2020-04-14
«In Svezia tutti fuori. Il popolo ha cieca fiducia nel governo»
Francesco Vaccarezza, infermiere italiano dal 2017 a Stoccolma: «Qui è come Codogno all'inizio dell'epidemia. La gente non sembra rendersene conto».«In Italia non ho mai avuto un contratto che durasse più di tre mesi», ricorda Francesco Vaccarezza mentre un'eco di livore gli tinge la voce. «Le ho provate tutte. Poi, su Facebook, ho conosciuto un ragazzo che lavorava a Stoccolma. Quando mi ha illustrato il modello lavorativo svedese sono rimasto a bocca aperta, sembrava il Paese ideale».Così, nel 2017, dopo anni di precariato, l'infermiere originario di Chiavari (Genova), una laurea in infermieristica e una specialistica in lingua russa presa a Mosca, ha abbandonato la sua terra natìa per trasferirsi in Svezia. Accompagnato dall'ex moglie e da un figlio piccolo, è volato a Stoccolma alla ricerca di una carriera più adeguata alle competenze acquisite, nonché di un futuro più solare per il suo erede. Oggi, lavora nel reparto di chirurgia del Södersjukhuset, tra i più importanti ospedali della capitale. E, però, non è tutto oro quel che luccica. Secondo il trentottenne ligure, l'avvento del coronavirus sta illuminando i lati oscuri di una nazione contraddittoria e, per certi versi, arretrata. «La Svezia è molto brava a mostrare gli aspetti edificanti nascondendo il marcio. È un'Unione sovietica moderna».Addirittura?«Dopo tre anni, ho imparato a conoscere la mentalità locale, un misto di ingenuità e manie di grandezza. Si credono i migliori in tutto: dalla sanità alla scienza, all'economia. Non a caso, di fronte alle critiche di Trump sulla gestione dell'emergenza da parte del premier Stefan Löfven, il governo ha risposto che la Svezia ha uno dei migliori sistemi sanitari al mondo. Cosa assolutamente falsa, ci sono lacune enormi».Per esempio?«Per la terapia intensiva, è in fondo alla classifica europea con 5 posti letto per 100.000 pazienti. Un terzo di quelli che avevamo in Italia all'inizio dell'emergenza».Come fu accolto al suo arrivo?«È stato un po' traumatico, ancora oggi non posso dirmi completamente ambientato. Gli svedesi sono un popolo alquanto selettivo».Attualmente gli esercizi commerciali sono aperti.«Certo. Alcuni con orario ridotto. Si cerca di salvaguardare l'economia il più possibile. Nelle aziende, chi ha la possibilità resta a casa in smart working; chi non può, va in ufficio. Le scuole, tranne licei e università, sono aperte. Mio figlio, però, è a casa da un mese».So che adesso si trova a casa in quarantena.«Non dico che mi ci sono messo da solo, ma quasi. Ho iniziato a tossire un mese fa. Niente febbre, ma avevo fatica cronica e affanno nel camminare. Qui, dopo due giorni senza sintomi puoi tornare al lavoro. Lo scorso weekend stavo bene, così ho provato a rientrare, ma durante il servizio è ritornata la tosse e mi hanno mandato a casa».Senza farle il tampone?«Già. La mia attuale compagna è infermiera come me e lavora in un altro ospedale: anche da lei nulla. Un'assurdità, Stoccolma è il focolaio. È come essere a Codogno all'inizio dell'epidemia. Siamo Bergamo, ecco».Cioè, si naviga a vista.«Addirittura, se vivi con un parente positivo al tampone, fin quando non manifesti sintomi puoi andare al lavoro».L'opinione pubblica appoggia questa gestione dell'emergenza?«Un recente sondaggio ha mostrato che il consenso nei confronti del governo è aumentato. Lo svedese medio vede come positivo il fatto di non essere ancora entrati in lockdown, considerato una privazione dei diritti costituzionali».Qual è la situazione, al momento?«Abbiamo più di 700 morti, che equivalgono a oltre 4.000 vittime italiane, essendo la Svezia un paese di 10 milioni di abitanti. A Stoccolma, i posti in terapia intensiva erano 90 prima dell'emergenza, ora siamo a 200, più altri 600 ricavati con un ospedale da campo in zona fiera. Ma non bastano. I positivi accertati sono circa 8.000, ma si stima che potrebbero superare i 500.000».Vuole dire che i dati ufficiali non rispecchiano la realtà?«La sensazione è questa. Sembra che il virus contagi dal lunedì al venerdì, e che il sabato e la domenica si riposi. Nel weekend, il livello di informazione crolla, il governo non tiene conferenze stampa. Se si guardano i grafici dei decessi, nei fine settimana la curva scende».Perché mai?«Qui il weekend è sacro».Nessun virologo che parli fuori dal coro?«Le posizioni controcorrente, raccomandazioni dell'Oms incluse, vengono scartate. Sembra di essere in Corea del Nord».Ora non starà esagerando?«Il fatto è che il popolo ha una fiducia cieca nel governo, e il governo si adagia sul senso di responsabilità del popolo».Forse Löfven faceva affidamento sullo stile di vita di una nazione che non ha nella socialità un tratto caratteristico?«Teoricamente è così, la distanza sociale in Svezia esiste già in natura. Ma a Stoccolma, che è la sesta città in Europa per densità della popolazione, il virus sta dilagando».E gli svedesi, a quanto dice, non sembrerebbero preoccuparsi troppo.«Il livello di allarme è basso, per le strade pochi indossano la mascherina. Chi lo fa è quasi mal visto».Lei come la vede?«Sono preoccupato perché lavoro in ospedale e ho visto cosa può succedere. La situazione non è ancora critica, ma i reparti normali stanno via via scomparendo per diventare Covid. Ho paura di tornare a casa e infettare mio figlio».A distanza di tre anni, è pentito della scelta atta?«Più che pentito, direi deluso. L'idea di lasciare la Svezia c'è, anche se mi ha dato tanto in termini di dignità: sul lavoro, non esistono i soprusi ai quali ero abituato in Italia. Guadagno 2.400 euro netti al mese, ho preso la specialistica come infermiere di sala operatoria percependo lo stipendio pieno anche se non lavoravo. Qui vedi crescere i tuoi figli: appena arrivato con la mia ex moglie, ci hanno dato 240 giorni a testa di congedo parentale validi fino al compimento dell'ottavo anno del bambino».Insomma, se lascerà la Svezia non sarà per tornare in Italia.«Gli affetti e lo stile di vita mancano, ma nutro ancora un certo rancore verso il nostro Paese. E non vedo un futuro, specie adesso».