
Il rapper che scandalizzava destra e sinistra oggi si genuflette alle idee dominanti. Più trasgressive le nostre hit dell'estate.Sarà che con l'età si diventa più saggi. Ma noi speravamo proprio che Eminem, neanche quarantottenne, potesse rimanere il bad boy di sempre. Invece, Marshall Bruce Mathers III ci ha deluso con il suo ultimo singolo, interpretato in coppia con il collega afroamericano Kid Cudi. The adventures of moon man and slim shady è una rassegna completa del repertorio politicamente e pandemicamente corretto: George Floyd, «poliziotti corrotti» e americani bifolchi che non vogliono indossare le mascherine anti Covid. Praticamente, il rapper di Detroit è diventato un'infermierina. Più che Eminem, sembra Michele Mirabella: mancano solo l'appello a lavarsi le mani e l'apologia del vaccino obbligatorio.E pensare che, un tempo, Marshall attirava su di sé gli stigmi peggiori: omofobo e razzista. The Marshall Mathers Lp, disco del 1999, considerato il suo lavoro più importante, scatenò polemiche per i testi sfacciati: inni all'intolleranza nei confronti dei gay e delle donne, lamentarono i detrattori. Lynne Cheney, moglie dell'ex vicepresidente Dick, sostenne che nel cd c'erano persino allusioni al massacro della Columbine high school. Se la prese con il brano Kill you, in cui Eminem avrebbe descritto l'omicidio e lo stupro di sua madre. Con la quale, in effetti, aveva un rapporto tormentato: anni di contenziosi, una causa per diffamazione, il video di Cleanin' out my closet, in cui si vede il giovane Mathers scavare una fossa per seppellire la donna. Un vero «maledetto», che per smentire le accuse di odio verso gli omosessuali, fu costretto a duettare con Elton John. Poi, il rivale Benzino gli rinfacciò delle registrazioni in cui Eminem rappava: «Non mi piace la feccia negra» e «le donne di colore vanno solo a caccia di soldi dai loro partner». Nel 2002, l'album The Eminem show si beccò l'etichetta Parental advisory: explicit content, una sorta di bollino rosso, imposto alle case discografiche dall'associazione di controllo genitoriale fondata da Tipper Gore, la consorte dell'ex candidato democratico alla Casa Bianca. Insomma, Eminem scandalizzava destra e sinistra.Cos'è rimasto di quel dissacratore professionista? Il rapper, in polemica con i suoi censori, nel 2002 cantava: «Be', sembra sia un lavoro per me / perciò seguitemi tutti, / perché ci serve qualche controversia / e tutto sembra così vuoto senza di me» (Without me). Oggi, Marshall si esprime come un Anthony Fauci in felpa e sneakers: «Una metà cammina come zombie durante un'apocalisse, / quelli dell'altra metà s'incazzano, / non vogliono indossare una mascherina e ridacchiano, / ma è così che si finisce per prendere merda». Parolacce a parte, di cui Eminem si definisce «il re», siamo al trionfo del conformismo. Evidentemente, l'allusione è a Donald Trump, che s'è quasi sempre rifiutato di mostrarsi mascherato. Sapeva che un lockdown all'italiana avrebbe dato il colpo di grazia al suo elettorato, la classe media della rust belt, già depauperata dalla globalizzazione e dalla concorrenza sleale della Cina. Di che si deve preoccupare, Eminem, se non di piacere a chi lo odiava?Ve lo ricordate Nanni Moretti, rivolto a Massimo D'Alema? «Di' qualcosa di sinistra!». Ecco, verrebbe da implorare l'ex ragazzaccio di Detroit: «Dicci qualcosa di trasgressivo!». Ma The adventures of moon man and slim shady è appiattita sull'ortodossia di Black lives matter. Eminem riesce a insultare il solo ad aver manifestato un pensiero divergente: Drew Brees, giocatore di football che aveva criticato il rito dell'inginocchiamento, come una mancanza di rispetto nei confronti della bandiera. Un attacco coraggioso: come se, nel 1936, qualcuno avesse messo alla berlina August Landmesser, l'unico uomo che non rivolse il saluto ad Adolf Hitler, nella celebre foto dell'adunanza nazista, scattata ad Amburgo. Sono finiti i tempi in cui Axl Rose, nell'irriverente One in a million, si sfogava così: «Polizia e negri, proprio così, / filate via. / Non ho bisogno di comprare nessuna / delle vostre collanine d'oro oggi». E poi: «Immigrati e froci, / non hanno alcun senso per me, / vengono nel nostro Paese e pensano di fare quel che vogliono, / tipo creare un mini Iran / o diffondere qualche fottuta malattia». Era il 1988 e i Guns n' roses dovettero eliminare il brano dai concerti.Oggi, Rose finirebbe dritto dietro le sbarre. Oggi sono tollerati soltanto i menestrelli di corte, che strimpellano i ritornelli dell'élite mediatica, politica e intellettuale. Meglio le hit estive italiane (in fondo, qui diamo luce verde perfino a Sfera Ebbasta). C'è desiderio di libertà, dopo mesi di Vip in profilassi social, al motto: «Io resto a casa». Ad esempio, J Ax canta la sua «voglia assurda / di stare tra la gente», finché non «ci baciamo tutti». Alla faccia degli assembramenti. Alessandra Amoroso, con i Boomdabash, parla di «una piazza piena» e si augura di «fare tutto quello che non si poteva», causa restrizioni. Il potere costituito, magari, sogna di metterci in gabbia. Ma c'è da preoccuparsi davvero solo quando l'arte, anziché prenderlo a picconate, ne diventa il megafono.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.
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Dopo il Ponte tocca ai Giochi. Per il gip sarebbe «incostituzionale» il decreto con cui il governo ha reso «ente di diritto privato» la Fondazione Milano-Cortina. Palla alla Consulta. Si rifà viva la Corte dei Conti: la legge sugli affitti brevi favorirà il sommerso.
Da luglio la decisione sembrava bloccata nei cassetti del tribunale. Poi, due giorni dopo l’articolo della Verità che segnalava la paralisi, qualcosa si è sbloccato. E così il giudice delle indagini preliminari Patrizia Nobile ha accolto la richiesta della Procura di Milano e ha deciso di rimettere alla Corte Costituzionale il decreto legge del governo Meloni che, nell’estate 2024, aveva qualificato la Fondazione Milano-Cortina 2026 come «ente di diritto privato». La norma era stata pensata per mettere la macchina olimpica al riparo da inchieste e blocchi amministrativi, ma ora finisce sotto la lente della Consulta per possibile incostituzionalità.






