2024-08-10
Oro scontato a Khelif. Ma a finire ko è la boxe femminile
Imane Khelif posa con la medaglia d'oro (Ansa)
La cinese Yang Liu asfaltata da pugni e arbitraggio sfavorevole. Spuntano altre carte che alimentano i dubbi sulle due pugili iperandrogine.Alla fine ha vinto Imane Khelif. Una vittoria che dedica all’Algeria dove è ormai un’eroina nazionale. Eppure un risultato immancabilmente pieno di ombre, quelle suggerite dai test genetici dai quali emergerebbe un profilo biologico maschile che la avvantaggia sulle altre atlete. Superiorità tecnica ma anche un’evidente potenza nei colpi sono le chiavi con cui stende la cinese Yang Liu con un netto cinque a zero. Tre round vinti in modo schiacciante. Una vittoria che era stata auspicato dallo stesso Emmanuel Macron che durante un incontro nel 2022, ammirato dalla storia della pugile «intersessuale», le disse che avrebbe fatto il tifo per lei. Stasera, invece, match finale per l’altra atleta contestata, la taiwanese Lin Yu Ting contro la polacca Jiulia Szeremeta. Se i tentativi di fare chiarezza sulla condizione medica di Imane e Yu Ting sono stati visti come «attacchi» e «atti di diffamazione», sembra però destinato ad allargarsi il numero di quanti, all’interno della comunità scientifica, sostengono che se il quadro è quello suggerito dai test dell’Iba (International Boxing Association), quindi cromosomi XY con in più alti livelli di testosterone, le atlete che presentano questa condizione riconducibile ad un disturbo dello sviluppo sessuale (Dsd, non dovrebbero gareggiare nelle categorie femminili. Il divario di potenza tra un pugno maschile e uno femminile sarebbe infatti del 162%. «Non è esagerato affermare che ignorare la biologia in nome dell’ideologia può portare alla morte di qualche atleta» scrive sul Wall Street Journal Colin Wright, biologo evoluzionista del Manhattan Institute che ha giudicato il comportamento del Comitato Olimpico Internazionale (Cio) «di una incompetenza sconcertante. Se permettere agli uomini di competere contro le donne negli sport è ingiusto - scrive - includerli nelle attività di combattimento femminili significa ignorare del tutto la sicurezza delle donne».Non la pensano così invece i Comitati Olimpici di Taiwan e dell’Algeria che hanno inviato all’Iba due lettere dai toni minatori. La tempistica è curiosa perché i documenti sono stati vergati il 4 agosto da due uffici legali di Parigi proprio a ridosso della conferenza stampa con cui l’Iba ha spiegato la propria decisione di squalificare le due atlete durante i mondiali di boxe del 2023 perché non idonee a gareggiare nelle categorie femminili. «La diffusione di informazioni a carattere confidenziale e medico sarebbe una grave violazione della vita privata di Madame Khelif», scrive il Comitato Olimpico dell’Algeria. Dello stesso tenore quello di Taiwan, che fa presente come la conferenza stampa, qualora rivelasse i risultati dei test e informazioni personali delle atlete, potrebbe causare un danno alla loro immagine. Il principio è giusto: senza il consenso delle due atlete l’Iba non può diffondere i risultati dei test e, per quanto ne abbia fatto intuire il contenuto, non l’ha certo reso pubblico. Rimane singolare però che i Comitati Olimpici delle due atlete si siano attivati solo ora e che, se avessero voluto, avrebbero avuto tutto il tempo per fugare ogni dubbio ben prima delle Olimpiadi di Parigi. Sebbene il Comitato di Taiwan scriva che «Lin è stata vittima di una decisione arbitraria presa dall’Iba senza alcun preavviso», la lettera di avvenuta squalifica, con tanto di risultati dei test allegati, le è stata consegnata, così come a Khelif, in data 24 marzo 2023 ed è stata controfirmata da entrambe. Nella stessa lettera l’Iba faceva presente che le atlete potevano fare ricorso al Cas (Court of arbitration for sport ) entro 21 giorni eppure nessuna delle due di fatto ha voluto farsi giustizia percorrendo questa strada. Oltre che vincolante, la sentenza del Cas sarebbe stata anche pubblica ed è ormai evidente che le due atlete preferiscano rispondere alle polemiche ricorrendo al diritto alla privacy. Scelta che però non spegne i dubbi. Così come le perplessità verso la scelta del Cio di basare l’accesso alle categorie maschili e femminili solo su quanto scritto sul passaporto e, all’occorrenza, su un aggiustamento dei livelli di testosterone. Ad una giornalista che gli chiedeva se non fosse il caso di rivedere le regole, il Presidente del Cio Tomas Bach ha ribadito che non è il caso di fare ripensamenti visto che a suo dire «non esiste un metodo scientificamente solido per distinguere tra uomini e donne». Una posizione tutt’altro che condivisa da Sex Matters, associazione per la tutela dei diritti delle donne dove l’ex nuotatrice olimpica Sharron Davies oggi reporter sportiva, ha spiegato che «qualsiasi organizzazione scolastica, sportiva o governativa dovrebbe occuparsi della sicurezza delle persone. Queste pugili sono molto giovani e intimidite. Sicuramente il Cio esercita un’enorme pressione sui vari governi e i comitati nazionali affinché facciano firmare ai propri atleti documenti che ne limitino la libertà di espressione. Anche questo è un grosso problema», ha concluso la Davies.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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