Continua incessante l'esodo africano verso l'isola di Lampedusa, che è letteralmente allo stremo. Ieri c'è stato ancora uno sbarco di migranti, un barcone con 76 persone a bordo di origine tunisina. L'imbarcazione di fortuna è stata soccorsa, a circa 13 miglia dall'isola, da una motovedetta della Guardia costiera. I migranti sono stati messi in salvo su altro natante e accompagnati al porto di Lampedusa.
E le reazioni delle forze politiche e governative non si fanno attendere, anche se i lampedusani, oltre alle parole, forse, si aspetterebbero qualche fatto concreto. Da anni, ormai, le estati di Lampedusa sono caratterizzate dal solito leitmotiv dei barconi che arrivano senza soluzione di continuità. Ma negli ultimi due anni, il tutto è stato aggravato dall'emergenza sanitaria in atto, che rende tutto ancor più difficile da gestire.
Non è solo il Covid, del resto, a creare i presupposti per una situazione esplosiva: ieri Legambiente ha fatto notare che «i reflui fognari dell'hotspot» isolano «si riversano e si accumulano non depurati nelle vasche di laminazione in terra del vallone Imbriacola, in aree esterne alla riserva naturale, ma ricadenti all'interno di altre zone di importanza naturalistica». Legambiente definisce la situazione come un «gravissimo caso di degrado e inquinamento ambientale».
«Sbarchi senza sosta, Lampedusa al collasso, italiani esasperati», ha affermato Enrico Aimi, capogruppo di Forza Italia in commissione Affari esteri del Senato. «Come si può pensare di dare rifugio a chi arriva per risolvere problemi economici», si chiede il parlamentare, «nella certezza che saranno gli italiani a pensarci? Siamo alla follia». «Rivolgiamo un appello al presidente del Consiglio Mario Draghi» ha aggiunto Aimi, «affinché i confini dell'Italia e dell'Europa vengano fatti rispettare da Marina militare e Guardia costiera. Occorre fermezza: respingimenti e rimpatri immediati, specie per delinquenti e balordi. Si ponga così fine a interessi di scafisti, mercanti di uomini e alla parte malata del sistema di accoglienza. Allontaniamo definitivamente il sospetto di concorso morale con costoro. Un mercimonio disumano e ributtante che spinge gli africani, e non solo, ad un esodo biblico, abbacinati da un falso miraggio. A chi dice che non si fermano i sogni, bisogna spiegare che chi parte, per il 95 percento, non fugge da guerre o affini, e piomberà in un autentico incubo. Si facciano accordi economici con Paesi della sponda nord dell'Africa», puntualizza l'esponente di Forza Italia, «per creare dignitosi centri d'accoglienza. Sarebbe un risparmio di vite ed economico. Si guardi all'Egitto come interlocutore privilegiato e si creino rapporti distesi e reciprocamente proficui. L'Italia non può sopportare oltre», ha concluso.
Anche il governatori siciliano, Nello Musumeci, inoltre, se la prende con il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese. «L'emergenza c'è e va dichiarata per destare l'Europa. A differenza del ministro», ha dichiarato Musumeci, «continuo a ritenere necessaria la dichiarazione dello stato di emergenza, perché la condizione è questa. Non per una mia suggestione, ma per il numero complessivo dei migranti sbarcati, per la condizione sanitaria determinata dal Covid19, per la gestione pre e post quarantena degli arrivi, per l'impatto che esercita sul tessuto socio-economico».
L’obiettivo era ottenere lo status di rifugiato. Gli stranieri che avanzavano le richieste non erano davvero bisognosi di protezione, ma miravano a ottenere un titolo di soggiorno che garantisse loro libertà di movimento sul territorio italiano ed europeo. Il centro che garantiva la buona uscita dell’operazione era in Calabria, a Crotone, dove grazie a entrature negli uffici giusti (coinvolti avvocati e persino poliziotti), due sodalizi criminali riuscivano a far produrre permessi di soggiorno per protezione internazionale. Un sistema a maglie larghe che consentiva un accesso indiscriminato da parte di cittadini non aventi titolo con «evidente esposizione a forti rischi dello Stato italiano sull’ipotetico - ma non infondato - rischio di ingresso da parte di terroristi», secondo il gip del Tribunale di Crotone.
«Un magma indigesto che mostra come questa terra, la Calabria, abbia un deficit di legalità gravissimo anche in quei gruppi di professionisti che dovrebbero stare dalla parte della legalità». Il procuratore della Repubblica di Crotone, Giuseppe Capoccia, usa termini forti nel commentare la maxioperazione contro l’immigrazione clandestina che coinvolge 90 indagati, fra i quali anche un gruppetto di colletti bianchi che, a sentire l’accusa, avrebbero favorito illegalmente il soggiorno in Italia di immigrati in assenza dei requisiti. I capi d’imputazione, contestati a vario titolo, sono in tutto 209. L’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Alessandro Rho, ha portato, ieri, all’esecuzione di 24 misure cautelari, ordinate dal gip del Tribunale della città di Pitagora Romina Rizzo. L’operazione è stata denominata Ikaros. Si ipotizza, fra l’altro, il reato di associazione a delinquere per favoreggiamento alla permanenza illecita di immigrati, con l’aggravante della transnazionalità. Alcuni professionisti di Crotone figurano fra gli indiziati e sono finiti agli arresti domiciliari: si tratta di cinque avvocati (che si sarebbero occupati di predisporre la documentazione e le attestazioni false alla base delle richieste), due poliziotti, un vigile urbano e un dipendente della Prefettura di Crotone.
Gli inquirenti hanno ricostruito le attività di due gruppi, che avrebbero ramificazioni in tutta Italia e all’estero. Sarebbero state illecitamente attestate residenze fittizie e false assunzioni nei confronti di stranieri, soprattutto iracheni e curdi, richiedenti asilo. Il meccanismo ricostruito era questo: gli immigrati, una volta giunti sul territorio italiano chiedevano la protezione internazionale, per ottenere un permesso di soggiorno, che consentiva loro di rimanere in Italia, benché la protezione internazionale richieda particolari e determinate condizioni, non è cioè un provvedimento automatico per tutti gli immigrati. Per ottenerla, gli stranieri sarebbero stati disposti a pagare somme di denaro.
I presunti promotori dei due sodalizi erano alcuni immigrati che vivono in Calabria, che con la complicità di chi era all’interno delle istituzioni, avrebbero posto in essere la trama ieri colpita e interrotta dalla magistratura inquirente. «Il motore delle due associazioni», ha dichiarato il sostituto procuratore Alessandro Rho «era il denaro». Si parla di diverse migliaia di euro a pratica. Queste due associazioni, che avevano dei punti in comune, fungevano, secondo l’accusa, da agenzie di servizi illeciti per creare documenti falsi creati ad arte per permettere di far ottenere i permessi di soggiorno e far restare in Italia persone che non ne avevano diritto. L’inchiesta ha riguardato un arco temporale che va dal 2017 al 2020 ed è partita da una segnalazione interna alla questura di Crotone. «Abbiamo fotografato quello che si può definire il sistema Crotone», ha detto il vicequestore della città calabrese, Nicola Lelario. «La nomea», ha aggiunto il funzionario della polizia di Stato, «era che qui a Crotone si ottenevano facilmente i permessi di soggiorno». Le due associazioni organizzavano tutto: dalla falsificazione dei documenti ai viaggi in Italia per fare il colloquio. «Quando abbiamo fermato diverse persone che avevano ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale in modo illegale», ha confermato il poliziotto, «queste hanno subito rinunciato».
Gli stranieri indagati avrebbero avuto il compito, invece, di far aver avere ad altri stranieri connazionali la documentazione necessaria per ottenere il permesso di soggiorno, inoltrando la richiesta di protezione internazionale alle questure di Catanzaro e Crotone.
A supporto dell’impianto accusatorio ci sono anche una serie di intercettazioni che, stando alle valutazioni che fa il gip, mettono a nudo tutti i presunti raggiri commessi per l’ottenimento di permessi di soggiorno in serie. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si è affrettato a complimentarsi con gli investigatori, non tenendo in conto ciò che risulta dalle indagini, ovvero un quadro ben preciso di come sia facile richiedere e ottenere protezioni umanitarie, anche quando gli stranieri non ne hanno effettivamente i requisiti, trattandosi, come si è accertato, di migranti economici e non di rifugiati in fuga da Paesi in guerra. L’Italia, ha dimostrato l’inchiesta, anche questa volta veniva considerata la porta d’ingresso per l’Europa.
Da buon aziendalista, su Facebook, il 30 dicembre aveva pubblicato un articolo dell'Huffington post intitolato «Vaccino Pfizer, 6 dosi a flacone (e non 5) grazie alle siringhe di Arcuri». Ora Natale Errigo, trentaquattrenne dipendente di Invitalia e membro dello staff del commissario all'emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, è finito in carcere (per il gip l'unica misura che «risulta in grado di recidere i legami con i contesti 'ndranghetisti») con l'accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Sempre sui social leggiamo il suo motto: «Sul cadavere del leone festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani».
Devono pensarla così anche i pm e il gip, che ritengono che Errigo, nonostante avesse iniziato un brillante carriera in Invitalia, non abbia mai tagliato i ponti con la sua famiglia 'ndranghetista. Hanno scritto gli inquirenti nella richiesta di arresto: «Imparentato con esponenti della cosca De Stefano/Tegano di Archi, segnatamente con Francesco Antonio Saraceno condannato in via definitiva» e con altri malavitosi.
Errigo, di professione commercialista, su Linkedin fa sapere di essere dal 2013 business analyst di Invitalia e i pm di lui scrivono: «Professionista e consulente (in realtà dipendente, ndr) di Invitalia, società pubblica di enorme interesse nazionale, ha mostrato una non comune capacità relazionale interagendo con politici e faccendieri».
Gli inquirenti specificano che «il vertice di Invitalia», Domenico Arcuri, anche se non viene nominato, è «assolutamente estraneo alla indagine» ed «è stato nominato commissario straordinario per l'emergenza Covid-19; a dimostrazione della importanza dell'incarico ricoperto da Errigo».
L'accusa per quest'ultimo è quella di essersi accordato con un gruppo di imprenditori, tra cui Antonio Gallo, personaggio intorno al quale ruota l'inchiesta, e consiglieri comunali calabresi, accusati di mafiosità, per sostenere la candidatura alla Camera di Francesco Talarico, segretario locale dell'Udc e assessore regionale. Tutti «gli confermavano il sostegno elettorale» scrivono i magistrati, «peraltro Errigo facendosi chiarire esplicitamente (…) la necessità che i patti venissero onorati, il tutto in cambio di utilità consistite, oltre a quelle già pattuite (…), in altrettante entrature nel settore degli appalti per Errigo - consulente aziendale e referente di imprese che intendeva favorire - e Antonino Pirrello, titolare di impresa di pulizie con commesse in enti pubblici». Gli accordi sarebbero stati presi a Catanzaro, Roma e Reggio Calabria, tra il mese di giugno 2017 e il 4 marzo 2018, data delle ultime elezioni.
Sempre la Procura fa altri riferimenti a Invitalia. Per esempio diversi imprenditori, attraverso dei prestanome, secondo l'accusa, stavano realizzando una società per edificare un villaggio turistico in Calabria grazie a contributi di Invitalia. Si parla dell'agenzia anche in una conversazione ambientale tra Gallo e il «business analyst», captata dal trojan il 16 gennaio 2018. Per gli investigatori «Errigo espone alcune dinamiche di Invitalia, affermandone i risultati positivi in merito ai decreti di finanziamento in atto (parla del decreto "Resto al Sud"). Poco più defilati c'erano Antonino Pirrello e Franco Talarico». Dopo alcuni minuti il discorso entra nel vivo ed Errigo dà il proprio numero di cellulare a Talarico e poi dice che «lui vive ormai da 4 anni a Roma dopo aver (fatto, ndr) master in giro per l'Italia» e aggiunge: «Se lei dovesse avere bisogno di qualcosa a Invitalia...».
Successivamente, secondo i pm Errigo «si presenta meglio»: «Siamo completamente, allora premesso che... quindi allora siccome noi siamo, noi siamo il gruppo... diciamo, che seguiva Antonio (Caridi, ex senatore di Forza Italia arrestato nel 2016 in un'inchiesta su 'ndrangheta e massoneria e oggi imputato a piede libero, ndr) dappertutto, andavamo... cioè per dirne una... andammo anche al compleanno di Berlusconi eh... andai con Antonio, quindi per dire e considerato che si è rivelato un po'... così... allora a quel punto io sono disposto a mettere scheda bianca».
Ieri Invitalia ha diramato questo comunicato: «La Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro ci ha informato che un dipendente di Invitalia, Natale Errigo, con la qualifica di impiegato di terzo livello, è stato sottoposto a misura cautelare (…). Il suddetto impiegato faceva altresì parte, negli ultimi mesi, del gruppo di dipendenti di Invitalia che supportano la struttura del Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19. Invitalia ha già provveduto a sospendere dalle funzioni e dallo stipendio il suddetto impiegato, riservandosi, espressamente, ogni ulteriore azione a tutela della società». La Procura ha chiesto l'esibizione di documentazione attinente all'indagine e da Invitalia fanno sapere di aver «già provveduto a mettere a disposizione degli inquirenti le informazioni e la documentazione richiesta (…) nell'imprescindibile spirito di assoluta e totale collaborazione». In quest'ottica «è stato già verificato e comunicato agli inquirenti che non sussiste alcuna relazione né alcun rapporto economico o contrattuale tra le altre persone fisiche e le persone giuridiche oggetto delle indagini e la struttura del Commissario all'emergenza». Un controllo rapidissimo, trattandosi di decine di indagati.
Il nome di Errigo viene citato nelle intercettazioni dell'inchiesta romana sulla maxi fornitura di mascherine cinesi da 1,25 miliardi di euro portate in Italia grazie a un gruppo di mediatori oggi indagato per traffico illecito di influenze. Il nome di Errigo, che nell'organigramma dello staff di Arcuri (40 persone in tutto) fa parte del gruppo «Gestione distribuzione», compare in una telefonata tra Massimo Paolucci, global advisor della struttura per l'emergenza, e Antonio Fabbrocini, addetto agli acquisti, tuttora indagato per corruzione, anche se la Procura ha chiesto l'archiviazione. Ecco il brogliaccio: «Fabbrocini dice che domani manda Natale e Moricone (fonetico) ad aprire tutti i pacchi delle tute “per verificare la corrispondenza di quelle che ci sono con quelle dei documenti che ha la dogana"». Anche il mediatore Andrea Tommasi e N. V., titolare di una ditta perquisita nell'inchiesta, fanno il nome di Errigo a proposito di richieste di chiarimenti in corso.
N. V.: «Ieri ho mandato tutto a Irene… come aveva chiesto Natale».
Tommasi: «Esatto, così lui... Sicuramente ci chiederanno altra roba, sicuro, ma intanto abbiamo preso tempo». Insomma a fare i controlli per la struttura del commissario sembra che fosse Errigo. Quando si dice essere in una botte di ferro.





