2024-04-30
Emiliano cerca di trovare una scusa per non parlare davanti all’Antimafia
Michele Emiliano (Imagoeconomica)
L’ex magistrato prova a evitare la convocazione in commissione parlamentare fissata per il 2 maggio: «Ho altri impegni, dovete rinviare». La replica: «Vuole scegliersi la data in base alle sue esigenze politiche».I legali chiedono la libertà per l’ex commissario dell’Arti Alfonso Pisicchio, ma emergono nuove accuse. La Procura sentirà un giornalista: avrebbe avvisato il governatore di una perquisizione.Lo speciale contiene due articoli.Il ruolo da magistrato antimafia che ha svolto fino alla soglia della prima campagna elettorale da aspirante sindaco ha sempre avuto un certo peso specifico nell’azione politica di Michele Emiliano che, ora, con una buona fetta dei suoi grandi elettori finiti sotto le macerie delle inchieste giudiziarie (una delle quali per presunte infiltrazioni dei clan nella politica), cerca di sfilarsi dalla convocazione in commissione parlamentare Antimafia. Ufficialmente la commissione dovrà sentirlo sulla clamorosa affermazione pubblica con la quale ha raccontato di aver portato Antonio Decaro (all’epoca alla prima campagna elettorale da candidato sindaco di Bari) a casa della sorella del boss Capriati. Decaro ha smentito ma quella ricostruzione di Emiliano non si è dissolta, come speravano i supporter del governatore. E quando la sua convocazione è diventata concreta ha preparato una lettera per spiegare «di non ritenere opportuna in questo momento una sua audizione», infischiandosene della richiesta avanzata proprio dall’ufficio di presidenza. Emiliano questa volta, messo da parte il piglio da ex pm, appare come uno studentello impreparato chiamato all’interrogazione. Ha cominciato a tergiversare accampando una serie di delicati impegni legati alla recente fase politica in consiglio regionale, come la votazione della mozione di sfiducia nei suoi confronti presentata dal centrodestra. Con le spalle al muro, visto che la commissione, per agevolarlo, gli aveva indicato in modo informale anche ben cinque date alternative (il 30 aprile, il 2, il 7, l’8 o il 9 maggio prossimi), ha spiegato: «Il 7 maggio purtroppo è prevista la seduta del consiglio regionale nella quale si comincerà a trattare la mozione di sfiducia». E ha tentato di buttarla in politica: «Questa circostanza rischia di creare una involontaria connessione, ribadisco pur senza volontà di alcuno, tra la mia audizione e il dibattito consiliare sulla fiducia». Poi ha provato ad argomentare, ponendosi anche al di sopra della commissione: «Credo che sia dovere di tutti evitare una commistione tra le necessità istruttorie della commissione e la dinamica consiliare immediatamente precedente e successiva al voto di fiducia. Anche al fine di evitare strumentalizzazioni politiche». Infine, come farebbe un avvocato d’ufficio chiamato all’improvviso a difendere un imputato, ha chiesto un rinvio: «Sento la necessità istituzionale di preparare e di gestire successivamente l’esito della mozione di sfiducia tenendola ben distinta dalla mia audizione in commissione Antimafia. Gioverebbe quindi alla serenità di tutti il fatto che io possa affrontare l’audizione in tempi e modi significativamente distinti dalla mozione di sfiducia. Salvo che non esistano esigenze oggettive di estrema urgenza che alla luce delle mie conoscenze non sembrano sussistere». Emiliano però, pur essendosi dimostrato più volte come particolarmente informato (perfino su indagini in corso e arresti che sarebbero stati eseguiti), non dovrebbe conoscere le esigenze della commissione, alla quale, in coda alla sua lettera, è arrivato perfino a ricordare che «come per ogni soggetto terzo, la commissione non solo deve essere terza (e nessuno dubita di ciò), ma deve anche apparire tale». Per vie informali proprio dalla commissione parlamentare Antimafia hanno prima fatto sapere che Emiliano «non può esimersi», poi hanno stabilito la data ufficiale: giovedì 2 maggio alle 10.30, indicando l’Aula del quinto piano di Palazzo San Macuto come luogo in cui si svolgerà l’audizione e specificando che l’appuntamento «verrà trasmesso in diretta» sulla web tv della Camera. Compreso che il giochino non gli stava riuscendo, Emiliano ha provato un estremo tentativo di salvataggio: «Leggo che si riferisce di una mia presunta indisponibilità all’audizione presso la commissione parlamentare Antimafia. La circostanza è falsa e rappresentata malevolmente». Uno dei commissari, la deputata Elisabetta Piccolotti di Alleanza dei Verdi e Sinistra, gli ha quindi lanciato un salvagente: «La vicenda si è risolta. Emiliano verrà in Antimafia il 2 maggio ed è giusto così. Sono contenta che il presidente della Puglia abbia dato la sua disponibilità che, all’inizio, sembrava negata. Evidentemente c’è stato un fraintendimento sulle date». E invece no. Il governatore davanti alla commissione sembra proprio non volersi sedere: «Illustre presidente», ha scritto ieri sera, «con riferimento alla mia convocazione per la data del 2 maggio comunico la mia indisponibilità per tutte le ragioni già rappresentate nella mia lettera cui si aggiungono, come causa di legittimo impedimento alle ore 10.00 (coincidenza, ndr) la convocazione della Conferenza delle Regioni e alle successive ore 12.30 della Conferenza unificata convocata dal ministro Roberto Calderoli». E per prendere altro tempo ha aggiunto: «In ogni caso, essendo mio intendimento essere audito in commissione, comunico che sono disponibile in ogni momento dal 10 al 30 maggio, a patto che si sia concluso con il voto il dibattito nel consiglio regionale della Puglia sulla fiducia richiesto dal centrodestra». Si fa come dice lui? Dalla commissione Antimafia filtra irritazione: «Vuole scegliersi la data in base alle sue esigenze politiche». Il capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione, Riccardo De Corato aggiunge l’ultimo tassello: «Attraverso le interlocuzioni tra Emiliano e gli uffici della commissione è emerso che la presidente Chiara Colosimo gli aveva chiesto di anticipare l’audizione prima della mozione di sfiducia in consiglio regionale, ma lui si è detto contrario. Se non dovesse presentarsi il 2 maggio decideremo cosa fare come da prassi in ufficio di presidenza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/inchiesta-emiliano-pd-bari-2668092751.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="due-fatture-inguaiano-pisicchio" data-post-id="2668092751" data-published-at="1714452926" data-use-pagination="False"> Due fatture inguaiano Pisicchio Proprio nel giorno in cui i difensori dell’ex assessore regionale pugliese Alfonso Pisicchio, disarcionato da Michele Emiliano via Whatsapp poche ore prima del suo arresto («o ti dimetti o ti caccio») dalla poltrona da commissario dell’Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione (Arti), hanno chiesto di annullare l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari che aveva disposto il gip il 10 aprile scorso, sono saltati fuori ulteriori elementi d’accusa. Tra questi ci sono due fatture: una intestata a suo fratello Vincenzo e l’altra alla Plus Innovation di Giovanni Riefoli, che, stando agli inquirenti, sarebbe stato aiutato ad aggiudicarsi una gara da 5,5 milioni indetta dal Comune di Bari. A emetterle fu un mobilificio di Martina Franca, dove Vincenzo Pisicchio e la moglie si sarebbero presentati a più riprese per scegliere una cucina da quasi 30.000 euro. Di quell’acquisto parlarono in alcune conversazioni intercettate: «Ho parlato con Giovanni, veniamo a vedere. Mia moglie voleva anche le vetrinette per mettere l’argenteria», avrebbe detto Vincenzo alla commessa. Ma è un’altra la frase dalla quale potrebbe partire l’interrogatorio di Vincenzo (chiesto da lui dopo la rivelazione fatta al gip dal fratello Alfonso sui contenuti della chat con Emiliano e fissato per giovedì prossimo davanti al pm Claudio Pinto): «Ho costruito tutto io», avrebbe detto in uno scambio di battute con sua figlia. Gli inquirenti tenteranno anche di capire come mai sul terrazzo della sua abitazione c’erano 65.000 euro in un sacco per l’immondizia. Proprio a quel periodo, ha ricostruito ieri Repubblica sull’edizione barese, risalirebbero delle segnalazioni di operazioni sospette messe a punto dalle banche sulle «movimentazioni bancarie in favore di Vincenzo Pisicchio». Si parla di due assegni da 22.500 euro (per la vendita di un immobile) nei giorni successivi alle perquisizioni. Ma sospetti sarebbero anche altri due «bonifici per complessivi 26.500 euro effettuati nell’ottobre 2019 da un conto corrente» che Vincenzo Pisicchio gestiva da mandatario elettorale del fratello Alfonso. E infine ci sarebbero otto polizze vita da 142.000 euro. Ora i suoi difensori fanno sapere che «è pronto a rispondere alle domande». Comprese quelle sulla chat con Emiliano sulla presunta fuga di notizie, che il governatore avrebbe attribuito a «fonti romane». In passato, però, Emiliano avrebbe potuto contare anche sulle soffiate di un giornalista. La Procura barese ha disposto la citazione all’udienza predibattimentale del 14 aprile 2025 del giornalista Nicola Pepe (che in quel momento si occupava del sito web della Gazzetta del Mezzogiorno) per favoreggiamento personale. Pepe è accusato di aver rivelato a Emiliano (indagato per finanziamento illecito e abuso d’ufficio per la campagna elettorale delle primarie del Pd, accuse dalle quali è stato poi assolto) dell’imminente perquisizione domiciliare e degli uffici della presidenza della giunta regionale. Il 9 aprile del 2019, secondo l’accusa, il giornalista avrebbe riferito a Emiliano quanto aveva appreso poco prima in redazione, rivelando l’imminenza della perquisizione. Emiliano, quello stesso giorno, denunciò in Procura la rivelazione del segreto. Pepe, che aveva appreso la notizia da un collega, Massimiliano Scagliarini, che l’avrebbe dovuta pubblicare e per questo è stato prosciolto (ed è indicato come parte offesa nel procedimento a carico di Pepe), è accusato, di aver provocato «un grave nocumento all’attività investigativa».
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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