2021-06-24
Le implicazioni geopolitiche della vittoria di Raisi in Iran
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Dal rilancio dell'accordo sul nucleare ai rapporti con Stati Uniti, Russia e Cina. Quali sono le implicazioni geopolitiche delle ultime elezioni presidenziali iraniane?È Ebrahim Raisi il vincitore dell'ultima tornata elettorale iraniana. Attuale capo della magistratura, è considerato un membro di spicco della fazione ultraconservatrice, oltre che una figura particolarmente vicina all'ayatollah Ali Khamenei. La sua vittoria era in larga parte annunciata, anche in considerazione del fatto che non fossero rimasti in campo avversari abbastanza forti per riuscire ad arginarlo. Come infatti riferito dal sito Axios, «il Consiglio dei Guardiani dell'Iran aveva squalificato tutti i principali candidati riformisti, sostanzialmente liberando il campo per Raisi». In questo quadro, il principale sfidante, l'ex governatore della banca centrale Abdolnaser Hemmati, si è dovuto accontentare del terzo posto, con un modesto 9,8% (contro il 72% del vincitore). Se dunque l'ala intransigente è riuscita a conquistare la presidenza iraniana, va anche detto che queste elezioni abbiano registrato l'affluenza più bassa dell'intera storia della Repubblica Islamica: parliamo infatti di un'affluenza che si è attestata al 48,8%. E questo nonostante le ripetute esortazioni di Khamenei a recarsi alle urne e nonostante anche una campagna elettorale – quella del vincitore – basata specialmente su una linea anticorruzione. In tutto questo, va inoltre ricordato che quella di Raisi risulti una figura particolarmente controversa. Secondo quanto riferito da Cnn, «nel 1988, Raisi faceva parte di un 'comitato della morte' di quattro persone che avrebbe supervisionato l'esecuzione di massa di un massimo di 5.000 prigionieri politici». Inoltre, appena sabato scorso, Amnesty International ha invocato una indagine nei suoi confronti per crimini contro l'umanità, mentre il diretto interessato si trova sotto sanzioni americane dal 2019. In questo quadro, al di là della questione del rispetto dei diritti umani, Raisi è noto per non sposare delle posizioni troppo inclini all'Occidente in politica estera. E' anche per questo che, sempre secondo Axios, l'amministrazione Biden vorrebbe formalizzare il rilancio del trattato sul nucleare con l'Iran prima dell'effettiva entrata in carica del presidente in pectore, prevista tra sei settimane. Evidentemente a Washington sono convinti che sia più facile negoziare con il presidente uscente Rohani e vogliono per questo cercare di accelerare i tempi. D'altronde, segnali poco incoraggianti sono arrivati dallo stesso Raisi che, subito dopo la vittoria, ha detto di non avere intenzione di incontrare Joe Biden. Una circostanza che getta pesanti incognite sulla distensione auspicata dall'attuale presidente americano con Teheran. Non è infatti escludibile che il nuovo presidente iraniano, anziché guardare a Ovest, guarderà con maggiore simpatia verso Russia e Cina. In questo senso, il presidente russo, Vladimir Putin, è stato il primo leader straniero a congratularsi con lo stesso Raisi per la vittoria. Senza poi dimenticare che già Rohani avesse avviato un processo di forte avvicinamento economico nei confronti di Pechino. Dall'altra parte, una figura così controversa sul fronte dei diritti umani potrebbe innescare delle turbolenze significative con l'attuale Casa Bianca, che ha sempre detto di considerare proprio il rispetto dei diritti umani come la stella polare della sua politica estera. Un ulteriore problema si registra infine sul fronte israeliano. Il nuovo governo dello Stato ebraico si basa su una conventio ad excludendum nei confronti di Benjamin Netanyahu, da sempre fautore della linea dura verso il rilancio dell'accordo sul nucleare con Teheran. Ora, il nuovo esecutivo – soprattutto con la presenza di Yair Lapid – dovrebbe sposare una linea più morbida in materia, ma l'elezione di Raisi rischia di complicare la situazione. Il presidente iraniano in pectore fu infatti tra i critici, l'anno scorso, degli «accordi di Abramo», negoziati dall'amministrazione Trump. Uno scenario che pone ulteriori problemi alla politica mediorientale di Biden.