2020-10-14
Giorgetti: «In Europa non ha senso dire sempre no»
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il responsabile Esteri della Lega: «Non c'è spazio per una posizione ideologica. Ciò che è bene per il nostro Paese è preminente. Per difendere gli interessi nazionali bisogna fare alleanze. La politica non è regno di utopie e illusioni, dobbiamo essere pragmatici».Alternativi al modello cinese e venezuelano. Sull'altra sponda del fiume rispetto al Pd, al governo delle quattro sinistre, al globalismo più pervasivo. «Ma sempre con una stella polare, il supremo interesse dell'Italia».Giancarlo Giorgetti ha detto questo e molto altro nell'incontro con i 28 europarlamentari della Lega. Il responsabile Esteri ed eminenza grigia del movimento era a fianco di Matteo Salvini per quello che vorrebbe essere un punto di ripartenza. Soprattutto in Europa dove apre alle alleanze, al pragmatismo virtuoso, al popolarismo più che al populismo. Una svolta, soprattutto il ritorno a una narrazione più in sintonia con la Lega tradizionale. Meglio approfondire.Giorgetti, cosa ha spiegato agli europarlamentari?«Dico subito che è stata una riunione bella, positiva e propositiva. È stato il primo di una serie di incontri per meglio coordinare il loro lavoro in Europa ed evitare incidenti che nascevano da mancate comunicazioni come l'astensione alla condanna di un dittatore come Lukashenko. Era necessario mettere insieme meccanismi di controllo e indirizzo, abbiamo cominciato a farlo. E continueremo».È una marcia di avvicinamento al Ppe?«Ne abbiamo parlato, argomento fondamentale, fonte di illazioni e di divisioni che non hanno ragione d'essere. Ho ribadito anche oggi che non ho mai detto che bisogna entrare nel Ppe. Sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione in tal senso. Poi, è chiaro che il baricentro dell'Unione europea è il Ppe e la direzione è quella che decide di prendere il Ppe. Poiché il Ppe si muove verso la Cdu, l'Unione cristiano-democratica tedesca, è inevitabile che ci sia una grande attenzione da parte nostra al congresso della Cdu di fine anno».Ma allora la Lega diventa europeista.«Semplicemente la Lega è consapevole che la politica non è il regno delle utopie e delle illusioni. Dobbiamo essere pragmatici per diventare attori della politica italiana ed europea, e cogliere i cambiamenti in atto dentro l'Unione su temi fondamentali che fino a tre anni fa erano considerati tabù. Adesso non lo sono più».Ci faccia qualche esempio. «La Bce è diventata prestatrice di ultima istanza e questo è un cambio clamoroso. Il Recovery fund è una sterzata in rapporto alla politica di sola austerity che la Lega ha sempre combattuto. Dobbiamo capire che non ha senso dire sempre no. E poi c'è l'Italia».In che senso?«Sul Recovery fund non c'è spazio per una posizione ideologica; ciò che è bene per il nostro Paese è preminente su tutto. L'interesse nazionale è al di sopra di ogni polemica politica e noi dobbiamo essere pronti a votare un provvedimento che va in quella direzione. Come, del resto, già stiamo facendo all'insaputa dei media su altri temi importanti tipo agricoltura e autotrasporto. Noi gli interessi italiani li tuteliamo e li votiamo anche con altri, non da oggi».Qualcuno vi accuserà di incoerenza.«Se il Pd, che è stato per 20 anni suddito custode dell'austerità europea, oggi dice il contrario non possiamo certo essere tacciati noi di incoerenza. Non stiamo parlando di dottrina».Quindi ci sarà collaborazione con Bruxelles?«Prima che nel merito, la svolta deve essere significativa nel metodo. La politica è l'arte di rendere possibile ciò che si desidera. E per renderlo possibile, per difendere gli interessi nazionali, bisogna fare alleanze. L'isolamento è l'inizio della fine».Su cosa si è soffermato soprattutto con gli europarlamentari?«Serve chiarezza sul posizionamento atlantico, senza si rischiano incertezze ed errori come sulla Bielorussia. Il nostro è un atlantismo serio, autentico, che arriva da lontano. Un atlantismo che simpatizza per Donald Trump ma non svanisce se lui non viene rieletto. Non si esaurisce con lui. Se vince Joe Biden parleremo con Biden. Sui grandi temi bisogna sapersi confrontare». Ce ne sono altri, a cominciare dall'ambiente.«Dieci anni fa era un argomento di minoranza riconducibile a sinistra, oggi è materia fondamentale oggetto di studio, attenzioni, approfondimenti del tutto trasversali. Non puoi restare ai margini, devi essere protagonista e declinare i tuoi valori su un dossier così impegnativo. Premesso che nel gruppo ogni componente ha la sua autonomia e vota come ritiene opportuno, auspico una Lega che voglia guardare avanti e confrontarsi in modo civile su tutto».Si va verso una Lega meno populista e più popolare. «Queste sono etichette che piacciono a voi giornalisti; facciamo più popolarista. Ma detto questo per farla contenta, noi non cambiamo formule né valori, continuiamo ad essere noi stessi. Con un punto fondativo: tutto ciò che distrugge l'identità di un popolo, tutto ciò che conduce al globalismo che annichilisce l'individuo a noi non piace. È saremo sempre contro».Avrà messo in contro i pregiudizi degli eurocrati.«Può darsi che l'Europa continui ad avere pregiudizi, ma non noi. Noi vogliamo passare dal pregiudizio al giudizio».E al vostro popolo, che rappresenta il 25% degli elettori, cosa direte?«Diciamo che nel merito le nostre posizioni non cambiano, rimangono ferme su temi scottanti come l'immigrazione. Ferme come quelle degli Stati Uniti e della Svizzera, e stiamo parlando di Paesi civili. Quando siamo stati al governo abbiamo dimostrato che la strategia dell'accoglienza poteva essere cambiata. Non era così scontato che l'Italia tenesse sempre e comunque le porte aperte a tutti». Sull'immigrazione l'Europa non ha cambiato niente.«Ma può sempre accadere che lo faccia, come è avvenuto per le politiche monetarie. E comprenda che una regolamentazione seria e rigorosa dei flussi sia una soluzione vincente per tutti. L'Europa ha cambiato idea sull'austerità? Bene. Cambierà idea sui migranti? Bene. Cambierà idea su altro? Vedremo».Torniamo in casa nostra, si dice che la traversata del deserto all'opposizione potrebbe logorare la Lega.«Dobbiamo impegnarci, essere lucidi, studiare i dossier, dare risposte in sintonia con la storia e le sensibilità del movimento. Speriamo di avere il dromedario giusto per arrivare freschi all'oasi delle elezioni».Il Covid è sempre qui, è davvero necessario chiudere di nuovo tutto?«Tema delicatissimo che tocca le libertà individuali. La tutela della salute è fondamentale, ma chi stabilisce che è così in pericolo da compromettere le libertà delle persone? Fino a prova contraria siamo ancora in una democrazia liberale. In Cina e in Russia è più facile far entrare lo Stato nelle abitazioni. In Corea del Nord non c'è neppure un caso. La imitiamo? Non mi pare un buon modello».
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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