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2019-06-17
Immigrati: furbetti dell’assegno sociale
. Le pensioni minime costano 330 milioni
La storia si ripete. Maturano i diritti per l'assegno sociale e tornano nel loro Paese, dove il valore d'acquisto è di gran lunga superiore. E poi spetta alle forze dell'ordine o all'Inps, con indagini difficili e macchinose, accertare se non sono più nelle condizioni per godere del benefit. Gli ultimi dati annuali in possesso del ministero dell'Interno che fotografano il fenomeno contano circa 500 casi, per un totale di 10 milioni di euro. E anche nell'ultimo anno le inchieste sui furbetti hanno riempito pagine e pagine della cronaca locale dei quotidiani. Il caso più eclatante risale al mese di febbraio 2018. Per ben quattro anni 182 stranieri che risultavano residenti ad Ancona (dove il 17,05% del totale degli assegni sociali finisce agli extracomunitari: di questi il 7,90% sono albanesi e l'1,50% marocchini) hanno percepito i 450 euro per 13 mensilità. Ma non ne avevano titolo, perché, senza comunicarlo all'Inps, avevano lasciato l'Italia: 33 se ne erano tornati in Albania, 18 in Marocco, dieci in Macedonia e gli altri tra le Americhe, la Polonia, il Nord Africa, l'Africa centrale e l'India. In totale sono stati recuperati e risparmiati circa un milione di euro.
L'altra maxi inchiesta è del dicembre dello scorso anno. A Sabaudia gli investigatori delle Fiamme gialle ne hanno stanati altri 36: incassavano i 450 euro per le 13 mensilità previste, perché, sulla carta, avevano tutti i requisiti in regola: 66 anni e sette mesi di età e risultavano residenti o con permesso di soggiorno da almeno dieci anni. In realtà, però, ognuno se n'era tornato a casa sua. La frode, alla fine, è stata stimata in 340.000 euro, sottratti dal bilancio dello Stato. L'indagine ha portato anche alla cancellazione dalle liste della popolazione residente in Italia. Alcuni di loro, malati, erano pure a carico del Servizio sanitario nazionale. E percepivano somme superiori ai 4.000 euro. Per questo sono stati denunciati per indebita percezione di erogazioni. Le somme sono state sequestrate.
La bonifica, per fortuna, non si è fermata all'Agro Pontino. Il più sfortunato è un senegalese residente ufficialmente a Livorno: compiuti i 67 anni aveva cominciato a percepire l'assegno sociale. Pochi mesi dopo sono intervenuti i finanzieri e hanno scoperto che viveva stabilmente nel suo Paese d'origine. Ma qua e là lungo lo Stivale si trova traccia delle fregature in cui è incappato l'istituto di previdenza. Non sono mancati, poi, i casi limite.
Il 4 aprile scorso gli investigatori della questura di Udine si sono imbattuti in un novantaduenne della Repubblica dominicana. In passato l'anziano aveva ottenuto il ricongiungimento familiare con la figlia in Italia e, dal settembre 2008, aveva maturato il diritto a ricevere l'assegno. E quindi il suo fascicolo Inps all'apparenza era regolare. Dalle indagini è emerso, però, che dal 2013 aveva soggiornato per lunghi periodi nella nazione di origine, venendo meno il presupposto previsto dall'Inps della stabile residenza. L'assegno, infatti, viene sospeso se il titolare soggiorna all'estero per più di 30 giorni. Dopo un anno dalla sospensione, la prestazione è revocata. E nei confronti dell'anziano sono state avviate le pratiche per tentare di recuperare il denaro sottratto.
A giugno dell'anno scorso un'inchiesta si è abbattuta su Genova, dove la Guardia di finanza, di extracomunitari furbetti, ne ha stanati sette. Fin qui tutto come di routine (carte all'apparenza in regola ma nessuna presenza in Italia ormai da tempo). Se non fosse che è saltata all'occhio la provenienza di uno di questi: Israele. Primo caso nella storia. Se ne è tornato lì con l'assegno sociale italiano, pensando di farla franca. In questo caso, sottolinearono i finanzieri, non era stato facile scoprirlo.
La prova principale, di solito, sono i visti sui documenti e di conseguenza sulle banche dati ministeriali al momento dell'espatrio. Ma se uno straniero, come in questo caso, esce dall'Italia da un'altra nazione dell'Unione europea, l'espatrio non è segnalato alle autorità italiane e neppure all'Inps. Che, ignaro, continua a bonificare i 430 euro finché non vengono disposti controlli approfonditi. Un'indagine dell'ottobre 2018 partita da Grosseto è riuscita a risalire alla indebita percezione dell'assegno sociale con una investigazione tutta bancaria. Un albanese e una donna dell'Est, dopo aver richiesto e ottenuto l'erogazione dell'assegno, erano rientrati nei loro Paesi d'origine, dove riscuotevano la somma. I carabinieri, attraverso le movimentazioni dei conti correnti, sono riusciti a dimostrare che il denaro veniva versato in filiali di banche italiane, ma che le carte usate per prelevarlo finivano in bancomat e pos esteri in modo stabile e continuativo. Anche in questo caso il diritto è stato revocato e i due furbetti sono stati segnalati in Procura.
Nel marzo 2018, a Pescara, cinque stranieri sono stati denunciati per aver incassato 200.000 euro di assegni sociali. In alcuni casi, hanno scoperto le Fiamme gialle, se ne erano tornati all'estero. In altri casi, invece, avevano messo in atto una vera e propria truffa e, con artifizi e raggiri, taroccando i documenti sulla loro condizione economica, erano riusciti a ottenere l'assegno sociale. In realtà, però, hanno scoperto gli investigatori, non erano indigenti. I loro redditi non avrebbero permesso a queste persone di ottenere il benefit. Così, i cinque sono stati denunciati.
Un cittadino albanese, quarantenne, che aveva ottenuto dalla provincia autonoma di Trento un sostegno sociale, invece, si era trasferito con i genitori ottantenni, che incassavano l'assegno sociale, in Germania. Tutti e tre continuavano a incassare i bonifici delle erogazioni pubbliche. Se n'è accorta la polizia locale della Valle del Chiese, che aveva ricevuto una segnalazione dall'ente che affida le case popolari (i tre avevano ottenuto anche quella) perché non era stato possibile contattare gli inquilini di un appartamento apparentemente lasciato dagli occupanti senza la restituzione delle chiavi. Le verifiche svolte hanno consentito all'ente di rientrare in possesso dell'appartamento in modo che potesse essere riassegnato e, in seguito ad accertamenti all'Inps e alla Pat, di provare la truffa, consistita nell'omettere di informare il Comune di residenza del trasferimento all'estero. Tutti e tre i componenti del nucleo familiare sono stati cancellati dall'anagrafe del Comune di Sella Giudicarie. E le erogazioni sono state immediatamente interrotte.
E ancora: sempre lo scorso anno spicca il caso di una coppia di anziani coniugi tunisini che risiedevano, per finta, nella provincia di Firenze. I due hanno incassato in totale 120.000 euro. Ma gli investigatori, mentre indagavano sugli assegni sociali, hanno scoperto anche che i due conducevano una vita da nababbi, accertando movimenti di capitali verso il Principato di Monaco per 370.000 euro. Il resto di questa storia è ancora tutto da approfondire, ma conferma che non sempre gli assegni sociali finiscono nelle mani di pensionati stranieri veramente indigenti.
Spendiamo quasi 330 milioni l’anno per gli extracomunitari over 67
Il dato più alto è stato registrato nel 2017. I cittadini extracomunitari noti all'Inps erano 2.259.652: il 90% dei quali, ovvero 2.042.156, erano iscritti come lavoratori. I pensionati erano 96.743 (il 4,3% delle posizioni Inps) e 120.753 erano i percettori di prestazioni a sostegno del reddito (il 5,3% del totale). I numeri definitivi, snocciolati dal Sole 24 Ore e diffusi dall'Inps, si fermano a quell'anno. Nel 2017 la metà di quegli extracomunitari apparteneva a sei Paesi: al primo posto c'era l'Albania, con 299.731 presenze, seguita dal Marocco con 262.824, dalla Cina con 209.405, dall'Ucraina con 166.546, dalle Filippine con 117.360 e dalla Moldavia con 106.041.
Ma per leggere il fenomeno complessivamente bisogna tenere in considerazione almeno gli ultimi dieci anni. E così, si scopre, dato sbandierato da Tito Boeri, che si è passati da 1,3 a 1,7 milioni di cittadini non comunitari iscritti all'Inps come lavoratori. Il dato che Boeri tralasciava, e che invece è significativo, è però quello sui percettori di sostegno al reddito, un numero che è cresciuto ampiamente: dalle 17.000 erogazioni del 2008 c'è stato un salto che ha raggiunto le 94.000 del 2017. Questo dato dimostra che una grossa fetta degli stranieri in Italia non ha un reddito sufficiente per vivere. Dai controlli quotidiani messi in campo dalle forze dell'ordine si scopre anche che molti di loro, poi, in realtà un reddito superiore ce l'hanno, ma truccano le carte pur di incassare il sostegno dello Stato. In altri casi si tratta di lavoratori in nero che con più lavoretti riescono a raggiungere gruzzoletti mensili di tutto rispetto, ma non rinunciano comunque al bonifico sociale.
A essere triplicato è invece il numero di titolari non comunitari di pensione e in particolare di pensioni assistenziali: dai 33.000 pensionati del 2008 si è arrivati ai 96.000 del 2017. La metà di loro nel 2017 (59.163 persone) è risultata titolare solo di pensioni assistenziali (invalidità civile e pensioni sociali), altri 20.747 di pensioni di invalidità, vecchiaia o superstiti, 9.992, invece, di pensioni indennitarie, cioè corrisposte a seguito di un infortunio sul lavoro o per malattia professionale. Oltre a questi ci sono 5.579 titolari di pensioni sia di invalidità, sia assistenziali e 1.003 titolari di pensioni d'invalidità e indennitarie. Insomma, c'è chi riesce a cumulare più diritti. Ci sono, poi, 78 casi record: extracomunitari che hanno diritto alla pensione assistenziale, a quella d'invalidità e a quella indennitaria, per un importo annuale totale di 17.000 euro.
Le riforme introdotte nel 2018, con l'innalzamento dell'età a 66 anni e sette mesi, hanno ritoccato il dato al ribasso. Gli assegni sociali liquidati nel primo semestre 2018 erano già scesi a 10.332. Nello stesso periodo dell'anno precedente erano 78.470. Nel 2019, con l'innalzamento a 67 anni tondi tondi, il dato è sceso ancora: la quantità di assegni liquidati nel primo trimestre è pari a 3.199. Un terzo rispetto al 2017.
Per ottenere il beneficio è necessario dimostrare di avere in mano un permesso di soggiorno di lungo periodo e di trovarsi in condizioni economiche disagiate. Ma c'è anche un'altra strada: ogni immigrato che ha ottenuto la residenza con l'istituto del ricongiungimento familiare, se in età avanzata per lavorare, ha diritto a vedersi versato dall'Inps un sussidio di 5.880 euro l'anno. Il che, in soldoni, si traduce in questa stima: 327.190.500 euro che ogni anno l'Italia spende per garantire la pensione agli stranieri troppo in avanti con gli anni per lavorare. E, così, salta anche la vulgata dei giovani stranieri che pagano le pensioni agli italiani. Perché in Italia il 17% circa di loro ha superato i 65 anni. E, in questa maniera, viene anche spiegato il tormentone che circola sui social con titoli del tipo: «Paghiamo le pensioni a immigrati che non hanno lavorato neanche per un giorno». Molti la bollano come una bufala. Ma i dati parlano chiaro. Grazie al ricongiungimento familiare c'è una pletora di stranieri che incassa la pensione versata dall'Inps pur non avendo mai lavorato né versato contributi in Italia. L'unico requisito richiesto dalla legge è la residenza effettiva e abituale in Italia. Poi basta consegnare una carta prepagata collegata al conto corrente aperto in una filiale di una banca italiana a un parente che vive all'estero e il gioco è fatto.
Molti comunque scelgono di rischiare e, una volta ottenuto il diritto, se ne tornano nel Paese d'origine. Per la sospensione dell'erogazione va accertata la loro assenza dal territorio italiano per 30 giorni e, anche in questo caso, se lo straniero riesce a dimostrare, come spesso accade, che l'assenza è dipesa da gravi motivi di salute, l'assegno è salvo. Riuscire a dimostrare, poi, che un medico albanese o filippino abbia dichiarato il falso non è proprio una questione agevole. Sono necessarie rogatorie internazionali e le indagini giudiziarie, a quel punto, si fanno davvero complicate. In ogni caso, dopo un anno di sospensione, se lo straniero è ancora all'estero, l'assegno viene revocato definitivamente.
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Riduci
Prendi i soldi e scappa: 500 stranieri sorpresi a percepire un assegno Inps pur essendo tornati nei Paesi d'origine. I più sfrontati? Due tunisini che inviavano capitali nel Principato di Monaco. Spendiamo quasi 330 milioni l'anno per gli extracomunitari over 67. Secondo Tito Boeri dovevano mantenerci, ma con i redditi che dichiarano siamo noi a pagare loro il welfare. Il picco di beneficiari nel 2017: quasi 121.000. E le erogazioni sono triplicate in meno di un decennio. Lo speciale contiene due articoli. La storia si ripete. Maturano i diritti per l'assegno sociale e tornano nel loro Paese, dove il valore d'acquisto è di gran lunga superiore. E poi spetta alle forze dell'ordine o all'Inps, con indagini difficili e macchinose, accertare se non sono più nelle condizioni per godere del benefit. Gli ultimi dati annuali in possesso del ministero dell'Interno che fotografano il fenomeno contano circa 500 casi, per un totale di 10 milioni di euro. E anche nell'ultimo anno le inchieste sui furbetti hanno riempito pagine e pagine della cronaca locale dei quotidiani. Il caso più eclatante risale al mese di febbraio 2018. Per ben quattro anni 182 stranieri che risultavano residenti ad Ancona (dove il 17,05% del totale degli assegni sociali finisce agli extracomunitari: di questi il 7,90% sono albanesi e l'1,50% marocchini) hanno percepito i 450 euro per 13 mensilità. Ma non ne avevano titolo, perché, senza comunicarlo all'Inps, avevano lasciato l'Italia: 33 se ne erano tornati in Albania, 18 in Marocco, dieci in Macedonia e gli altri tra le Americhe, la Polonia, il Nord Africa, l'Africa centrale e l'India. In totale sono stati recuperati e risparmiati circa un milione di euro. L'altra maxi inchiesta è del dicembre dello scorso anno. A Sabaudia gli investigatori delle Fiamme gialle ne hanno stanati altri 36: incassavano i 450 euro per le 13 mensilità previste, perché, sulla carta, avevano tutti i requisiti in regola: 66 anni e sette mesi di età e risultavano residenti o con permesso di soggiorno da almeno dieci anni. In realtà, però, ognuno se n'era tornato a casa sua. La frode, alla fine, è stata stimata in 340.000 euro, sottratti dal bilancio dello Stato. L'indagine ha portato anche alla cancellazione dalle liste della popolazione residente in Italia. Alcuni di loro, malati, erano pure a carico del Servizio sanitario nazionale. E percepivano somme superiori ai 4.000 euro. Per questo sono stati denunciati per indebita percezione di erogazioni. Le somme sono state sequestrate. La bonifica, per fortuna, non si è fermata all'Agro Pontino. Il più sfortunato è un senegalese residente ufficialmente a Livorno: compiuti i 67 anni aveva cominciato a percepire l'assegno sociale. Pochi mesi dopo sono intervenuti i finanzieri e hanno scoperto che viveva stabilmente nel suo Paese d'origine. Ma qua e là lungo lo Stivale si trova traccia delle fregature in cui è incappato l'istituto di previdenza. Non sono mancati, poi, i casi limite. Il 4 aprile scorso gli investigatori della questura di Udine si sono imbattuti in un novantaduenne della Repubblica dominicana. In passato l'anziano aveva ottenuto il ricongiungimento familiare con la figlia in Italia e, dal settembre 2008, aveva maturato il diritto a ricevere l'assegno. E quindi il suo fascicolo Inps all'apparenza era regolare. Dalle indagini è emerso, però, che dal 2013 aveva soggiornato per lunghi periodi nella nazione di origine, venendo meno il presupposto previsto dall'Inps della stabile residenza. L'assegno, infatti, viene sospeso se il titolare soggiorna all'estero per più di 30 giorni. Dopo un anno dalla sospensione, la prestazione è revocata. E nei confronti dell'anziano sono state avviate le pratiche per tentare di recuperare il denaro sottratto. A giugno dell'anno scorso un'inchiesta si è abbattuta su Genova, dove la Guardia di finanza, di extracomunitari furbetti, ne ha stanati sette. Fin qui tutto come di routine (carte all'apparenza in regola ma nessuna presenza in Italia ormai da tempo). Se non fosse che è saltata all'occhio la provenienza di uno di questi: Israele. Primo caso nella storia. Se ne è tornato lì con l'assegno sociale italiano, pensando di farla franca. In questo caso, sottolinearono i finanzieri, non era stato facile scoprirlo. La prova principale, di solito, sono i visti sui documenti e di conseguenza sulle banche dati ministeriali al momento dell'espatrio. Ma se uno straniero, come in questo caso, esce dall'Italia da un'altra nazione dell'Unione europea, l'espatrio non è segnalato alle autorità italiane e neppure all'Inps. Che, ignaro, continua a bonificare i 430 euro finché non vengono disposti controlli approfonditi. Un'indagine dell'ottobre 2018 partita da Grosseto è riuscita a risalire alla indebita percezione dell'assegno sociale con una investigazione tutta bancaria. Un albanese e una donna dell'Est, dopo aver richiesto e ottenuto l'erogazione dell'assegno, erano rientrati nei loro Paesi d'origine, dove riscuotevano la somma. I carabinieri, attraverso le movimentazioni dei conti correnti, sono riusciti a dimostrare che il denaro veniva versato in filiali di banche italiane, ma che le carte usate per prelevarlo finivano in bancomat e pos esteri in modo stabile e continuativo. Anche in questo caso il diritto è stato revocato e i due furbetti sono stati segnalati in Procura. Nel marzo 2018, a Pescara, cinque stranieri sono stati denunciati per aver incassato 200.000 euro di assegni sociali. In alcuni casi, hanno scoperto le Fiamme gialle, se ne erano tornati all'estero. In altri casi, invece, avevano messo in atto una vera e propria truffa e, con artifizi e raggiri, taroccando i documenti sulla loro condizione economica, erano riusciti a ottenere l'assegno sociale. In realtà, però, hanno scoperto gli investigatori, non erano indigenti. I loro redditi non avrebbero permesso a queste persone di ottenere il benefit. Così, i cinque sono stati denunciati. Un cittadino albanese, quarantenne, che aveva ottenuto dalla provincia autonoma di Trento un sostegno sociale, invece, si era trasferito con i genitori ottantenni, che incassavano l'assegno sociale, in Germania. Tutti e tre continuavano a incassare i bonifici delle erogazioni pubbliche. Se n'è accorta la polizia locale della Valle del Chiese, che aveva ricevuto una segnalazione dall'ente che affida le case popolari (i tre avevano ottenuto anche quella) perché non era stato possibile contattare gli inquilini di un appartamento apparentemente lasciato dagli occupanti senza la restituzione delle chiavi. Le verifiche svolte hanno consentito all'ente di rientrare in possesso dell'appartamento in modo che potesse essere riassegnato e, in seguito ad accertamenti all'Inps e alla Pat, di provare la truffa, consistita nell'omettere di informare il Comune di residenza del trasferimento all'estero. Tutti e tre i componenti del nucleo familiare sono stati cancellati dall'anagrafe del Comune di Sella Giudicarie. E le erogazioni sono state immediatamente interrotte. E ancora: sempre lo scorso anno spicca il caso di una coppia di anziani coniugi tunisini che risiedevano, per finta, nella provincia di Firenze. I due hanno incassato in totale 120.000 euro. Ma gli investigatori, mentre indagavano sugli assegni sociali, hanno scoperto anche che i due conducevano una vita da nababbi, accertando movimenti di capitali verso il Principato di Monaco per 370.000 euro. 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I numeri definitivi, snocciolati dal Sole 24 Ore e diffusi dall'Inps, si fermano a quell'anno. Nel 2017 la metà di quegli extracomunitari apparteneva a sei Paesi: al primo posto c'era l'Albania, con 299.731 presenze, seguita dal Marocco con 262.824, dalla Cina con 209.405, dall'Ucraina con 166.546, dalle Filippine con 117.360 e dalla Moldavia con 106.041. Ma per leggere il fenomeno complessivamente bisogna tenere in considerazione almeno gli ultimi dieci anni. E così, si scopre, dato sbandierato da Tito Boeri, che si è passati da 1,3 a 1,7 milioni di cittadini non comunitari iscritti all'Inps come lavoratori. Il dato che Boeri tralasciava, e che invece è significativo, è però quello sui percettori di sostegno al reddito, un numero che è cresciuto ampiamente: dalle 17.000 erogazioni del 2008 c'è stato un salto che ha raggiunto le 94.000 del 2017. Questo dato dimostra che una grossa fetta degli stranieri in Italia non ha un reddito sufficiente per vivere. Dai controlli quotidiani messi in campo dalle forze dell'ordine si scopre anche che molti di loro, poi, in realtà un reddito superiore ce l'hanno, ma truccano le carte pur di incassare il sostegno dello Stato. In altri casi si tratta di lavoratori in nero che con più lavoretti riescono a raggiungere gruzzoletti mensili di tutto rispetto, ma non rinunciano comunque al bonifico sociale. A essere triplicato è invece il numero di titolari non comunitari di pensione e in particolare di pensioni assistenziali: dai 33.000 pensionati del 2008 si è arrivati ai 96.000 del 2017. La metà di loro nel 2017 (59.163 persone) è risultata titolare solo di pensioni assistenziali (invalidità civile e pensioni sociali), altri 20.747 di pensioni di invalidità, vecchiaia o superstiti, 9.992, invece, di pensioni indennitarie, cioè corrisposte a seguito di un infortunio sul lavoro o per malattia professionale. Oltre a questi ci sono 5.579 titolari di pensioni sia di invalidità, sia assistenziali e 1.003 titolari di pensioni d'invalidità e indennitarie. Insomma, c'è chi riesce a cumulare più diritti. Ci sono, poi, 78 casi record: extracomunitari che hanno diritto alla pensione assistenziale, a quella d'invalidità e a quella indennitaria, per un importo annuale totale di 17.000 euro. Le riforme introdotte nel 2018, con l'innalzamento dell'età a 66 anni e sette mesi, hanno ritoccato il dato al ribasso. Gli assegni sociali liquidati nel primo semestre 2018 erano già scesi a 10.332. Nello stesso periodo dell'anno precedente erano 78.470. Nel 2019, con l'innalzamento a 67 anni tondi tondi, il dato è sceso ancora: la quantità di assegni liquidati nel primo trimestre è pari a 3.199. Un terzo rispetto al 2017. Per ottenere il beneficio è necessario dimostrare di avere in mano un permesso di soggiorno di lungo periodo e di trovarsi in condizioni economiche disagiate. Ma c'è anche un'altra strada: ogni immigrato che ha ottenuto la residenza con l'istituto del ricongiungimento familiare, se in età avanzata per lavorare, ha diritto a vedersi versato dall'Inps un sussidio di 5.880 euro l'anno. Il che, in soldoni, si traduce in questa stima: 327.190.500 euro che ogni anno l'Italia spende per garantire la pensione agli stranieri troppo in avanti con gli anni per lavorare. E, così, salta anche la vulgata dei giovani stranieri che pagano le pensioni agli italiani. Perché in Italia il 17% circa di loro ha superato i 65 anni. E, in questa maniera, viene anche spiegato il tormentone che circola sui social con titoli del tipo: «Paghiamo le pensioni a immigrati che non hanno lavorato neanche per un giorno». Molti la bollano come una bufala. Ma i dati parlano chiaro. Grazie al ricongiungimento familiare c'è una pletora di stranieri che incassa la pensione versata dall'Inps pur non avendo mai lavorato né versato contributi in Italia. L'unico requisito richiesto dalla legge è la residenza effettiva e abituale in Italia. Poi basta consegnare una carta prepagata collegata al conto corrente aperto in una filiale di una banca italiana a un parente che vive all'estero e il gioco è fatto. Molti comunque scelgono di rischiare e, una volta ottenuto il diritto, se ne tornano nel Paese d'origine. Per la sospensione dell'erogazione va accertata la loro assenza dal territorio italiano per 30 giorni e, anche in questo caso, se lo straniero riesce a dimostrare, come spesso accade, che l'assenza è dipesa da gravi motivi di salute, l'assegno è salvo. Riuscire a dimostrare, poi, che un medico albanese o filippino abbia dichiarato il falso non è proprio una questione agevole. Sono necessarie rogatorie internazionali e le indagini giudiziarie, a quel punto, si fanno davvero complicate. In ogni caso, dopo un anno di sospensione, se lo straniero è ancora all'estero, l'assegno viene revocato definitivamente.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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