2023-12-15
Biden, passo avanti per l’impeachment. E Hunter ora rischia l’accusa di oltraggio
Via libera della Camera all’indagine sul presidente per gli affari opachi del figlio. Il quale si è rifiutato di testimoniare in Aula.Sembra farsi più vicina la messa in stato d’accusa di Joe Biden. Mercoledì, la Camera dei rappresentanti ha formalizzato l’indagine per impeachment sul presidente americano: un’indagine che era stata de facto avviata a settembre su input dell’allora speaker, Kevin McCarthy. Il via libera formale all’inchiesta è avvenuto con 221 voti a favore (tutti repubblicani) e 212 voti contrari (tutti dem). Si tratta di un nuovo passo verso un’eventuale messa in stato d’accusa di Biden: ricordiamo che i processi di impeachment vengono istruiti dalla Camera a maggioranza semplice, per essere poi celebrati in Senato, dove è richiesto un quorum di due terzi per arrivare a una destituzione del presidente. Non solo. Il voto dell’altro ieri conferisce più poteri alla Camera, rendendo maggiormente vincolanti gli ordini di comparizione emessi per chiamare a deporre dei testimoni. Basti pensare che, mercoledì stesso, il figlio di Biden, Hunter, si è rifiutato di ottemperare a un’ingiunzione repubblicana per essere interrogato a porte chiuse alla Camera: una circostanza che adesso potrebbe costargli l’accusa di oltraggio al Congresso. «Oggi, la Camera ha compiuto un passo fondamentale nella nostra indagine su questioni gravi che coinvolgono il presidente Joe Biden, aprendo formalmente un’indagine per impeachment», si legge in una nota congiunta, emessa dallo speaker Mike Johnson e dai deputati repubblicani, Steve Scalise ed Elise Stefanik. «Mentre il presidente Biden continua a ostacolare i legittimi ordini di comparizione del Congresso, il voto odierno dell’intera Camera che autorizza l’inchiesta ci mette in una posizione più forte per far rispettare questi ordini di comparizione», si legge ancora. «Non prendiamo alla leggera questa responsabilità e non predetermineremo l’esito dell’indagine. È tuttavia impossibile ignorare la documentazione probatoria», prosegue la nota, riferendosi ai documenti bancari che mostrano come la famiglia Biden abbia ricevuto, negli anni, milioni di dollari da soggetti stranieri. La Casa Bianca, neanche a dirlo, ha reagito stizzita alla formalizzazione dell’indagine, definendola una «trovata politica infondata che persino i repubblicani al Congresso ammettono non essere supportata dai fatti». Da più parti si sostiene che la mossa del Gop sarebbe dettata da faziosità politica. Bisognerebbe allora ricordare come si dipanò la prima messa in stato d’accusa approntata dall’asinello contro Donald Trump nel 2019, allorché la Camera era in mano ai dem e il Senato al Gop. In primis, quando fu formalizzata l’indagine per impeachment contro Trump a ottobre di quell’anno, a votare a favore furono i soli deputati dem (con due di loro che addirittura votarono contro). In secondo luogo, anche allora l’indagine fu portata avanti dai parlamentari del partito avverso a quello del presidente: non c’era, in altre parole, un rapporto redatto da un procuratore speciale, come ai tempi della messa in stato d’accusa di Bill Clinton o dell’indagine per impeachment su Richard Nixon. L’allora speaker, Nancy Pelosi, decise di puntare tutto sulla controversa telefonata tra Trump e Volodymyr Zelensky, lasciando da parte il rapporto del procuratore Robert Mueller sul cosiddetto Russiagate. In terzo luogo, nel 2019 non fu rinvenuta alcuna «pistola fumante» che dimostrasse al di là di ogni ragionevole dubbio il presunto «do ut des» tra Trump e il presidente ucraino. Eppure l’allora inquilino della Casa Bianca fu messo in stato d’accusa. E questo nonostante non fossero ravvisabili reati disciplinati dal codice penale: la tesi dei dem fu che per un impeachment non occorrevano condotte penalmente rilevanti. Come si può notare, è in gran parte questa linea che il Gop oggi sta ricalcando. È del resto abbastanza chiaro che l’obiettivo dei repubblicani non è quello di un siluramento di Biden (non avrebbero infatti i voti necessari alla Camera alta, che è attualmente controllata dai dem e in cui alcuni repubblicani si dicono scettici sull’impeachment). No: l’obiettivo vero è quello di impantanare l’agenda parlamentare del presidente durante l’anno delle elezioni. Esattamente come fecero i dem con la messa in stato d’accusa di Trump, avviata dalla Camera nel dicembre 2019 e celebrata in Senato nel febbraio successivo. All’epoca l’asinello stabilì un precedente, aprendo il vaso di Pandora. E oggi assistiamo alle conseguenze di quel comportamento. Certo: Hunter Biden sostiene che il Gop sta cercando di colpire lui per danneggiare il padre. «Mio padre non era coinvolto finanziariamente nella mia attività di business», ha detto l’altro ieri il figlio del presidente, parlando fuori dal Campidoglio. Resta però il fatto che, secondo una testimonianza alla Camera del suo ex socio Devon Archer, Hunter mise più volte in contatto il genitore con i suoi controversi soci in affari. Non solo. Oltre ai milioni di dollari arrivati alla famiglia Biden da entità straniere, c’è anche il «mistero» di 40.000 dollari che sembrerebbero essere transitati, nel 2017, dall’allora colosso cinese Cefc allo stesso Joe Biden tramite l’intermediazione del figlio e della cognata Sara. Tutto questo, nonostante nel 2019 l’attuale presidente avesse detto di non essere mai stato coinvolto negli affari di Hunter.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.