2019-03-28
Il vertice a 8 sul futuro della Libia l’hanno fatto a Roma ma senza l’Italia
Il nostro Paese pare ormai fuori dai giochi internazionali e non è stato invitato all’incontro in ambasciata sulla Nomentana. Ne profitta la Francia che può contare sulla mancanza di una linea governativa condivisaDiplomazie al lavoro per organizzare la conferenza nazionale libica annunciata la scorsa settimana dall’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamé. Appuntamento dal 14 al 16 aprile a Ghadames, città berbera al confine con Algeria e Tunisia, un tempo meta del turismo locale, oggi in attesa della pacificazione del Paese per poter sfruttare il suo enorme bacino di idrocarburi. Dopo la Conferenza per la Libia organizzata a metà novembre a Palermo, l’Italia sembra ormai fuori dai giochi internazionali, a giudicare dall’incontro tenutosi lunedì presso l’ambasciata libica a Roma. L’ambasciatore del governo tripolino, Omar Abdelsalam Al Tarhuni, ha accolto nella sede diplomatica di via Nomentana, nella zona Nord della capitale, i rappresentanti in Italia di sette Paesi: Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania, Belgio, Repubblica Ceca e Malta. Assente, e non invitata secondo quanto spiegato alla Verità dai libici, l’Italia. Al vertice hanno partecipato, come spiegato al nostro giornale da un portavoce dell’ambasciata libica, James Donegan, consigliere per gli affari politici dell’ambasciata statunitense, Claire Anne Raulin, incaricata d’affari dell’ambasciata francese, il viceambasciatore britannico Ken O’Flaherty, gli ambasciatori Hana Hubàčkovà della Repubblica Ceca (la rappresentanza ceca non ha voluto confermare al nostro giornale l’agenda dell’ambasciatore), Frank Carruet del Belgio e Vanessa Frazier di Malta. Durante l’incontro si è parlato della crisi libica e dei preparativi per la multaqa al watani, la conferenza nazionale di metà aprile osteggiata dalla Fratellanza musulmana e che sarà al centro delle discussioni anche del Quartetto sulla Libia (Lega araba, Unione africana, Nazioni Unite e Unione europea) che si riunirà sabato prossimo, il 30 marzo, a Tunisi, a margine del summit della Lega araba. A Ghamades non saranno presenti Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, i quattro Paesi occidentali che oltre alla Russia, hanno i maggiori interessi petroliferi in Libia. A questa assenza è dovuta la convocazione della riunione di lunedì a Roma. Nel comunicato diffuso dal governo di Tripoli dopo il vertice si legge che i diplomatici presenti all’incontro hanno apprezzato gli sforzi del rappresentante libico a Roma e garantito il sostegno dei loro Paesi al Governo di accordo nazionale guidato da Fayez Al Serraj.Pesa, però, l’assenza di un rappresentante del nostro governo o della nostra diplomazia. Non è la prima volta di un vertice sul futuro della Libia organizzato a Roma. Il 28 febbraio scorso, infatti, il ministro dell’Interno di Tripoli, Fathi Bashagha, aveva incontrato assieme all’ambasciatore Al Tarhuni la vice di Salamé, Stephanie Williams. Presenti anche gli ambasciatori di Stati Uniti, Francia, Regno Unito ed Egitto oltre all’inviato degli Emirati Arabi Uniti. Al centro dell’incontro il contrasto al terrorismo, i flussi migratori e il processo per la pacificazione della Libia dopo la rivoluzione del 2011 e l’abbattimento del regime di Muammar Gheddafi. In quell’occasione l’Italia fu rappresentata dall’ambasciatore Sebastiano Cardi, direttore generale del ministero degli Esteri per gli affari politici e di sicurezza. Senza dubbio un funzionario di primo livello alla Farnesina. Ma, appunto, un funzionario, che non ha quella capacità di manovra politica propria di un ministro o di un sottosegretario.E mentre Bashaga era Roma, nella capitale emiratina Abu Dhabi il primo ministro libico Fayez Al Serraj e il maresciallo Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, raggiungevano un accordo per indire nuove elezioni. Il fatto che quell’incontro nel Golfo fosse stato caldeggiato non soltanto dalle Nazioni Unite (è stato l’inviato Onu Salamé a dar l’annuncio dell’intesa) ma soprattutto dall’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi, principale sponsor di Haftar con gli Emirati, e dalla Francia di Emmanuel Macron, sotto la regia della sua consigliera Marie Philippe, suona come una conferma che da dicembre ormai Parigi abbia oscurato Roma sul dossier libico.A pesare sull’esclusione dell’Italia da certi dossier è l’allontanamento percepito dagli Stati Uniti dopo l’intesa con la Cina. Ma soprattutto è la difficoltà per gli altri Paesi di parlare con il governo di Roma, dove ognuno ha la sua agenda (di «anarchia» parla alla Verità una fonte diplomatica) e non c’è, a differenza di quanto accade a Parigi, una linea condivisa: parte della politica si concentra sui flussi migratori senza distinguere tra Tripolitania e Cirenaica, un’altra parte guarda ad Haftar, il tutto mentre le grandi imprese italiane attive in Libia (tra queste Eni, Leonardo e Saipem) chiedono stabilità e il nostro nuovo ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, sta riposizionando la nostra diplomazia al fianco del governo di Al Serraj.C’è, infine, il tema della stabilità di Tripoli: i Paesi occidentali coltivano il dialogo con Al Serraj ma ne riconoscono la fragilità. Haftar sarebbe pronto ad annunciare una sala operativa e avrebbe già individuato il comandante ideale: il generale Abdessalam Al Hassi, reduce dalla positiva campagna nel Fezzan. Obiettivo: conquistare la capitale del governo di Al Serraj. E se davvero dovesse lanciare l’offensiva da settimane minacciata, e riuscirci, Haftar potrebbe consegnare all’asse che unisce Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Francia una buona fetta del Nord Africa. A cui si potrebbe aggiungere l’Algeria, sempre più instabile dopo le proteste contro il presidente Abdelaziz Bouteflika, scaricato ormai anche dall’esercito.