2022-02-17
Il tesoretto del «povero» Armanna
Conti correnti in giro per il mondo, un fondo da 100 milioni e ville di lusso in Sardegna e a Roma: ma il teste (inattendibile) del processo Eni continua a dirsi «nullatenente».Conti in Germania, Repubblica Ceca, Emirati Arabi Uniti e Londra, dove in totale sarebbero stati depositati negli ultimi anni quasi 108 milioni di euro. È il tesoro di Vincenzo Armanna, l’imputato/accusatore nel processo Opl 245 dove sono coinvolte Eni e Shell. Nel filone principale in primo grado sono stati tutti assolti perché il fatto non sussiste. E Armanna è tutt’ora un teste chiave in vista del secondo grado, dal momento che il pm Fabio De Pasquale continua a ritenerlo attendibile. Nei giorni scorsi, a Milano, è stata aggiornata al 4 aprile l’udienza davanti al gup Carlo Ottone De Marchi nel procedimento dove Piero Amara e Armanna sono accusati di calunnia nei confronti dell’avvocato Luca Santamaria. Il legale Massimiliano Fioravanti sostiene che il suo assistito sia nullatenente e senza conti all’estero, ma da un ricorso depositato a gennaio nel tribunale di Roma emerge una realtà ben diversa. Il 24 gennaio, infatti, Eni ha depositato a Roma un reclamo contro lo stesso Armanna e in particolare contro l’ordinanza del giudice Lilla De Nuccio che ha respinto il ricorso per sequestro preventivo che il colosso petrolifero aveva promosso il 26 ottobre. Per il Cane a sei zampe, infatti, Armanna ha «ideato e realizzato un disegno criminoso» per gettare discredito su Eni e i suoi vertici, un piano confessato nel video dell’incontro del 28 luglio 2014 (quando annunciò di volersi adoperare per fare arrivare sui vertici della compagnia petrolifera «una valanga di merda ed avvisi di garanzia»). Per questo motivo i legali di Eni chiedono danni patrimoniali e non patrimoniali per almeno 50 milioni di euro. A gennaio il Tribunale della Capitale, però, ha ritenuto non sussistente «il nesso di casualità tra le dichiarazioni di Armanna e i danni lamentati da Eni». In pratica, secondo il giudice De Nuccio, il danno subito non sarebbe riconducibile all’ex dirigente, ma alla pubblica accusa, cioè a Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro che hanno ritenuto attendibili quelle dichiarazioni. Ma Eni non ci sta. E in 40 pagine torna a sottolineare il disegno criminoso di Armanna, avallato dalle sentenze di assoluzione - sia nel filone principale sia nell’abbreviato - sulla licenza petrolifera Opl 245. Ma soprattutto l’azienda petrolifera smentisce che Armanna sia nullatenente come vorrebbe far credere.Dalle indagini della Guardia di finanza di Milano è emerso che Armanna vanta depositi in diverse banche estere a cui si aggiunge una lunga lista di società, da cui, negli ultimi anni, sarebbero transitati ben 8 milioni di euro arrivati dalla Nigeria. Non solo. Avrebbe la disponibilità di 100 milioni di euro su un conto estero, presso la Hsbc Bank Plc. Armanna avrebbe anche conti in Germania, presso la N26 bank di Berlino, dove si trova anche un rapporto intestato alla moglie, e presso la Deutche Bank di Postdam. Ulteriori conti si troverebbe nel Regno Unito, alla Revolut di Londra, e in Repubblica Ceca, all’Unicredit Bank Czech di Praga. Non è finita qui. Negli Emirati Arabi risultano altri tre conti accesi presso la First Gulf bank e la National bank di Abu Dhabi. Dalla documentazione in mano agli inquirenti, risulta che Armanna avrebbe speso centinaia di migliaia di euro nel noleggio di yacht di lusso tra il 2015 e il 2018. Infine risulta titolare di società come la Sestante consulting & trade, Sestante Yacht, Dodici Srl, International charter, Marconi industrial service. Nel marzo del 2018 Armanna ha stipulato un contratto di servizi con la Sestante con cui si impegnava a fornire all’azienda la somma di 104 milioni di euro per l’acquisto di ville a Porto Rotondo, Olbia e Roma, di alcune barche e di ben 5 polizze assicurative. La somma, come risulta dalle indagini, è stata effettivamente versata da Armanna in due tranche, da 40 e 60 milioni di euro.Insomma, checché ne dica il suo avvocato, l’ex manager accusato di calunnia sarebbe tutt’altro che uno spiantato.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)