2019-07-11
In Libia bombardano gli immigrati e sui missili c’è il timbro di Parigi
Scoop del New York Times: in un magazzino a 80 chilometri da Tripoli armamenti pesanti di fabbricazione americana, venduti alla Francia con l'impegno di non cederli a terzi. Invece li usa Khalifa Haftar: Eliseo in imbarazzo.Washington prende posizione nello scenario libico: dopo aver avvicinato gli emiri per isolare i ribelli, bacchetta apertamente le politiche transalpine sull'area.Lo speciale contiene due articoli. Come mai a Gharian, in una base abbandonata dalle forze fedeli all'uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, dopo una controffensiva dei filogovernativi a giugno sono stati ritrovati quattro missili anticarro Javelin di fabbricazione statunitense, che la Francia aveva acquistato da Washington nel 2010? È la domanda che sorge dopo lo scoop del New York Times, che ha rivelato quanto scoperto dal dipartimento di Stato americano sulle armi rinvenute 80 chilometri a sud di Tripoli, nella cittadina che - fino a poche settimane fa - era avamposto strategico per le forze del generale Haftar, prima che venisse riconquistata dagli uomini di Fayez Al Serraj. Nonostante le smentite di Parigi, tornano interrogativi sulla presenza delle forze militari francesi a Gharian per assistere gli uomini di Haftar nella loro offensiva su Tripoli. Un'offensiva mascherata da «operazione antiterrorismo» sulla capitale, che in realtà è un vero e proprio attacco al governo riconosciuto dalle Nazioni Unite e sostenuto dall'Italia. Due settimane fa uno dei generali di Serraj, Mustafa Al Mashi, aveva raccontato alla tv Libya Al Hurra, di aver visto «militari francesi» fuggire mentre i suoi uomini entravano a Gharian, come ricorda l'Agenzia Nova: «Sei auto con a bordo militari francesi che si trovavano nel comando delle operazioni di Haftar» nella città a sud di Tripoli. Le accuse furono però respinte «categoricamente» dall'ambasciata francese in Libia. I Javelin (cioè «giavellotto») sono missili entrati in servizio a metà anni Novanta. Protagonisti in Afghanistan e Iraq, possono colpire carri armati ed elicotteri a bassa quota. Gli States nel 2010 ne avevano venduti 260 alla Francia, facendo però esplicito divieto di cederli a terzi: Washington temeva finissero nelle mani di gruppi rivali. Proprio quello che invece sarebbe accaduto in questo caso, sull'asse Parigi-Bengasi.La fonte militare francese che ha confermato l'origine dei quattro missili al New York Times ha dato anche delle cifre: 170.000 dollari ciascuno, parte di un lotto di 260 missili venduti dagli Stati Uniti alla Francia nel 2010. Il ministro della Difesa di Parigi ha confermato che i Javelin scoperti in Libia dalle forze di Serraj nella base che era di Haftar sono «effettivamente francesi», ma «danneggiati e fuori uso», «temporaneamente immagazzinati in un deposito per la distruzione» ma che «non sono stati trasferiti alle forze locali», come riferisce il quotidiano Le Figaro. Si tratterebbe, secondo la Difesa francese, di armi destinate «all'autoprotezione di un distaccamento francese schierato per scopi di intelligence antiterrorismo».Dura la reazione dell'Italia, con il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini - da settimane il più attivo dell'esecutivo sul dossier Libia - che ha dichiarato: «Sarebbe un fatto gravissimo, chiederemo spiegazioni: dobbiamo lavorare tutti insieme per pacificare la Libia, non per armare gruppi che poi attaccano obiettivi civili». Ci sono alcuni punti oscuri in questa vicenda, che merita spiegazioni da parte di Parigi. Basti pensare che soltanto la scorsa settimana, a tre mesi di distanza dall'inizio dell'offensiva di Haftar su Tripoli (che ha causato oltre 1.000 morti e quasi 6.000 feriti), il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva chiesto una tregua in Libia e aveva invitato tutti gli Stati membri a rispettare l'embargo sulle armi del 2011. Si pensava che molte delle violazioni registrate negli ultimi mesi fossero state commesse da nazioni mediorientali o del Golfo, in particolare dagli Emirati Arabi Uniti: Abu Dhabi, che dopo il rallentamento dell'offensiva si sta sempre più smarcando da Haftar, aveva smentito di aver rifornito il generale di Bengasi con armi di fabbricazione statunitense. Nonostante Parigi sia da tempo accusata dai partner internazionali - Italia in primis - di sostenere l'uomo forte della Cirenaica anche a costo di andare contro alle politiche dell'Unione europea, mai era finita coinvolta nelle accuse di violazione dell'embargo. Invece, l'unica certezza che ora abbiamo è proprio quella che collega i missili finiti nelle mani degli uomini di Haftar alla Francia di Emmanuel Macron.«Ancora una volta, la Francia è in imbarazzo per la sua politica in Libia», spiega Jalel Harchaoui, esperto del Clingendael institute. «Il caso Javelin suggerisce che agenti del Dgse (i servizi segreti esteri di Parigi, ndr) erano probabilmente con il Lna (l'esercito di Haftar, ndr) a Gharian. Visto il costo dei missili Usa, detti agenti erano probabilmente pronti a intervenire in circostanze specifiche». Non tornano i conti, infatti, perché l'unica missione francese di terra è datata 2015: forze speciali inviate per assistere Haftar contro l'Isis a Bengasi. Ma Bengasi e Gharian distano un migliaio di chilometri. Delle due una: o Parigi ha lasciato ad Haftar i missili violando così il contratto per l'operazione antiterrorismo - e dunque l'embargo - oppure le forze francesi erano davvero presenti a Gharian per coordinare l'offensiva contro Serraj.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-libia-bombardano-gli-immigrati-e-sui-missili-ce-il-timbro-di-parigi-2639154060.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="uno-schiaffo-degli-usa-a-macron" data-post-id="2639154060" data-published-at="1757889478" data-use-pagination="False"> Uno schiaffo degli Usa a Macron La reazione di Parigi alla notizia del ritrovamento di quattro missili anticarro Javelin made in Usa, acquistati dalla Francia nel 2010, in una base del generale Khalifa Haftar a sud di Tripoli, «è qualcosa di nuovo perché per la prima volta la Francia non cerca di nascondere l'appoggio diretto all'uomo forte della Cirenaica». A sostenerlo è Dario Fabbri, analista della rivista di geopolitica Limes, che in un'intervista all'Agi ricorda che le forniture di armi al generale «avvenivano finora clandestinamente, tramite Emirati Arabi, Arabia Saudita ed Egitto. Parigi», sottolinea, «dice di non aver violato l'embargo, ma non ci dice quando questi missili sono stati portati in territorio libico e perché sono stati trovati nella Libia occidentale», dalla parte opposta a dove sarebbero il personale di intelligence e le forze speciali francesi. «La Francia», ricorda l'analista, «ha ammesso la presenza di suoi uomini già nel 2016, quando cadde un elicottero con tre suoi cittadini a bordo, nell'area controllata da Haftar, che stavano aiutando a prendere Bengasi per muoversi verso Tripoli». «Parigi ha gli occhi sulla Libia dal 2011», conclude Fabbri, «quando, appoggiata da Londra, sfruttava le primavere arabe per far nascere la ribellione anti Gheddafi in Libia». Gli interessi economici, legati alla multinazionale di bandiera Total, restano secondari rispetto a quelli strategici di controllare soprattutto la parte Sudovest della Libia, il Fezzan, per gestire meglio il Sahel, area ancora di fatto colonia francese. L'allora presidente Nicola Sarkozy aveva poi un tornaconto personale a rovesciare il colonnello Muammar Gheddafi: il presunto mancato acquisto di armi da parte del regime libico e i finanziamenti del dittatore di Tripoli alla sua campagna elettorale. L'ex ministro francese Brice Hortefeux è stato convocato ieri al tribunale di Parigi per essere interrogato dai giudici che indagano sulle accuse di finanziamento occulto. Fedelissimo dell'ex presidente, l'europarlamentare dei Républicains potrebbe essere iscritto sul registro degli indagati oppure rimanere in regime di testimone assistito. Ciò che emerge è che Sarkozy voleva diventare il principale interlocutore di un nuovo governo post Gheddafi. Il passo successivo, nel 2015, quando consigliato dall'allora ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, l'Eliseo di Francois Hollande decise di appoggiare Haftar, cui l'Arabia Saudita voleva dare una posizione. Anche l'offensiva lanciata ad aprile dal generale verso l'Est è stata sostenuta dalla Francia. Lo scoop americano dimostra però che gli equilibri stanno cambiando. Il disimpegno Usa sulla Libia potrebbe essere riconsiderato e la Casa Bianca avviare una campagna di moral suasion. Un intervento di Donald Trump passa innanzitutto dall'indebolimento francese (e accusarli di traffico d'armi è un buon primo passo) e poi da un riallineamento degli altri partner di Haftar così come dei nemici. Il mese scorso gli Emirati Arabi, per voce del ministero degli Esteri inviato al nostro Parlamento, hanno fatto sapere di aver preso le distanze dall'uomo forte di Haftar e di premere per una soluzione diplomatica. Martedì sera Trump ha riservato una calorosa accoglienza all'emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani. Durante l'incontro i due hanno definito una importante partnership militare. Un fatto storico visto che meno di due mesi fa Trump ha messo i Fratelli mussulmani (molto vicini a Doha) in lista nera. Insomma, tutti movimenti di sponda che stanno a indicare un ritorno degli americani in Libia. Magari non «boot on the ground» ma con parecchia intelligence. E questo per Macron è un altro schiaffo.
Jose Mourinho (Getty Images)