2025-06-07
Il tranello Ue per incastrarci con il riarmo
Se l’Europa insiste per farci spendere nella Difesa, non è solo per via dello spauracchio russo e dei dikat di America e Nato: gravare un bilancio ora virtuoso ci renderebbe più controllabili. E obbligherebbe il governo a mosse impopolari a ridosso delle future elezioni.Se nella corsa al riarmo si nascondesse un euro-tranello per Giorgia Meloni? Se la scalata per costruire una Difesa comune servisse anche a spingere il governo verso imprese finanziarie ardite, i cui effetti, oltre a rendere l’Italia più vulnerabile sui mercati e quindi manovrabile da Bruxelles, verrebbero scontati dal centrodestra nella campagna elettorale del 2027?Proviamo a unire i puntini. La Commissione europea ha rilevato che i nostri conti sono così in ordine da averci permesso di accumulare un tesoretto da 4-4,2 miliardi di euro, ma pure che la percentuale del nostro Pil dedicata alla Difesa è rimasta troppo bassa (1,3% negli anni 2024 e 2025). Di qui, l’invito a investire maggiormente nel settore militare. L’altro ieri, sulla Stampa, il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis, già portabandiera del rigorismo, ha suggerito sottilmente a Roma di chiedere l’attivazione della clausola di emergenza. Si tratta di una deroga al Patto di stabilità, che consentirebbe agli Stati una spesa supplementare annua nella Difesa, per quattro anni, pari all’1,5% del Pil. Se l’Italia rinunciasse al margine di flessibilità concesso dall’Unione, ha avvisato Dombrovskis, sarà costretta a compiere «scelte politiche più difficili». Tagli al welfare? Resta infine l’ipotesi di dirottare sulle armi una parte del Pnrr.Giovedì, a margine del vertice dell’Alleanza atlantica, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ribadito che non è stata presa ancora nessuna decisione sul ricorso alla clausola europea. Intanto, il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, ha rispolverato un’ingegnosa soluzione per andare incontro ai desiderata americani sulla destinazione del 5% del Pil alla Difesa: almeno nell’1,5% di spese collaterali a quelle per acquistare materiali bellici, che varrebbero il restante 3,5%, si potrebbero far rientrare investimenti connessi alla sicurezza nazionale, tipo le infrastrutture strategiche. L’atteggiamento dei membri dell’esecutivo - Crosetto, d’accordo con Londra, vorrebbe ottenere tre anni in più per raggiungere i nuovi e più onerosi target Nato - conferma la prudenza con cui si muove il Paese, sotto la regia del capo del Mef, Giancarlo Giorgetti.Ieri, il Corriere della Sera, citando proprio fonti di governo, è andato oltre: l’Italia, ha scritto Francesco Verderami, non solo non sta cercando deroghe al Patto di stabilità, ma non sarebbe nemmeno intenzionata ad attingere a una quota dei 150 miliardi del Safe, il meccanismo di finanziamento approntato dalla Commissione per il riarmo. Tra i motivi di tale riluttanza, con il quotidiano di via Solferino, i funzionari menzionavano proprio il timore di aggravi sul debito pubblico, che obbligherebbero la maggioranza a manovre «lacrime e sangue a ridosso delle elezioni».Non è assurdo pensare che, tra Palazzo Chigi e via XX settembre, stia maturando un sospetto: che le pressioni affinché si allentino i cordoni della borsa, oltre che con la geopolitica, abbiano a che fare con le chance del governo di puntare a un secondo mandato.La Meloni è un’azionista di peso della Commissione di Ursula von der Leyen. Ma il pallino dell’Europa è sempre stato quello di stringerci cappi al collo. Inoltre, non è un mistero che varie cancellerie del Vecchio continente gradiscano il piano, di cui già si scorgono i contorni, per arrivare al voto anticipato, creare un’ammucchiata di centro e scippare alla destra il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. E se la stabilità dei parametri di bilancio è, oggi, un punto di forza del premier, sconvolgerle il pallottoliere, con la benedizione se non la partecipazione attiva dell’Ue, le complicherebbe la vita. Allora sì che il suo governo si troverebbe a dover compiere le «scelte dolorose» evocate da Dombrovskis: una riedizione dell’austerità in sala marziale, sorvegliata dall’Unione. E come la prenderebbero gli elettori, se un eventuale tesoretto fosse utilizzato per comprare armamenti, anziché - seguiamo il suggerimento dato sulla Stampa dall’ad di Intesa, Carlo Messina - per giovani e lavoro? Dopo tutto, sarebbe molto più facile gestire risorse proprie che ricorrere all’extra deficit - dal quale, al termine del quadriennio, si dovrebbe rientrare - oppure a prestiti ancorati a condizionalità più o meno stringenti. Certo, gli impegni internazionali non si possono snobbare. In primis, quelli verso gli Usa. Ma si sta presentando pure l’occasione, ghiotta per i campioni nazionali della Difesa, di ricostituire i rapporti con la Francia. Emmanuel Macron ha riallacciato il dialogo con la Meloni anche perché a Parigi serve una sponda per bilanciare la grandeur tedesca. La Germania sta seguendo a ruota il Regno Unito nei mega investimenti bellici, mentre né i transalpini né gli italiani, da soli, hanno la forza per stare al passo. Riaprire la collaborazione, magari risolvendo la grana Stm quale gesto di distensione, potrebbe diventare reciprocamente vantaggioso.Sono equilibri sottili. In ogni opportunità si cela anche un’insidia. Bisogna guardarsi dai nemici. E forse ancor di più dagli amici.
Emmanuel Macron e Pedro Sánchez (Getty Images)
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
Paolo Mazzoleni e Stefano Lo Russo (Ansa)