
Presunte tangenti nigeriane, l'avvocato di Vincenzo Armanna: «È solo un pesce piccolo».A luglio il pm Fabio De Pasquale, che ha portato Eni alla sbarra per corruzione internazionale, aveva definito più volte credibile Vincenzo Armanna, imputato e accusatore delle presunte tangenti intorno al giacimento nigeriano Opl 245. Ora invece è lo stesso avvocato di Armanna, Angelo Staniscia, a definire il suo assistito un «sicofante», che nell'antica Grecia era colui che sosteneva accuse false. Nell'ultima udienza del processo Eni Shell succede anche questo. Che l'avvocato che difende l'ex manager dell'Eni, responsabile dell'Africa subsahariana, smentisca gran parte dell'impianto dell'accusa. È almeno la seconda volta che la versione di Armanna viene smentita da un suo avvocato. Era successo anche con il precedente legale Fabrizio Siggia che, prima di lasciare l'incarico aveva consegnato una lettera al presidente della Corte Fabio Tremolada, aveva detto che il cliente aveva detto il falso e lo aveva anche diffamato. Per di più durante l'udienza di ieri, l'attuale avvocato Staniscia ha raccontato di non riuscire più a mettersi in contatto con Armanna da febbraio. Il punto è che sulle parole dell'ex manager Eni si basano gran parte delle accuse all'amministratore delegato Claudio Descalzi e all'ex numero uno Paolo Scaroni. Nel luglio del 2019 proprio Armanna aveva spiegato che «i vertici societari, compresi l'ex ad Paolo Scaroni e l'attuale ad Claudio Descalzi, sapevano benissimo che il miliardo e 92 milioni di dollari che l'Eni aveva girato su un conto londinese del governo nigeriano erano destinati in ultima istanza alla Malabu dell'ex ministro del Petrolio Dan Etete». Peccato che anche questa considerazione sia stata smentita proprio da Staniscia che ha spiegato ieri in udienza che non ci sono prove di retrocessioni di soldi ai vertici di Eni o a funzionari del governo nigeriano. Anche su questo punto, cioè il presunto giro di tangenti, è la seconda volta che Armanna viene smentito. È già accaduto a gennaio, quando dopo una trafila lunghissima di udienze fu individuato il vero super poliziotto che avrebbe visto le valigette con 50 milioni di dollari a casa di Roberto Casula, altro manager Eni imputato nel processo. All'epoca Isaac Eke smentì sia Armanna, che aveva visto solo un paio di volte, sia il giro di tangenti. Eke ora è indagato per falsa testimonianza . Eppure tra le parole di Staniscia e quelle di Eke c'è un punto di convergenza, che Armanna non fosse così fondamentale per il cane a sei zampe. «Era solo un sangiacco», ha spiegato Staniscia, ovvero un pesce piccolo. Staniscia non ha fatto nemmeno un cenno al complotto di Piero Amara per proteggere Descalzi. Per di più nel giorno in cui l'impianto accusatorio subisce un nuovo contraccolpo, arrivano notizie sempre più preoccupanti dalla Nigeria sulla richiesta di danni delle parti civili. Due settimane fa, infatti, l'avvocato Lucio Lucia che rappresenta il governo nigeriano aveva chiesto i danni a Eni e Shell per 1 miliardo di dollari. Intorno agli studi legali scelti da Abuja per il risarcimento si è scatenato negli ultimi mesi un vero e proprio caso. Come già anticipato dalla Verità, infatti, ad anticipare le spese legali è una società, la Drumcliff, tramite la Poplar Falls con sede nel Delaware, un paradiso fiscale. Se Eni e Shell venissero condannate almeno il 35% della cifra sparirebbe dalle casse della Nigeria per finire sui conti della Johnson & Johnson, studio legale che ha perso cause a Londra e negli Stati Uniti. Di solito per le percentuali per questo tipo si servizi arrivano a un massimo del 10%, anche se di norma è il 5. Proprio su questo le Ong anti corruzione stanno chiedendo conto al ministro di grazie e giustizia nigeriano che continua a non voler rispondere.
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