2019-10-31
Il suo film è un manifesto anti gender ma il regista dem non se n’è accorto
In arrivo nelle sale italiane «Light of my life», di e con Casey Affleck, cineasta femminista e pro Me too. La pellicola, tuttavia, è un toccante elogio della figura del padre e del valore della diversità sessuale.C'è un film in uscita il 21 novembre nei cinema italiani che promette di diventare una sorta di manifesto anti gender, un'ode alla paternità e alla differenza sessuale: si tratta di Light of my life, di e con Casey Affleck, presentato a febbraio al Festival internazionale del cinema di Berlino. Una sorta di disaster movie che non mostra il disastro, ma vi allude solo, un thriller che fa a meno di ogni escamotage a buon mercato, piuttosto una pellicola indipendente sobria, delicata, ben girata e ben interpretata. Light of my life descrive un mondo post apocalittico in cui un misterioso virus ha pressoché sterminato la popolazione femminile mondiale. Solo pochissime donne sono sopravvissute. Tra queste c'è Rag (Anna Pniowsky), bambina undicenne che vaga per un desolato e incattivito Nordamerica insieme al padre, per tutto il film chiamato semplicemente «dad», papà. Rag è una bambina, ma nessuno lo sa: il padre, infatti, le impone di vestirsi da ragazzino e, in presenza di altri superstiti, di farsi chiamare Alex. La scomparsa delle donne ha infatti trasformato il mondo in un posto di belve feroci, dove un volto dal tratto gentile, anche se di undicenne, può essere in grado di scatenare ambigui e indicibili istinti nella mascolinità naufragata e impazzita.Che un film di questo tipo arrivi da Casey Affleck, fratello del più famoso Ben e cognato del celebratissimo Joaquim «Joker» Phoenix, può sorprendere, se ci si ricorda il suo arruolamento in varie battaglie politicamente corrette, da quella propriamente elettorale per Hillary Clinton presidente («Donald Trump è un folle pericoloso», disse) a quella per il veganesimo. Nell'intervista uscita sul numero di Panorama in edicola, Affleck ha raccontato con orgoglio di come la madre non gli facesse vedere da bambino il telefilm Hazzard perché «sessista» e si è lanciato anche in lodi sperticate del movimento del Me too. Affermazione curiosa, per uno che di quel meccanismo è stato vittima: nel 2010, infatti, la produttrice Amanda White, gli fece causa per 2 milioni di dollari con le accuse di molestie sessuali, «avance sessuali non richieste e sgradite» sul luogo di lavoro. La regista Magdalena Gorka, a sua volta, citò in giudizio Affleck per 2,25 milioni di dollari per «inflizione intenzionale di sofferenza emotiva». Affleck, insomma, ha avuto a che fare in prima persona con la complicazione ideologica che ingarbuglia oggi i rapporti tra uomini e donne in Occidente. Consciamente o inconsciamente (vedendo certe sue dichiarazioni propendiamo per la seconda ipotesi), è forse a partire da qui che oggi ci presenta un film ideologicamente sorprendente sotto almeno tre profili.Il primo aspetto saliente è la desertificazione della diversità sessuale. L'eliminazione fisica delle donne ha un costo sociale e culturale che va oltre il semplice lutto per le persone scomparse. Se viene meno la donna, cessa di avere senso anche l'uomo. In uno dei loro dialoghi notturni, Rag chiede al padre quando il mondo tornerà a posto. «Quando si sarà equilibrato», risponde il padre. «E quando si sarà equilibrato?», chiede lei. Risposta: «Quando ci saranno più donne». Rag chiede allora perché gli uomini, da soli, non abbiano saputo mettere a posto il mondo. «Perché erano tutti spaventati, tristi e soli», replica il padre.Ecco, senza la diversità sessuale, il mondo non è «equilibrato». E non solo perché viene meno la possibilità dell'attività sessuale (l'esplosione della tensione sessuale è presente in filigrana in tutto Light of my life, anche se mai pronunciata esplicitamente), ma perché salta un parametro esistenziale. Se il neutro fosse quella dimensione entusiasmante che ci racconta oggi il pensiero dominante, se fosse vero che in fin dei conti siamo tutti generiche «persone» prima di essere uomini o donne, non si capirebbe la difficoltà culturale di affrontare un mondo in cui venga meno uno dei due sessi, procreazione a parte. Ma neutri, noi, non lo siamo mai, anche quando ci illudiamo di esserlo per allucinazione ideologica. Luce Irigaray ha spiegato che «la vita è sempre sessuata, la morte invece non manifesta più̀ tale differenza». Dimenticando questo limite, la società̀ neutra «è capace di tutti gli olocausti». Rag, del resto, vive la sua condizione di androginia, di fluidità di genere, con crescente insofferenza. In totale controtendenza rispetto alla propaganda imperante, qui l'identità è il bene tanto agognato, la confusione dei generi è il male da cui liberarsi. L'idea dello sterminio delle donne è peraltro un espediente narrativo che fu già utilizzato in un curioso romanzo, uscito nel 1936 e intitolato Il mondo senza donne. L'autore era Virgilio Martini, uno dei pionieri della fantascienza italiana. Nel libro, la popolazione femminile del mondo viene sterminata da un microbo creato in laboratorio da un gruppo di scienziati omosessuali, odiatori delle donne. Il librò attirò l'attenzione di un un intellettuale originale come Jean Baudrillard, che ne colse la stupefacente attualità: «L'idea chiave è quella di uno sterminio della femminilità - allegoria terrificante dello sterminio di ogni alterità, di cui il femminile è la metafora, e forse qualcosa di più».Il secondo aspetto interessante di Light of my life è il suo potentissimo elogio della figura paterna. «Dad» ha come unico scopo nella sua vita quello di proteggere sua figlia in un mondo ostile. Per far questo, ha sviluppato un'attenzione maniacale, una concentrazione estrema, che trasmette a Rag: in ogni luogo in cui i due si accampano, viene studiato preliminarmente un piano di fuga. Nessun comportamento può essere lasciato al caso. «Dad» è sempre gentile, ma fermo. Sa dialogare, ma impone comunque la sua autorità. Vorrebbe essere un padre amico, ma sa che le circostanze non lo permettono: deve trasformarsi, anche se forse non lo vorrebbe, in padre archetipico, in pater. Dato che non esiste più legge, deve essere lui la legge. Nei flashback lo vediamo piangere al capezzale della moglie morente, gridando che non ce la farà a crescere la bambina senza di lei. Eppure, nel presente del film, lo troviamo indurito, sicuro di sé, forte. È la forza che occorre in un contesto in cui sono crollati i confini tra bene e male, tra mio e tuo, tra straniero e cittadino, tra legale e illegale ma in cui, curiosamente, tutto ciò non ha dato luogo al paradiso sognato dai no border, bensì a un inferno in cui dietro l'altro può celarsi sempre un nemico. È solo il confine che rende l'altro una potenziale fonte di arricchimento, non la sua negazione. Ma non mancano, nel film, anche momenti relativamente più rilassati, in cui Affleck sembra quasi il Dustin Hoffman padre separato di Kramer contro Kramer. Il protagonista si fa carico anche del ruolo della madre, uccisa dal virus, non senza qualche goffaggine, anche perché la ragazzina è in fase prepuberale. Emerge, pian piano, il classico tema del genitore iperprotettivo che non vuole lasciare andare la propria figlia nel mondo, se non ché, nel contesto del film, l'iperprotezione appare piuttosto giustificata. C'è comunque una scena clou in cui il padre tiene per le braccia da una finestra la ragazzina, la quale gli urla di farla cadere, che lei ce la può fare. Lui non si fida, ma alla fine le dà credito. Lei non solo si salva, ma tornerà poco dopo per salvare lui, in un ribaltamento dei ruoli tra protettore e protetto. Il complesso di Elettra è stato superato, sì, ma solo sotto al segno del coraggio, della difesa di ciò che è caro, nel combattimento contro il male.Il personaggio interpretato da Affleck - e questo è il terzo aspetto da segnalare - non è solo un padre, è anche un uomo. Un maschio che vive in un mondo di maschi impazziti. Per descrivere il clima venutosi a creare dopo l'epidemia, le neofemministe parlerebbero di «mascolinità tossica», cioè violenta, predatoria, egoista. La cosa significativa, tuttavia, è che la risposta non è «empatia, diplomazia, pazienza», secondo il bignami della rieducazione maschile recentemente proposto da Lilli Gruber, ma una virilità sana. È anche il senso dell'apologo iniziale che il padre racconta alla figlia, la storia di una coppia di volpi. All'inizio, spiega il padre, le volpi gareggiavano fra loro per chi avesse più muscoli e il pelo più liscio. Ma, dopo una serie di avventure, capirono che le vere cose importanti erano intelligenza e coraggio. Non il dialogo, non la dolcezza, ma con il caro, vecchio, tradizionale coraggio. Altro che Me too.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
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