
C'è una grave ingiustizia nell'emendamento che prevede il risarcimento per chi risulta innocente dopo un processo. Nessun indennizzo è dovuto se si tratta di giudizi contabili.«Il processo è esso stesso la pena», ricorda Enrico Costa, parlamentare di Azione e già Vice ministro della Giustizia, citando una famosa definizione di Salvatore Satta, a commento di quello che considera «un passo verso la civiltà», l'emendamento, del quale è stato primo firmatario, sottoscritto anche da Lucia Annibali, di Italia Viva, e Maurizio Lupi di Noi per l'Italia, al quale si sono associati Nunzio Angiola e Flora Frate di Azione, il leader di + Europa, Riccardo Magi, e Massimo Garavaglia della Lega, e Giusy Bartolozzi di Forza Italia, approvato all'unanimità con l'adesione del ministro Alfonso Bonafede, che attua un rimborso, sia pure parziale, delle spese legali sostenute da chi, sottoposto ad un processo penale, viene assolto perché il fatto non sussiste, non lo ha commesso, non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.«Si rifletta sulle accuse a vuoto» ha aggiunto Costa. La norma viene da lontano e la sua approvazione è senza dubbio un fatto di giustizia ma non soddisfa compiutamente le esigenze più volte rappresentate dal Foro. In primo luogo perché attua un rimborso parziale e non, come si auspicava, un riconoscimento, sia pure nei limiti di una somma riconosciuta congrua dall'Ordine degli avvocati, delle spese sostenute da chi è risultato innocente delle accuse. La norma ignora, altresì, un'altra realtà, quella dei giudizi contabili per danno erariale nel caso, frequente, nel quale il «presunto responsabile», come si esprime l'art. 1 della legge n. 20 del 1994, viene assolto in istruttoria, con archiviazione da parte del Procuratore regionale della Corte dei conti.È nella fase terminale del procedimento istruttorio da parte della Procura contabile che un soggetto può ricevere un «invito a dedurre» sulla base di una imputazione di danno. E, pertanto, deve fornire elementi a dimostrazione della propria estraneità ai fatti e della assenza di dolo o colpa grave. Per queste controdeduzioni il soggetto, se non ha adeguata conoscenza del diritto e delle regole del processo contabile, deve farsi assistere da un avvocato.In questi casi, mancando una sentenza di assoluzione le spese legali non vengono rimborsate. È evidente la grave ingiustizia di chi, risultato innocente, ha dovuto spendere per difendersi. Una norma di civiltà «parziale», dunque, anche per il budget piccolo piccolo, tanto che è stata definita una «elemosina» di Stato. Pur sempre un primo passo per far sì che colui il quale patisce ingiustamente un processo possa trovare un minimo di ristoro economico. Secondo Costa la norma ristabilisce un equilibrio e inserisce nel processo penale «il principio della soccombenza» già riconosciuto nei riti civile e amministrativo. Quello per cui «se il cittadino è riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità al reato o, addirittura, l'insussistenza di qualunque fatto di rilevanza penale» ha diritto di avere di fronte uno Stato che gli riconosce il rimborso. La stessa regola vale ancor più se «lo Stato ha esercitato erroneamente la propria pretesa punitiva, sottoponendo senza ragione la persona al lungo, defatigante e spesso umiliante calvario delle indagini e del processo». E nel caso del giudizio contabile? Se addirittura l'archiviazione avviene in istruttoria. Una grave dimenticanza.
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