2024-08-06
Immenso Djokovic. Un patriota cristiano sul tetto del mondo
La medaglia d’oro corona una carriera incredibile, resa ancora più significativa da un’identità forte mai rinnegata (contro tutti).Dio è grande, ma anche Djokovic non scherza. C’è un pizzico di divinità persino nel punteggio con cui il tennista serbo ha sconfitto l’ostico avversario spagnolo Carlos Alcaraz: 7-6, 7-6. Laddove il 7 è il numero della completezza, della totalità e della perfezione. Il 6 è la cifra dell’uomo: a immagine di Dio, ma non perfetto. La differenza - apparentemente piccola ma infinita - l’ha marcata per ben due volte Nole sul campo domenica, giorno del signore. Lui sta al 7, i comuni mortali seguono. Medaglia d’oro olimpica a 37 anni, il sigillo di un trono decorato di onori: 10 titoli dell’Australian Open, tre titoli dell’Open di Francia, sette titoli di Wimbledon e quattro titoli dell’Us Open. È il migliore di sempre, come titola il Corriere della Sera dopo l’impresa, il suo palmares è completo al pari di quelli di Agassi e Nadal, e il serbo ha persino l’energia di fantasticare sulle Olimpiadi di Los Angeles del 2028: avrebbe 41 anni, ora è presto per dire qualcosa di serio in proposito, ma chissà. «Pensavo che portare la bandiera alla cerimonia di apertura per il mio Paese alle Olimpiadi del 2012 fosse la sensazione più bella che un atleta potesse provare fino ad oggi», dice Nole ai giornalisti. «Ora, all’età di 37 anni e di fronte a un ventunenne che è probabilmente il miglior giocatore del mondo in questo momento, che ha vinto Roland Garros e Wimbledon nello stesso anno, posso dire che questo è probabilmente il più grande successo sportivo che abbia mai avuto. In un certo senso perdere pesantemente contro Alcaraz a Wimbledon probabilmente ha giocato a mio favore, perché sapevo che non avrei potuto giocare peggio di così». I commenti sportivi, però, rimbalzano quasi inutili: che altro c’è da dire su quest’uomo che ha vinto tutto e ancora si libra leggero sul campo? Maggiormente interessante, senza dubbio, sono il messaggio che egli più o meno volontariamente trasmette e la posizione in cui si colloca, che piaccia o no è politica. Non v’è dubbio che in queste Olimpiadi e come mai in precedenza il corpo sia il campo di battaglia, il terreno su cui si scontrano ferocemente opposte fazioni. Il corpo (forse) ibrido di Imane Khelif; il corpo sofferente di Angela Carini a cui tutti dai loro tinelli si sentono in dovere di dire come combattere, nemmeno fosse la guerra in Ucraina; i corpi rigurgitanti - merde! - dei nuotatori nella Senna; i corpi queer e bolsi e pittati esibiti malamente nella sfilata inaugurale. Ed ecco che nel pieno della battaglia arriva Djokovic, figura cristica, che assume tutti questi scontri nella sua carne asciutta e viva. Il suo corpo non più giovane ma ascetico trionfa ancora una volta, e lo fa in gloria del Signore: Nole - cristiano ortodosso - prima mostra la croce che porta al collo dal battesimo, poi quella stessa croce se la disegna addosso, mentre in ginocchio ringrazia il Cielo: «Dio è grande», grida. In questa Olimpiade che deturpa i simboli e che sfregia lo spirito - cristiano o pagano fa poca differenza, nel sabba superficiale e nella pochezza gonfiata dello spettacolo contemporaneo - questi segni antichi sulla carne diventano gesti quasi rivoluzionari, scandalosi: «È necessario che gli scandali avvengano, ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene». In effetti, Nole di guai ne sono capitati parecchi a causa delle sue idee e, soprattutto, del suo corpo. Egli è stato scandaloso, cioè si è fatto pietra di inciampo, ostacolo al dipanarsi dell’ideologia dominante. Quando rifiutò il vaccino - con imperturbabile serenità e ferrigna determinazione - una muta ottusa di farisei che non vale nemmeno la pena di nominare perché si farebbe loro pubblicità (ovvero gli si darebbe ciò che morbosamente bramano) sentenziò che la sua carriera era finita, che il suo comportamento disonorava lo sport. Lo vollero dipingere come un cattivo maestro sperando che fosse bandito dalle competizioni: non ti vaccini, non giochi anche se non ti ammali. Lui, tranquillo, li ha sorvolati e rieccolo qui: non ti vaccini, non ti ammali, vinci le Olimpiadi. Il corpo di Djokovic, divenuto campo di battaglia, ha sopportato il conflitto, non si è piegato: l’hanno gettato negli inferi ed è ritornato senza ferite. Ora un nuovo round, con la stessa beata - o forse sarebbe meglio dire olimpica - calma. Il corpo di Nole è di nuovo al centro della scena, mentre i poveretti che ne auspicavano la fine e il ritiro dovrebbero loro ritirarsi per dignità. Il punto non è nemmeno che abbia vinto, ma il modo in cui lo ha fatto, in cui ha festeggiato, in cui si è espresso prima e dopo. Migliore e più saggio di tutti i politici che per un verso o per l’altro lo strumentalizzano: di quelli che ora lo deprecavano in nome della scienza e che ora lo detestano in sottofondo perché li ha zittiti con i risultati; di quelli che celebrano in lui il coraggio e la fermezza che a loro manca. Sconfigge tutti in due set, umanissimo e sovrumano. 7 a 6 per lui: Olimpo o paradiso, ha un posto prenotato dove desidera per la fine della carriera. E quando finirla sarà lui a deciderlo, non altri somari.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.