2020-10-02
Il Vaticano va allo scontro con Trump: «Nessun passo indietro su Pechino»
Mike Pompeo in Vaticano (Franco Origlia/Getty Images)
La Santa Sede gela il segretario di Stato Usa: resta la collaborazione col regime rosso per le nomine dei vescovi cattolici. Attacchi dalla comunità di Sant'Egidio al governo americano sulla pena di morte.L'incontro di ieri mattina tra il segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, e il cardinale Pietro Parolin è avvenuto, sottolinea la sala stampa vaticana, «in un clima di rispetto, disteso e cordiale». E ci mancherebbe altro, ma oltre andando l'atmosfera rarefatta tipica della diplomazia, anche il comunicato ufficiale deve dire che «le parti hanno presentato le rispettive posizioni riguardo i rapporti con la Repubblica popolare cinese».Cioè, tra Usa e Santa sede la distanza sulla questione dell'accordo con la Cina per la nomina dei vescovi resta enorme come lo stesso Parolin ha sintetizzato ieri nel tardo pomeriggio: «Con Pompeo colloquio cordiale, ma restano le posizioni distanti». Forse mai come in questo momento i rapporti tra il Vaticano e il governo statunitense appaiono lontani e freddi. La durezza con cui mercoledì monsignor Richard Gallagher, una sorta di ministro degli Esteri della Santa sede, ha commentato il punto di vista di Pompeo non lascia spazio ad interpretazioni. Per il Vaticano l'amministrazione Usa ha commesso un fallo con entrata a gamba tesa e merita il cartellino rosso: Trump strumentalizza il Papa, ha fatto capire Gallagher senza tanti giri di parole.Il segretario di Stato vaticano non ha buttato tanta acqua sul fuoco, segno che la rottura c'è. Da una parte il Papa vuole assolutamente ratificare ancora l'accordo con Pechino per la nomina dei vescovi, e molto probabilmente lo farà per altri due anni ad experimentum, e dall'altra c'è la difficoltà di trattare con l'amministrazione Trump che in fondo viene considerata «populista» e persino cospiratoria nei confronti del papato di Bergoglio. Una certa narrativa è diffusa nelle sacrestie e alimentata da articolesse erudite, il presidente Trump sarebbe un riferimento delle «destre» internazionali impegnate per abbattere la pastorale del Papa.Sul tavolo resta però la questione della libertà religiosa che, al di là delle intenzioni pastorali del Papa, rimane come problema in Cina, sebbene ieri il portavoce della ambasciata cinese a Roma si sia preoccupato di far sapere che «i cittadini cinesi, appartenenti a tutti i gruppi etnici, godono oggi di un senso di soddisfazione, felicità e sicurezza senza precedenti». Le notizie che filtrano però non sono così rassicuranti, restando ai fedeli cristiani e cattolici (si potrebbe parlare anche della tragedia degli uiguri) si accavallano le notizie di controlli, repressioni, riduzioni della libertà di culto e interpretazioni fantasiose della Bibbia, l'ultima è quella di un sussidiario per le scuole professionali in cui nell'episodio evangelico dell'adultera va a finire che anche Gesù si unisce ai lapidatori. Molti cattolici in Cina ritengono che l'ostpolitik vaticana che mira alla convivenza pacifica e all'unità della Chiesa sia in realtà un ostacolo alla conquista della libertà religiosa e alla missione.Pompeo ieri è andato anche all'Onu di Trastevere per dire che «il lavoro di Sant'Egidio è nobile perché arriva dove la politica non può arrivare e realizza quello che la politica non riesce a realizzare». Da parte sua però anche il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, una volta terminata la visita ci ha tenuto a precisare che «non abbiamo parlato di Cina». Si è parlato invece di Siria e Africa, in particolare della situazione in Sud Sudan, di Cina no, anche perché Sant'Egidio è uno dei principali costruttori dell'accordo che Pompeo considera deleterio per «l'autorità morale del Vaticano». Peraltro, i dirigenti della Comunità di Sant'Egidio hanno anche mandato un altro segnale all'amministrazione Usa sul tema pena di morte, altro tema sensibile per cui papa Francesco ha modificato perfino il catechismo e hanno chiesto a Pompeo di portare al presidente «la richiesta di perdono per quattro condannati a morte in un carcere federale dell'Indiana».La guerra fredda tra Washington e la Santa sede è aperta, dalla Cina arriva il fuoco di copertura. «Negli ultimi anni, con gli sforzi congiunti di entrambe le parti, le relazioni tra Cina e Vaticano hanno continuato a migliorare. L'accordo preliminare sulla nomina dei vescovi è un risultato importante», si legge in una nota dell'ufficio del portavoce del ministero degli Esteri di Pechino.Sullo scacchiere alcune impensate quinte colonne che si incrociano da una parte all'altra del campo. Ad esempio i titolisti di Avvenire e quelli del Manifesto forse ieri si sono consultati su come aprire le prime pagine dei loro giornali, perché il quotidiano cattolico e quello comunista hanno fatto riferimento agli Stati Uniti che furono e che non sono più. Quasi in stereofonia. Il risultato è un ircocervo catto-comunista che va dal «Non si Usa più» del quotidiano dei vescovi, che sottolineano il niet incassato dal segretario di Stato Mike Pompeo dal governo giallorosso (visto solo da loro) e dal Vaticano, a un più romantico «Erano Stati Uniti» del quotidiano comunista che mette insieme il duello Trump-Biden e l'alt ricevuto da Pompeo di là dal Tevere.In sottofondo si aggiunge al concerto la dichiarazione del portavoce dell'ambasciata cinese a Roma. «Ci auguriamo che il gracchiante signor Pompeo metta fine al suo show il prima possibile», a cui manca solo un finale in stile «yankee go home» e così gli Stati Uniti che furono sono sistemati.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)