2022-05-11
Il presidenzialismo fa paura a 5 stelle e dem
Enrico Letta (Imagoeconomica)
Il voto giallorosso sugli emendamenti soppressivi affossa la proposta di legge costituzionale sull’elezione diretta alla francese del capo dello Stato fortemente voluta da Fratelli d’Italia. Si ricompatta il centrodestra, che però deve recriminare sulle assenze.«E anche questa legislatura, le riforme le facciamo la prossima legislatura». Mastica amaro, in Transatlantico, un deputato meloniano, poco dopo aver visto mestamente affossare la proposta di legge costituzionale del suo partito per l’introduzione nel nostro Paese del semipresidenzialismo alla francese. Una proposta, nelle intenzioni della prima firmataria Giorgia Meloni, che avrebbe dovuto fungere come una sorta di testo base aperto ai contributi e alle modifiche di tutti le forze politiche. Tanto che, poco prima cha si aprisse la seduta che aveva all’ordine del giorno gli emendamenti soppressivi della legge presentati dai giallorossi, la leader di Fdi aveva convocato un punto stampa davanti l’ingresso di Montecitorio per ribadire la propria apertura a tutti i contributi e per denunciare, in caso di affossamento, l’attitudine di Pd e M5s a privilegiare un sistema paludoso e fisiologicamente favorevole ai giochi di Palazzo, in cui la classe politica risulta allo stesso tempo sempre più delegittimata e deresponsabilizzata. Facile profeta, la Meloni, visto che i numeri della Camera hanno punito i fautori del sistema presidenziale: gli emendamenti soppressivi della proposta di legge sono stati infatti approvati - in una confusione generale con risvolti anche comici, dovuti al fatto che la gran parte dei deputati non sapeva in realtà se stesse votando pro o contro il presidenzialismo e chiedeva ripetutamente lumi ai rispettivi capigruppo o al presidente di turno Ettore Rosato - grazie ai voti favorevoli di Pd, M5s e Leu, e all’astensione di Italia viva, che pur ribadendo col suo leader Matteo Renzi a ogni piè sospinto la necessità di un sistema alla francese, non se l’è sentita, in commissione come in aula, di avallare la proposta di Fdi. Nel suo intervento, l’esponente renziano Marco Di Maio ha riconosciuto «il merito di questa proposta di legge di aprire una discussione sulla possibilità di una riforma della nostra forma di governo» ma ha aggiunto che «non ci sono i tempi per approvarla a undici mesi dalla fine della legislatura. I voti a favore degli emendamenti soppressivi (per i quali l’esponente del governo si era rimesso all’aula) sono stati prima 236 e poi 237, 204 i contrari e 19 gli astenuti (tra cui gli esponenti di Coraggio Italia Fabiola Bologna e Marco Rizzone in difformità dalle indicazioni del gruppo), decretando di fatto l’affossamento della proposta. Per i dem, che hanno parlato per bocca di Stefano Ceccanti, «proporci a dieci mesi dalla fine della legislatura un testo di questo tipo significa fare propaganda».Sul fronte centrodestra, un dato politico che poteva rivelarsi positivo, soprattutto nell’attuale fase costellata da polemiche e rivalità esasperate, ma che non mancherà di generare delle polemiche sottotraccia, è giunto dal quadro delle presenze in aula. Se è vero, infatti, che formalmente si è avuta, almeno su questo tema, una formale e ritrovata unità che la stessa Meloni ha poi voluto rivendicare come positiva, è anche vero che se si scorrono i tabulati del voto si può notare un certo numero di assenti sia tra le fila delle Lega che tra quelle di Forza Italia. Al netto di quelli registrati in missione (e quindi assenti giustificati) sono risultati assenti nel centrodestra 26 deputati della Lega, 16 di Forza Italia, 4 di Coraggio Italia e 2 di Fdi. Sull’altro fronte, gli assenti ingiustificati del Pd sono stati otto e 18 quelli del M5s, per un distacco che non è andato mai sopra i 34 voti e che quindi non è esente da qualche rimpianto. Le parole pronunciate dal leader leghista Matteo Salvini qualche ora prima del banco di prova parlamentare avevano dato la misura del momento particolare che sta attraversando la coalizione, tra tossine accumulate e slanci di dialogo: «Noi non abbiamo bisogno di essere chiamati a prove di lealtà», aveva affermato Salvini, «il presidenzialismo lo abbiamo sempre votato», per poi aggiungere però che «in diversi comuni, purtroppo, da Parma a Viterbo, da Catanzaro a Jesolo, Fratelli d’Italia ha scelto la corsa solitaria contro il centrodestra. Noi ci teniamo alla coalizione», ha concluso, «spero che ci tengano tutti alla coalizione perché qualcuno ogni tanto mi dà un’impressione diversa…». In piazza al fianco dei suoi deputati, Giorgia Meloni ha preferito non replicare su questo punto, preferendo mettere in evidenza che «sulle grandi questioni ci si ritrova sempre compatti». Presagendo l’esito della votazione, la Meloni aveva anche tenuto a precisare che «comunque andrà si sappia che Fratelli d’Italia continuerà questa battaglia, per cui se la proposta non dovesse passare, alle prossime elezioni politiche chiederemo agli italiani un voto anche per questo». Non sono infine mancate le scintille, dopo l’esito del voto: a Fabio Rampelli che accusava Pd e M5s di essere «golpisti bianchi» ha replicato Emanuele Fiano che gli ha consigliato di «riflettere sulle assenze di Fi e Lega».
Il deputato M5s Leonardo Donno, a destra, aggredisce Paolo Barelli di Forza Italia alla Camera dei Deputati (Ansa)
Alberto Nagel (Getty Images)
Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)