2020-06-15
«Il virus? Può rimanere in corpo fino a tre mesi dopo la dimissione dall'ospedale»
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Ora che i contagi e i decessi sembrano essersi normalizzati, il professor Francesco Cetta, già Direttore della Clinica Chirurgica di Siena, spiega perché quello che ci è stato raccontato sul coronavirus non è del tutto esatto.Pratica e teoria: ecco il perché esistono opinioni così differenti sul Covid-19Lo speciale comprende due articoli.Qual'è il ruolo degli asintomatici nella pandemia da Covid-19?A Milano i contagiati e i decessi sembrano non voler finir mai. A Bergamo i congiunti dei deceduti hanno presentato 50 esposti per «conoscere la verità». Si continua a parlare del ruolo degli "asintomatici", e di che cosa si poteva fare per prevenire o ridurre gli effetti della pandemia.L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) tende a normalizzare, regolarizzare, a dare raccomandazioni uguali per tutti, indirizzate urbi et orbi. Non si tratta solo di deformazione professionale del matematico-statistico, che deve necessariamente ridurre l'uomo ad un puntino con cui costruire le sue curve, o a una figura geometrica, un triangolo piuttosto che un quadrato. In realtà l'organismo umano è un poligono plurisfaccettato, che mal si adatta ad essere normalizzato.La medicina, e in particolare la clinica , non è una scienza "esatta". Entro certi limiti, anche ad essa possono essere applicate le leggi universali della fisica e della chimica. Ma poi esiste la "reattività individuale". Ed allora, "i conti non tornano".Ma gli epidemiologi vanno oltre la deformazione professionale. Esercitano una sorta di violenza, di punizione esemplare (come il maestro di una volta che bacchettava i suoi discepoli per mantenere la disciplina). Perché l'uomo, secondo loro, si ostina a non voler rispettare le regole, a non corrispondere al modello teorico dei matematici.Pertanto, per l'Oms, governata da epidemiologi e statistici, gli "asintomatici" non sono contagiosi.La storia che racconta l'Oms con i suoi epidemiologi e virologi a fare da medici-comunicatori, è stata ormai messa a punto, sulla scorta delle "pregresse epidemie". Viene considerata la Bibbia. E non è contestabile o criticabile. C'è una prima fase in cui il virus colpisce tutti, perché gli "umani" sono inermi rispetto alla "prima ondata" dell'agente patogeno. Il virus si riproduce nella cellula. Si distingue una fase iniziale, una fase apicale, di acme, in cui il contagio è massimo, e poi una fase finale di progressiva riduzione della trasmissibilità del virus. Man mano che i sintomi si riducono, la carica virale scema e con essa la contagiosità. Nel frattempo, all'interno dell'ospite, ad opera del suo sistema immunitario, prima si sono formate le IgM e poi le IgG. E alla fine il contagiato è diventato per qualche tempo "immune" (almeno per alcuni mesi). Questa è la storia tipica che l'Oms diffonde come Vangelo, stabilendo anche dei giorni precisi : 4-7 giorni per l'incubazione e 2 settimane per l'intero decorso della malattia, con sintomi e non.Non è così. La realtà ha dimostrato che il "modello teorico" è falso. Nei casi gravi di SARS-Cov-2, quelli che sono stati ricoverati per 80 giorni in ospedale, incluso lunghi periodi in terapia intensiva, spesso il virus è ancora presente nell'organismo al momento della dimissione. Quindi, invece di 2 settimane, il virus può rimanere anche per tre mesi. E questa è una prima eccezione, che riguarda la durata della persistenza attiva del virus all'interno del corpo umano.Ma veniamo agli "asintomatici". Di quali individui stiamo parlando? Quali asintomatici non sono contagiosi? Innanzitutto, chi sono gli "asintomatici" nel caso della SARS-Cov-2?. Quelli che non hanno alcun sintomo clinico? Oppure anche quelli che non hanno i "sintomi respiratori"?Le prescrizioni dell'OMS sono state precise: si devono "fare i tamponi" solo a coloro i quali, oltre alla febbre, hanno almeno 2 altri sintomi respiratori, tipo tosse secca, dispnea grave ("fame d'aria"), o polmonite.E qui, ancora una volta l'organismo umano si "ostina" a non rispettare le regole, e non vuole essere "normalizzato" all'interno dei "modelli teorici" degli epidemiologi. La clinica, col metodo "sbaglia ed impara dagli errori" dimostra che questa malattia determinata dal SARS-Cov-2 è una "malattia nuova", in cui ci sono circa il 40% di sintomatici. Ma, in aggiunta a questi, esistono un 10% di pazienti con forme "gastro-intestinali", in cui i sintomi respiratori non sono presenti, ma prevalgono altri sintomi, come vomito e diarrea, ed un altro 10% di "forme atipiche", in cui prevale l'insufficienza epatica, oppure sintomi cardiaci, vascolari, o a carico del sistema nervoso centrale. Il 20% dei soggetti con SARS-Cov-2, quelli con sintomi atipici, soprattutto se giovani e dinamici, sono coloro che più frequentemente rientrano nella categoria dei "super diffusori", perché possono avere una malattia molto spiccata, con carica virale intensa ed un elevatissimo "rischio di contagio". Ma anche l'asintomatico vero, secondo l'OMS, non deve fare il tampone, ed essere sottoposto al test di "identificazione" in confronto alla malattia, perché "contagia poco".Questo è l'altro grave errore degli epidemiologi e dei virologi: la loro visione "virus-centrica". Cioè non comprendono che tutto ciò che riguarda il virus, la sua sequenza genetica, la sua conformazione, il suo comportamento ("si è spontaneamente "attenuato" negli ultimi mesi?) costituisce solo un terzo dei fattori causali, ma la malattia ( ed il suo grado minore o maggiore di gravità, che è quello che conta!) dipende grandemente dalla reattività dell'organismo umano e dal clima e dall'ambiente in cui si verifica l'interazione virus-ospite.Infatti, un "asintomatico", o un "pauci-sintomatico" (con sintomi lievissimi), che trascorre alcune ore in una RSA, come il Pio Albergo Trivulzio, può causare danni enormi. Perché la malattia non dipende solo dal virus, dalla carica virale, dalla concentrazione dei "virioni" e dal loro grado di patogenicità e virulenza, ma anche e soprattutto dalla suscettibilità e dalla risposta degli ospiti. E anche se vengono importate in un luogo chiuso basse concentrazioni di virus, "individui fragili o estremamente suscettibili" possono essere infettati ed ammalarsi, e si può creare in questa sede, un importante focolaio di infezione.Finché gli epidemiologi dell'Oms e gli altri funzionari di enti nazionali o sovranazionali, laureati in medicina e non, non faranno proprio questa "nuova visione" della medicina, basata sulla clinica, sulle "varianti cliniche" e non solo sulle cause e sugli agenti eziologici, finché ci faremo condizionare dall'Oms e dai suoi "cloni", saremo guidati sempre da "incompetenti".La delegazione inviata in Cina dall'Oms, che contava ben 26 esperti, (di cui solo uno pneumologo, egli altri tutti epidemiologi, infettivologi, statistici) rimasti in sede per 9 giorni, ha basato il suo "report ufficiale" sui dati "parziali" di "una sola autopsia" (a distanza di oltre 3 mesi dall'inizio dell'epidemia). Finché gli "esperti" dell'Oms non impareranno che il "comportamento clinico" di un nuovo ceppo virale e di ogni nuova malattia si conosce studiando gli aspetti clinici e anatomopatologici - e quindi attraverso le "autopsie" e le alterazioni che vengono prodotte nei vari organi tessuti, e non sulla base delle "curve" di malattie simili -, non si esce da questa "impasse". Non è che la "mela marcia" sia solo un singolo funzionario, o che solo alcuni settori dell'OMS - o di strutture analoghe- siano retti da incompetenti. È tutto un "sistema burocratico", che "premia" gli oratori, i comunicatori, i divulgatori, i costruttori di grafici, i profeti di facili previsioni, e consente, anche a chi non ha pratica clinica, di ricoprire ruoli guida nella gestione della Medicina e della Sanità pubblica. Ma la "colpa" non è di alcuni poco capaci, che si trovano senza meriti in posizioni di vertice, e nemmeno dell'Oms di per sé. Ma di "chi lo permette". O per comodità, o per assuefazione, per seguire il "main stream", o perché a sua volta incapace di una scelta adeguata. In quanto, a sua volta, "ignorante" o "incompetente" delle cose di Medicina.Bisognerebbe stabilire una volta per tutte, magari addirittura con un referendum: Da chi volete che sia organizzata, gestita e diretta la Medicina? Nelle mani di chi volete mettere la vostra salute? Da chi volete far curare le vostre malattie? Dai medici clinici, o dagli epidemiologi e dai virologi che non hanno mai visitato un malato in vita loro?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-virus-puo-rimanere-in-corpo-fino-a-tre-mesi-dopo-la-dimissione-dallospedale-2646172591.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pratica-e-teoria-ecco-il-perche-esistono-opinioni-cosi-differenti-sul-covid-19" data-post-id="2646172591" data-published-at="1592160534" data-use-pagination="False"> Pratica e teoria: ecco il perché esistono opinioni così differenti sul Covid-19 Come mai i cosiddetti "scienziati" hanno opinioni diverse, e giungono a considerazioni apparentemente contrastanti su aspetti cruciali della presente pandemia da Covid-19?Io penso di aver individuato nei "clinici" una natura più pratica, aderente a quello che "si osserva in natura", con marcatori e parametri di valutazione più "facili", immediati (sano, malato, vivo o morto), ma soprattutto con lo sguardo focalizzato sul singolo paziente malato, che può "guarire o morire". Gli "epidemiologi" sono più abituati agli studi di popolazione, e meno interessati al destino dei singoli, sono più tendenti all'astrazione, alla semplificazione, alla riduzione di tutto a numeri, da sommare, moltiplicare o dividere, o a punti con cui costruire le loro rette o curve. In particolare, sono fedeli alle leggi matematiche, universali, a valere sempre e ovunque, e non tollerano le "eccezioni", che vengono relegate ai limiti della curva di popolazione, per essere considerate "trascurabili". Se osservano discrepanze tra quanto previsto dalla teoria e quanto osservato nella pratica quotidiana, come il loro padre, Ronald Fisher, tendono ad interpretare queste differenze come dovute all'ostinata realtà, che si "ostina" a resistere, e a non voler rispettare il modello teorico. Qualsiasi "stranezza" è sempre interpretabile in termini "epidemiologici" ( come la coda dell'epidemia, o perché il virus incontra più difficoltà, o perché se c'è meno carica virale sui tamponi), risulta perfettamente spiegabile, anzi era prevista come "evento atteso". Tutto viene fatto ricadere all'interno della teoria e del modello che è "perfetto per definizione" e quindi, se i dati non tornano, è perché ci sono stati errori, o sono gli uomini che sono "fatti male". I clinici, se osservano che ci sono "meno morti", o che le "forme cliniche" sono più lievi, descrivono quello che vedono, e si ritengono soddisfatti se i morti e i malati gravi sono in numero minore.In particolare, non focalizzano l'attenzione solo sul virus, e su una visione virus-centrica, per cui tutto deve essere rapportata al virus, se c'è qualcosa che peggiora è perché il virus è mutato ed è diventato più virulento, o se migliora è perché il virus ha sviluppato una variante geneticamente diversa. No. I clinici sanno benissimo, avendolo appreso proprio con l'osservazione quotidiana di ciò che accade in natura, che le leggi generali non sempre si applicano alla perfezione al singolo malato, e soprattutto che, per quanto riguarda le "malattie", non tutto dipende solo ed esclusivamente dall'agente eziologico, dalla causa della malattia, ma dipende anche dalla "reattività dell'ospite" e dall'ambiente in cui l'interazione virus-ospite si verifica. Pertanto, la malattia, la sua gravità, il suo esito finale dipendono in maniera rilevante anche da questi altri fattori, che possono determinare un "esito diverso", indipendentemente dalla struttura conformazionale, dalla sequenza genetica e dal comportamento del virus. Pertanto, volendo provare a semplificare, e a fornire una spiegazione plausibile del perché di queste contraddizioni da parte di "professionisti" che ritengono entrambi di seguire il "metodo scientifico", le differenze fondamentali sono le seguenti: 1) gli epidemiologi seguono il metodo "deduttivo", hanno delle "categorie a priori", della leggi generali preconfezionate, in grado di spiegare ogni cosa, e quindi pretendono di "incasellare tutto" nei modelli teorici, considerando errori, o stranezze, quello che esce al di fuori dal modello, o si posiziona ai margini della curva. I clinici si limitano ad osservare quello che si verifica, imparano dagli errori, e cercano di migliorare i risultati, vivendo alla giornata e accumulando dati.Gli epidemiologi non hanno capito che si tratta di una"malattia nuova" in cui c'è "tutto da imparare", proprio perché è "nuova", e invece pretendono di "fare previsioni" sulla base delle curve stereotipe ricavate dai dati delle epidemie precedenti, causate da ceppi virali diversi. I clinici, senza preclusioni, osservano e scoprono che esistono in gran numero "varianti cliniche", con sintomi diversi, spesso addirittura senza nessuno dei sintomi classici e, dopo aver accumulato la casistica, incominciano a calcolare, sulla base dei dati freschi, della nuova malattia, il numero dei casi tipici, con sintomi respiratori, quelli delle varianti atipiche, con sintomi gastrointestinali, incominciano a vedere i "danni" che la malattia provoca livello di organi come fegato, cuore, cervello, rene, apparato vascolare, che non erano stati "contemplati" nel modello iniziale degli epidemiologi. I clinici osservano sia le variazioni legate al clima. Ad Hong Kong lo stesso virus determina 4 morti in 5 mesi, su 7.500.000 di abitanti, in Italia, più di 30.000. Anche se si aggiustano i numeri per la popolazione e si esprime il dato in percentuale, risulta 1000 volte maggiore. Dati simili si ottengono a Singapore o nel Qatar.Il virus è "uguale" dappertutto, ma i "morti" sono significativamente diversi. Per motivi certamente legati, oltre che alle caratteristiche dell'ospite umano, a "fattori climatici" (temperatura, umidità, ventilazione, irraggiamento, latitudine, raggi UV, onde elettromagnetiche) più che alla capacità o eccellenza tecnologica del sistema sanitario dei singoli paesi.I clinici osservano che 1 solo paziente può contagiare 160 persone in poche ore (se cambia 3-4 discoteche nell'ambito di una serata, come il nord-coreano di 29 anni), mentre altri, gli, anziani, che non escono di casa, contagiano meno. In altre parole, esistono notevoli differenze tra i vari individui nella diffusione del contagio, con i "superdiffusori" che la fanno da "padroni" e che in 5-6 sono in grado di "vanificare" 3 mesi di "lock-down" rispettato da milioni di persone. Questo porta a correggere il "modello tipico" della diffusione per via aerea, che porta ad ipotizzare una sorta di "catena di sant'Antonio", per cui ognuno vale uno, riceve il contagio da uno e lo trasmette ad un altro.Infine, "last, but not the least", i modelli, per funzionare, devono essere "caricati" con dati attendibili in tempo reale. Se per un motivo o un altro non si riesce a precisare il numero reale dei contagiati, come è successo in Lombardia e nella pianura padana, tutte le curve sono "falsate". I numeri sciorinati quotidianamente dalla Protezione Civile per 4 mesi, se sono vicini alla realtà per il computo dei morti, per quanto riguarda il numero reale dei contagiati, cioè di coloro che si sono infettati col virus, - che costituisce il "denominatore" della frazione con cui scrivere la proporzione -, sono "numeri a caso". Che non hanno alcun valore. Sembra che in Italia la malattia abbia provocato più del 10% di decessi ( 33.000 morti su 230.000 contagiati), quando invece i morti reali dovrebbero costituire solo l'1-2% dell'intera popolazione dei contagiati. Dopo 4 mesi questa è la realtà, per cui qualsiasi numero fornito dagli epidemiologi, o degli statistici è "molto relativo e aleatorio". Farebbero bene non solo a mantenere un opportuno riserbo, ma addirittura un "rigoroso silenzio".Ad un certo punto i clinici, che "fotografano" la realtà giorno per giorno" dopo 3 mesi di "morti" trasportati con i camion militari, osservano che i reparti di rianimazione sono vuoti, e non si vedono nemmeno più "polmoniti", e che negli Ospedali si può riprendere a curare i milioni di malati di altre malattie, per effetto delle quali, oggi, si muore molto di più che per il virus. Questo è il significato dell'affermazione di Zangrillo: "Il virus si è clinicamente estinto". Che sostanzialmente "esprime" questa differenza "costitutiva", strutturale, tra i clinici e gli epidemiologi.Io direi di più. Anche se il virus continua ad essere lo stesso, la malattia "non dipende solo dal virus". Allora, proviamo ad abituarci a "convivere meglio" con questo virus, a fare in modo di "limitare i danni", perché il virus "fa parte della natura". Il 25 % del dna umano è costituito da "frammenti di genoma di virus. Addirittura i pipistrelli sono "protetti" dai loro cororavirus, i quali non solo vivono con loro in "simbiosi", ma, grazie a loro, sono "protetti", e si infettano meno con altri patogeni. Dovremmo imparare dai pipistrelli a vivere anche noi "in simbiosi" coi coronavirus. L'ultima notazione è sull' "opportunità" di questo tipo di comunicazione, che non impatta solo sull'ambiente medico e scientifico, ma viene percepita anche dai "superdiffusori", amanti delle discoteche e della "movida", dai quali può essere interpretata come "liberi tutti", non portiamo più la mascherina, e torniamo a fare "tutto come prima". È un comportamento da evitare. Ci vuole responsabilità. Ma questo è un altro discorso.
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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