2020-01-17
In corsa per Confindustria soltanto due industriali
Entra nel vivo la successione di Vincenzo Boccia. In campo Giuseppe Pasini e Riccardo Illy con aziende di peso. Gli altri, compreso Carlo Bonomi, hanno piccoli fatturati.In viale dell'Astronomia ci si prepara alla grande battaglia per sostituire Vincenzo Boccia alla presidenza di Confindustria. Il 23 gennaio saranno scelti i tre saggi tra una rosa di nove nomi. A loro toccherà poi valutare le singole candidature che avranno bisogno di almeno 19 firme tra i componenti del consiglio generale (rappresentanti delle territoriali, settoriali, piccole e medie imprese, giovani). C'è chi sostiene che il Nord voglia la sua rivalsa dopo anni di romanocentrismo e fallimenti politici (vedi alla voce referendum di Matteo Renzi), chi invece attende una svolta rappresentativa, dal momento che la maggior parte degli attuali vertici sono in crisi economica: proprio Boccia con la sua Agb ( Arti grafiche Boccia) ha da poco chiesto al tribunale fallimentare la ristrutturazione del debito. Ma più dei bilanci del presidente uscente dell'associazione di categoria c'è un tema di fondo di cui spesso si evita di parlare, ovvero il supporto economico che le grandi aziende partecipate italiane continuano a dare a Confindustria. Boccia lo sa bene. Dal momento che durante il precedente governo gialloblù, molto spesso la Lega aveva fatto balenare l'idea di togliere Eni, Enel, Leonardo o Saipem dal perimetro confindustriale. L'uscita si sarebbe rivelata mortale per i conti di viale dell'Astronomia, alle prese in questi anni anche con la crisi del Sole 24 Ore, il quotidiano di viale Monterosa al centro del processo sulle copie gonfiate a Milano nel quale è rimasto solo l'ex direttore Roberto Napoletano dopo il patteggiamento di Benito Benedini e Donatella Treu: ieri l'udienza è stata rinviata al 30 gennaio. I contendenti per la poltrona di Boccia si conoscono già da qualche mese. Al momento sono cinque, ma non è detto che possa spuntare qualche sorpresa entro la prossima settimana. Solo due di questi sono grandi imprenditori con alle spalle aziende forti e in utile. Tra i puri dell'industria ci sono di sicuro Giuseppe Pasini, presidente di Feralpi Spa (colosso della siderurgia) e Andrea Illy, il presidente di Illy Caffè. Gli altri sono fondamentalmente figli di viale dell'Astronomia anche se in contrasto con il gruppo di Boccia. Tra i cosiddetti «confindustriali», cioè i più organici all'associazione, c'è il favorito Carlo Bonomi, attuale presidente di Assolombarda e titolare della piccola Synopo spa, e Licia Mattioli, vicepresidente durante il mandato Boccia e amministratore delegato dell'omonima azienda orafa. L'outsider è invece Emanuele Orsini, presidente di Federlegnoarredo e amministratore delegato della Sistem costruzioni Srl. Bonomi, come detto, è al momento il favorito, sia perché Assolombarda può contare sul pacchetto di voti più consistente per l'elezione del presidente, sia perché in questi anni ha saputo muoversi politicamente meglio dell'attuale presidente. Vanta dalla sua l'appoggio di molte associazioni settentrionali, ma anche a Roma gli strizzano l'occhio da qualche mese. Ha però l'handicap di un'azienda molto piccola, appena otto dipendenti, che nel 2018, rispetto a un fatturato di appena 1,9 milioni di euro, ha avuto un rosso di 275.000. Certo, non siamo ai livelli di Boccia che ha fatto ricorso all'articolo 182 bis, ma di sicuro ci sono biglietti da visita migliori per guidare una Confindustria che vorrebbe cambiare aria dopo questi anni di bordate sui quotidiani. Bonomi avrebbe dalla sua anche l'appoggio del patron di Techint Gianfelice Rocca e dal numero uno di Pirelli Marco Tronchetti Provera. Va ricordato che il nome di quest'ultimo era circolato nelle scorse settimane come possibile candidato di mediazione per la presidenza, un nome gradito alla maggioranza degli industriali italiani. Mattioli, invece, gode del consenso dell'attuale struttura, tra cui lo stesso Boccia, insieme con il direttore generale Marcella Panucci e un'altra vicepresidente di peso, Antonella Mansi. Per il resto ricordiamo che Pasini ha un gruppo con un fatturato da 1,3 miliardi di euro, leader nella produzione di acciaio in Europa, una realtà italiana capace di far dimenticare all'estero il disastro dell'Ilva di Taranto. Con il 1.500 dipendenti, quest'anno gli utili sono stati di 53,7 milioni di euro. Dalla sua ha l'appoggio degli imprenditori bresciani ma potrebbe trovare sponde più importanti. Illy, invece, può contare su qualche sponsor ancora coperto, su diverse territoriali in Veneto e Emilia Romagna, come anche in Federalimentari. Anche Orsini pesca in Emilia e in Lombardia. La partita è aperta.