2020-01-09
L’accoglienza all’italiana: migranti sedati e schiavizzati
La Procura di Potenza indaga sulla società che gestisce il Cpr di Palazzo San Gervasio: sequestrati medicinali che sarebbero stati somministrati senza rispettare le regole alle persone in attesa di espulsione.Arrestate 20 persone in Calabria: i criminali, fra cui un imam, pagavano i braccianti 2 euro l'ora. Baciamano in stile mafioso.Lo speciale contiene due articoli.La segnalazione arrivata in Procura a Potenza è inquietante: gli ospiti del Cpr di Palazzo San Gervasio, il centro di permanenza per il rimpatrio al confine tra la Basilicata e la Puglia, verrebbero sedati e picchiati. E mentre dal Viminale propagandano con atteggiamento da primi della classe i dati sulle espulsioni, l'accoglienza nell'era del governo giallorosso potrebbe essersi macchiata di fatti gravissimi. O, almeno, è quello che stanno cercando di accertare i magistrati potentini che, a settembre, hanno disposto un'irruzione nel centro di permanenza per il rimpatrio e hanno sequestrato alcuni farmaci indicati come «materiale pertinente al reato». Insomma, i sedativi che sarebbero stati usati per tenere buoni gli immigrati da espellere.Una bomba scoppiata tra le mani del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e che rischia di creare molto imbarazzo nel governo. Le gravi carenze strutturali del Cpr di Palazzo San Gervasio erano note al Viminale. Dalla prefettura di Potenza, d'altra parte, hanno segnalato più volte l'impossibilità di accogliere altri detenuti, prima di una ristrutturazione per i danni causati dagli immigrati durante risse, proteste e sassaiole contro gli operatori e le forze dell'ordine. Nessuno immaginava però che in un centro italiano si potessero applicare trattamenti di questo tipo. Tra i reati ipotizzati dai magistrati coordinati dal procuratore Francesco Curcio c'è il 586 del codice penale, per il quale si procede quando da un altro delitto (la detenzione illegale dei farmaci psicotropi) «deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona». Ma stando al decreto di perquisizione vengono ipotizzati anche i reati di «maltrattamenti di persone affidate per questioni di vigilanza o custodia» e l'abuso d'ufficio.E, così, il 4 settembre 2019, mantenendo un profilo molto basso ed evitando il clamore mediatico, i pm Laura Triassi e Matteo Soave e gli investigatori delle aliquote di polizia giudiziaria di carabinieri e polizia di Stato si sono presentati all'ingresso del Cpr. Nei mobiletti dell'infermeria, uno chiuso con un lucchetto e una vetrinetta aperta, hanno trovato e sequestrato «specialità farmacologiche», si legge in un documento di cui la Verità è entrata in possesso, «rientranti, secondo la tabella dei medicinali, nelle sezioni dei farmaci stupefacenti». Le confezioni dei medicinali, alcune delle quali erano state parzialmente utilizzate, ha annotato la polizia giudiziaria, «erano stipate alla rinfusa all'interno di due scatole di cartone». Gli investigatori hanno anche portato via un registro infermieristico di 66 pagine, il registro della farmacia decorrente tra il 26 agosto e il 4 settembre e 34 schede divise per mesi, con i nomi dei pazienti e i loro codici identificativi. Inoltre è stato prelevato un campione di latte che era in una pentola d'acciaio trovata sui fornelli e alcune scatole di latte ancora sigillate. Dalla Engel Italia, società che gestisce il centro, nell'immediatezza si sono giustificati riferendo agli investigatori che si trattava di medicinali somministrati in precedenza a ospiti che avevano lasciato ormai la struttura. Ma gli investigatori hanno sottolineato che mentre la presenza di alcuni farmaci effettivamente «appariva riconducibile a terapie mediche somministrate a ospiti non più presenti nel centro», la detenzione di altri, invece, «non appariva giustificata da alcuna necessità terapeutica» e risultava «pertinente ai reati per i quali si procede». L'inchiesta, in quel momento contro ignoti, era stata annotata sul registro delle notizie di reato al numero 3216/19 e, stando a quanto emerge dal decreto di perquisizione, aveva assorbito anche un altro fascicolo. Tutto è cominciato con una nota inviata dagli agenti delle forze dell'ordine che fanno servizio di vigilanza nel Cpr. La Procura dà atto che in quella informativa «sono stati segnalati, a carico di alcuni non identificati operanti presso il Cpr, comportamenti illeciti che consisterebbero nella somministrazione inappropriata di farmaci tranquillizzanti e atti di violenza verso ospiti del centro». E siccome il Cpr è costantemente tenuto sotto osservazione da un sistema di videosorveglianza, sono stati acquisiti anche i filmati delle telecamere. I video che i magistrati immaginavano di trovare sulle memorie dei telefoni cellulari degli immigrati, invece, non c'erano.Perché al momento dell'ingresso nel Cpr, secondo quanto hanno raccontato alcuni immigrati, le telecamere degli smartphone, proprio per non permettere le riprese, sarebbero state danneggiate dagli operatori con un trapano. L'attrezzo è saltato fuori durante la perquisizione ed è stato sequestrato. Allegato al decreto di perquisizione c'è anche il verbale di sequestro, redatto da un maresciallo e da un appuntato dei carabinieri, per l'avvitatore Black&Decker nero e arancio. Ultimo punto del decreto di perquisizione: la droga. Perché viene anche ipotizzata «l'introduzione nel centro di sostanze stupefacenti del tipo cannabis e oppiacei». Che, però, non sono state trovate. Almeno per ora. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/inchiesta-sul-centro-di-rimpatrio-sedavano-i-migranti-di-nascosto-2644605519.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-caporali-africani-sono-i-nuovi-schiavisti-uomini-nei-campi-e-donne-sulla-strada" data-post-id="2644605519" data-published-at="1761142075" data-use-pagination="False"> I caporali africani sono i nuovi schiavisti. Uomini nei campi e donne sulla strada A dieci anni esatti dalla rivolata dei migranti di Rosarno e appena due giorni dopo la manifestazione delle sardine a Riace, in Calabria ieri è scattata un'operazione dei carabinieri contro il caporalato e lo sfruttamento degli extracomunitari della baraccopoli di San Ferdinando, che ha portato alla luce una triste realtà, dietro i buoni propositi e le belle parole di chi predica bene volendo accogliere tutti. L'inchiesta della Procura di Palmi, che si somma a quella della Dda di Catanzaro con centinaia di arresti prima di Natale, ci dicono anzitutto una cosa: in Calabria i migranti continuano a essere sfruttati da vivi e pure da morti, con persone che cercano di lucrare pure sui loculi destinati agli africani morti in mare. Non a caso l'indagine l'indagine sviluppata a Palmi è stata denominata «Euno», il nome dello schiavo siciliano ribelle, che nel 136 a.C. guidò la prima guerra servile contro il possidente terriero Damofilo. Chiarissime le parole del procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza: «C'è amarezza per il fatto che ancora una volta la magistratura è chiamata a una funzione di supplenza. Abbiamo interrotto un'attività criminale, assicurando giustizia a persone alle quali era stato negato il diritto di avere diritti e in particolare il diritto di affrancarsi dal bisogno». «Dopo 10 anni», ha aggiunto il procuratore, riferendosi alla rivolta di Rosarno «non è cambiato molto». L'indagine dei pm palmesi, ieri mattina, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare a carico di numerose persone ritenute responsabili, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. L'attività investigativa dei carabinieri ha colpito una rete di caporali, composta da cittadini extracomunitari di origine centrafricana all'epoca dei fatti domiciliati nella baraccopoli di San Ferdinando e a Rosarno, i quali - in concorso con i titolari di aziende agricole e cooperative del settore della raccolta e della vendita di agrumi nella Piana di Gioia Tauro - erano dediti all'intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro ai danni di braccianti agricoli extracomunitari, e anche al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione di donne africane. Scendendo più nel dettaglio dell'operazione, si scopre che i braccianti extracomunitari sarebbero stati costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, sette giorni su sette, senza alcuna protezione individuale, per 2-3 euro all'ora. Si scopre che i caporali, accusati di sfruttare i braccianti, sono anche loro extracomunitari, provenienti dall'area centroafricana e che avrebbero agito con la complicità di imprenditori agricoli locali. L'indagine è partita a seguito della denuncia di un migrante che ha trovato la forza di ribellarsi ai suoi sfruttatori. Complessivamente, ritornando ai numeri del blitz, i carabinieri, su ordine del gip del tribunale di Palmi, hanno arrestato 20 persone - 13 in carcere e sette ai domiciliari - e notificato altre nove misure restrittive, tra obblighi di dimora, divieti di dimora e obbligo di presentazione alla Pg. Tra gli arrestati figurano 13 caporali e sette imprenditori agricoli della zona, finiti ai domiciliari. In una terra povera di lavoro come la Calabria prevenire certe piaghe - come ha suggerito il procuratore Sferlazza, a margine della conferenza stampa dopo gli arresti - è pressoché impossibile, con i continui arrivi dall'Africa e dall'Asia. Tantissimi migranti che dovrebbero restare in Calabria giusto il tempo per la ricollocazione in altre nazioni europee rimangono per un periodo indeterminato, soggiornando nei centri d'accoglienza e nelle baraccopoli, senza un lavoro in regola. Di conseguenza, spesso riescono a sopravvivere solo chiedendo l'elemosina o lavorando sotto caporalato, con paghe misere e non dignitose. Nel caso in esame è emerso che ogni mattina all'alba presso la baraccopoli di San Ferdinando e nel campo container di Rosarno i caporali avrebbero obbligato i braccianti - anche quelli che avrebbero voluto usare la bici - a salire a bordo dei furgoni. È stato scoperto, inoltre, che alcuni braccianti, rannicchiati nel bagagliaio di station wagon, vedendo i militari dell'arma ai posti di blocco, scappavo per non farsi identificare. Quella condotta dalla Procura di Palmi è stata un'indagine vecchia maniera, con osservazioni, pedinamenti e la permanenza dei carabinieri impiegati nei campi dove gli extracomunitari venivano portati. In uno dei filmati registrati di nascosto dagli investigatori si vede addirittura il baciamano dei braccianti a uno dei caporali extracomunitari, che sarebbe pure un imam. Tale gesto, viene considerato da chi indaga un elemento comprovante la sottomissione dei lavoratori sfruttati. «Questa inchiesta», ha evidenziato il colonnello Giuseppe Battaglia, «ha il fine nobile di tutelare le fasce deboli. Non siamo qui solo per combattere la 'ndrangheta, ma anche per proteggere tutti, italiani e immigrati».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
Continua a leggereRiduci