2019-04-14
Il sistema scoperto da un medico ribelle. Per gli indagati pd «merita bastonate»
Le assunzioni pilotate denunciate da una pediatra sospesa dopo aver rifiutato di coprirle. I pm: «C'era un muro di omertà».Hanno influenzato sistematicamente l'esito dei concorsi pubblici in un settore in cui la politica proprio non dovrebbe entrare. E invece per almeno 11 bandi, per una trentina di posti all'ospedale di Perugia da primari, medici, infermieri e ausiliari, fino ad arrivare alle categorie protette, gli uomini del Partito democratico umbro avevano mosso i propri tentacoli per garantire le filiere. Chi non si piegava finiva sotto la clava dei provvedimenti disciplinari. E per accontentare anche chi non riusciva a entrare, c'era chi lavorava per evitare che le questioni finissero sui giornali o in Procura, creando così il «clima d'omertà» ben descritto dall'inchiesta. Era un sistema oliato quello messo su nella regione che non ha mai visto il centrodestra al governo. Ma, come in Basilicata, dove c'era una situazione politica simile, la giunta del Pd è scivolata sulla Sanità. Nonostante le attività di controspionaggio che gli indagati avevano attivato per farla franca. E, così, l'assessore regionale alla Sanità Luca Barberini, il segretario regionale del Pd, ora commissariato da Nicola Zingaretti, Gianpiero Bocci (ex sottosegretario all'Interno con Letta, Renzi e Gentiloni), il direttore generale dell'Azienda ospedaliera Emilio Duca e quello amministrativo Maurizio Valorosi, sono finiti ai domiciliari. La presidente della Regione Catiuscia Marini, anche lei del Pd, è invece indagata a piede libero. Ora respinge le accuse e definisce la situazione «grave se confermata», ma a leggere gli atti della Procura era ingorda di posti di lavoro per i suoi accoliti. Come gli altri indagati finiti nei guai. Erano tutti a caccia delle domande dei test da poter fornire in anticipo ai candidati che sponsorizzavano a discapito di quelli bravi che, per colpa della «spartizione» dem, restavano al palo. E anche se il gip esclude l'esistenza di un'associazione a delinquere (cosa che, invece, ipotizza il pm), ritiene in modo fermo che il Pd abbia messo su «un meccanismo clientelare diffusissimo di cui gli stessi indagati sembrano essere in qualche misura dei semplici ingranaggi». Erano legati l'uno all'altro non da un vincolo associativo, ma da un comune interesse: far ingrassare la loro corrente. E chi non si piegava? Subiva ritorsioni. Come è capitato alla dottoressa Susanna Maria Esposito. Era responsabile della clinica pediatrica in cui i vertici della Sanità umbra mantenevano un genetista pagato senza far nulla. Lei si rifiutò di partecipare al gioco producendo falsi giudizi positivi e, con un pretesto, le furono dati quattro mesi di sospensione «per bastonarla». Ma la risposta della dottoressa ribelle è stata più feroce: è andata in Procura e ha fornito un contributo sostanziale all'inchiesta. Le sue dichiarazioni si sono incrociate subito con le denunce di Davide Andrea Zicchieri, presidente di una Onlus che si occupa dei diritti dei malati, da cui è partito tutto. Da tempo aveva sbattuto in faccia agli umbri la girandola di assunzioni sospette negli ospedali: «Assumono personale praticamente inutile», disse in una intervista, spiegando anche i ruoli dei medici che, secondo lui, non servivano a nulla. E anche la Lega, dai banchi dell'opposizione, è andata spesso giù dura sugli intrallazzi sanitari. La Procura ha quindi drizzato le antenne. Ed è entrata nei meccanismi di potere che regolavano la Sanità. Finché da Roma non è arrivata una soffiata che, per le modalità, ricorda molto la famosa fuga di notizie dell'inchiesta Consip, e una società di sicurezza è stata mandata a cercare le microspie. Per questo episodio i magistrati ipotizzano il reato di peculato, perché la bonifica è stata pagata con i soldi dell'Asl. Aldo Modena, titolare della ditta che stanò le microspie nell'ufficio del direttore generale Emilio Duca, ha spiegato che gli apparati per le intercettazioni non furono toccati. In quel periodo avevano tutti una paura mostruosa dell'indagine. E per decidere che era necessario l'intervento di un tecnico si mossero in tre. A guidare la trimurti c'era proprio Duca, «in accordo», sostiene l'accusa, «con il direttore amministrativo e quello sanitario». L'onorario ammontava a 1.342 euro e si decise che a pagare doveva essere pantalone. La scusa ufficiale? Sospettava, Duca, di essere vittima di spionaggio privato. Ma sapeva benissimo che nel suo ufficio era entrato il grande orecchio dei magistrati. E, forse, in quella occasione si è ricordato pure di aver parlato a sbafo in più di una occasione. Infatti, sono sue queste parole finite in una intercettazione: «Ah, anche Bocci è a Roma (…) domani pomeriggio gli porto le domande». E le domande erano le prove d'esame dove, per garantire la vittoria ai segnalati dal Pd, erano stati pure piazzati dei commissari con un sorteggio tarocco. Il degrado, però, è arrivato fino alla camera da letto. Nelle carte c'è un capitolo hot che riguarda uno degli indagati che ha avuto una relazione con una candidata. Le intercettazioni svelano che le ha dato dei suggerimenti. E anche se il pm ritiene che ci sia un accordo corruttivo «fondato su uno scambio tra le prestazioni sessuali e la nomina», il gip, evidenzia che il legame «era ben precedente». E quindi, al più, si può parlare di clientelismo. La prova orale superata, insomma, rientra nell'esercizio del potere di chi si sentiva padrone della Sanità. Il ministro alla Salute Giulia Grillo ha convocato l'unità di crisi e ha sentenziato: «Cacceremo le mele marce». Ma Zingaretti prova a metterci una pezza: «Il potere si deve gestire per servire e non deve essere messo al servizio di chi lo gestisce. Non deve essere la magistratura a definire questo limite, ma soprattutto una politica rinnovata che bonifica questa distinzione nella selezione della classe politica». L'unica bonifica che si è vista finora, però, è stata quella negli uffici dell'Asl umbra.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)