziende di entrambi i Paesi anche grazie agli strumenti finanziari messi a disposizione da SIMEST, facilitare lo scambio di informazioni e creare un network stabile tra le comunità imprenditoriali.
«L’accordo conferma la volontà di SIMEST di supportare gli investimenti delle imprese italiane in un mercato chiave come quello indiano, sostenendole con strumenti finanziari e know-how dedicato», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. L’ad ha ricordato che l’India è tra i Paesi prioritari del Piano d’Azione per l’export della Farnesina e che nel 2025 SIMEST ha aperto un ufficio a Delhi e attivato una misura dedicata per favorire gli investimenti italiani nel Paese. Un tassello, ha aggiunto, che rientra nell’azione coordinata del «Sistema Italia» guidato dalla Farnesina insieme a CDP, ICE e SACE.
SIMEST, società del Gruppo CDP, sostiene la crescita internazionale delle imprese italiane – in particolare le PMI – lungo tutto il ciclo di espansione all’estero, attraverso export credit, finanziamenti agevolati, partecipazioni al capitale e investimenti in equity.
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