2023-10-23
Troppi due conflitti: in Ucraina è l’ora della tregua
Chiodo scaccia chiodo, dice il proverbio. E in effetti, da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, con il rischio che il conflitto si estenda a tutto il Medio Oriente, quella in atto tra Russia e Ucraina è passata in secondo piano. L’America di Joe Biden annuncia che sosterrà entrambe le cause e non abbandonerà al proprio destino Volodymyr Zelensky. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, la svolta è nei fatti e se n’è accorto anche il Financial Times. Mentre la Casa Bianca fa sapere che non mancherà il sostegno finanziario alla causa di Kiev, è evidente che l’attenzione degli Stati Uniti ormai è concentrata su ciò che sta accadendo all’unica democrazia di un’area che definire strategica è dir poco.Non ci sono soltanto gli equilibri geopolitici. C’è una serie di altri interessi, a cominciare da quelli petroliferi che vanno tenuti in conto. E, in effetti, il presidente americano si è precipitato a Gerusalemme mentre tutta la diplomazia a stelle e strisce è concentrata su quel fazzoletto di terra che da quasi ottant’anni agita i sonni dell’Occidente.Le ragioni che determinano un tale spostamento di influenza sono evidenti. Anche perché ciò che accade nella Striscia di Gaza non si limita alle poche centinaia di chilometri quadrati che si affacciano sul Mediterraneo. La guerra tra Israele e Hamas rischia, infatti, di fare da detonatore a una situazione altamente instabile, ma soprattutto minaccia di saldare gli interessi di una serie di Paesi canaglia. L’Iran, per quanto preoccupato di una reazione da parte di Gerusalemme e in particolar modo di Washington, non vede l’ora di uscire dall’angolo in cui è confinata la Repubblica islamica di Teheran per poter trovare alleati in Russia e Cina.Ma non ci sono solo gli ayatollah: c’è pure il dittatorello di Pyongyang il quale, dopo essere stato ricevuto con tutti gli onori a Mosca, sogna di poter avere una ribalta internazionale. Poi ci sono tanti altri attori che finora erano tenuti ai margini e adesso sentono di poter guadagnare un ruolo sullo scacchiere del mondo. Dunque, se da quasi due anni l’attenzione era rivolta a Kiev e agli equilibri della nomenclatura russa, dal 7 ottobre, giorno in cui le milizie di Hamas hanno assaltato i villaggi israeliani facendo strage, tutto è cambiato.Perciò, anche se non sta ottenendo successi militari in Donbass, Vladimir Putin gode. Dopo aver giocato un ruolo nella sconfitta dello Stato islamico e nel salvataggio della dittatura di Assad, oggi intravede la possibilità di inserirsi nei giochi fra Stati arabi e Israele, a scapito dell’odiata America.Zelensky, che da marzo dello scorso anno ha monopolizzato l’attenzione dell’Occidente, ha capito subito che tira una brutta aria. E infatti, si è precipitato al quartiere generale della Nato per ricevere rassicurazioni per il futuro. Ufficialmente, niente è cambiato rispetto a un mese fa, quando tutti i leader dei Paesi europei, insieme agli Stati Uniti, ribadivano il sostegno senza se e senza ma all’Ucraina. Ma nei fatti, sono bastati pochi giorni per comprendere che le parole di un mese fa appartengono a un’altra era geologica.Biden, Scholz, Sunak e Giorgia Meloni si sono precipitati a Gerusalemme così come, appena un anno fa, correvano a Kiev. E se i miliardi stanziati a favore della resistenza contro l’invasione russa sono stati confermati, potrebbe volerci poco per dirottare i prossimi fondi verso altre destinazioni.Ma non si tratta solo di dividere le risorse, dirottando ciò che prima era a disposizione della causa Ucraina verso quella mediorientale: è necessario stabilire quali sono le priorità ed è evidente che lo scontro fra Israele e Hamas, con tutti i Paesi dell’area che sostengono il movimento di resistenza islamico, viene prima. Dunque, se non si vuole che la vicenda ucraina si incancrenisca, oggi più che mai urge trovare una soluzione, che nei fatti significa raggiungere una tregua. Se già prima non suonava strano sentir parlare di uno stop al conflitto che congelasse le posizioni, ora diventa quasi indispensabile. Sarebbe una soluzione alla coreana, senza riconoscimento di nulla, né dei territori occupati né delle rivendicazioni delle parti. Solo una fotografia della situazione, nulla di più di questo. Del resto, i mesi a venire, con l’inverno alle porte, di fatto bloccherebbero qualsiasi avanzata. Perciò, tanto vale riconoscere ciò che la stagionalità da sola comporterebbe. Certo, per Zelensky sarebbe una sconfitta e per Putin una mezza vittoria. Ma nelle guerre, tener aperti troppi fronti è un rischio. E per gli Stati Uniti, se prima la prosecuzione della guerra in Ucraina era anche un deterrente contro le ambizioni della Cina su Taiwan, oggi il pericolo di essere impantanati e indeboliti sul fronte orientale dell’Europa trascurandone altri è troppo forte. Urge trovare una via d’uscita. Almeno in Ucraina.