2019-01-30
Perché il M5s
non può non salvare Salvini
Che finisse così, ovvero con un «serrate i ranghi altrimenti casca il governo», avremmo potuto scommetterci. Non a caso il giorno in cui era stata resa nota la decisione del Tribunale dei ministri di richiedere l'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini avevamo scritto che in gioco c'era la stessa maggioranza. Del resto non avrebbe potuto essere che così. Il ministro dell'Interno non è finito nel mirino dei magistrati di Catania per aver commesso un reato come capo della Lega o come privato cittadino. Né per aver preso una decisione contraria ai propri doveri di tutore dell'ordine pubblico. No, Salvini rischia di finire sul banco degli imputati in qualità di numero uno del Viminale, ossia di responsabile della sicurezza interna del Paese, per aver fatto una scelta politica precisa: fermare, o per lo meno scoraggiare, gli sbarchi di migranti.Il capo della Lega lo aveva promesso agli italiani durante la campagna elettorale e poi lo aveva messo per iscritto nel famoso patto di governo da cui era sorto l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Oltre al reddito di cittadinanza, a quota 100, alla legittima difesa, alla prescrizione, alla certezza della pena e a tutto il resto, nell'accordo con i 5 stelle c'era la politica di contrasto all'immigrazione. Stop ai clandestini, stretta sulla concessione dei permessi d'asilo, rimpatri veloci per chiunque non abbia titolo di rimanere nel nostro Paese, ma, soprattutto, limitazione agli sbarchi. E per raggiungere l'obiettivo di diradare gli arrivi via mare non c'era solo la politica degli accordi con gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. C'era anche un'azione decisa contro le Organizzazioni non governative, ovvero quelle associazioni che di fatto sono divenute il tramite tra chi organizza i viaggi e le nostre coste. Si sa che gli scafisti caricano gli immigrati su barconi malconci e su gommoni sgonfi avendo la certezza che presto saranno soccorsi in mare dalle navi delle Ong. È questo che ha alimentato lo sbarco di decine di migliaia di persone, sia d'estate che d'inverno, e spesso anche in condizioni marittime proibitive. Non esistessero le Ong, non ci fosse la quasi certezza di essere salvati a poche miglia dalla costa africana, probabilmente molti immigrati non partirebbero. Ma essendoci decine di navi pronte a trasformarsi in traghetti per i profughi, facendoli arrivare tranquilli a destinazione, il flusso è destinato a proseguire.Dunque Salvini, una volta divenuto ministro, ha puntato a interrompere l'andirivieni delle Ong, per evitare che quelle navi pronte all'intervento diventassero uno spot per ulteriori arrivi di immigrati. Come abbiamo visto, la Sea Watch, una volta soccorsi i 47 naufraghi, avrebbe potuto riportarli nel primo porto vicino, cioè in Libia. Oppure avrebbe potuto sbarcarli in Tunisia, in uno dei villaggi turistici che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo o, ancora, avrebbe potuto lasciarli a Malta. Invece la nave dell'organizzazione tedesca ha puntato direttamente sull'Italia, perché quello fin dal principio era l'obiettivo: dei profughi e di chi li ha aiutati. La «salvezza» per i migranti non può essere il luogo da cui sono partiti e nemmeno la Tunisia. Hanno pagato per arrivare in Europa. E siccome né Malta, né la Germania e neppure l'Olanda li vogliono, la Ong li porta da noi.Un ministro che debba tutelare i confini e l'interesse nazionale a questo punto che cosa dovrebbe fare per contrastare l'immigrazione clandestina se non impedire lo sbarco? Come ha ricordato Salvini in una lettera al Corriere, lo stesso Consiglio europeo, nel giugno scorso, aveva sostenuto che «per smantellare definitivamente il modello di attività dei trafficanti e impedire in tal modo la tragica perdita di vite umane, è necessario eliminare ogni incentivo a intraprendere viaggi pericolosi». Tradotto, bisogna interrompere il circolo vizioso che fino a oggi ha fatto da contorno alle operazioni di salvataggio. Dunque, non si tratta di sequestro di persone, come ipotizzano i giudici del Tribunale dei ministri, ma di una scelta politica, che compete alla politica e non alla giustizia. La tutela dell'interesse pubblico è affidata al governo e proprio il governo si è schierato per la chiusura dei porti, con l'intenzione di fermare gli sbarchi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Meno sbarchi, meno morti. Se la politica rinunciasse a questo e delegasse alla giustizia la questione, sarebbe la fine dei confini di uno Stato, della sicurezza interna e anche dell'interesse nazionale.Ecco perché in gioco non c'è solo il governo pentastellato e leghista, ma molto di più. E perché è giusto respingere la richiesta dei giudici. Nessuno è stato sequestrato. Si è negato lo sbarco a chi voleva forzare la mano a un Paese.