2022-07-01
Il premier va al Colle e aggira il caso Grillo. «Aspetto i riscontri»
Mario Draghi al museo del Prado di Madrid (Ansa)
Draghi smorza i rischi sul governo. Sui presunti attacchi a Conte: «Tirate fuori gli sms a Beppe». Il populismo «non va combattuto». «Il governo non rischia». Prima lo ha detto al presidente della Repubblica, poi lo ha ripetuto in conferenza stampa (più come una speranza che come una certezza), parlando ai giornalisti perché i leader di partito intendessero. È un Mario Draghi in versione «volpe» quello che torna da Madrid in anticipo dopo aver auscultato le fibrillazioni parlamentari e si precipita a tappare i buchi; la sua maggioranza somiglia improvvisamente a un acquedotto che perde il 30% di liquido nell’estate della siccità. «Il governo non rischia perché l’interesse nazionale è preminente in coloro che lo sostengono», aggiunge il premier per far contente le segreterie. E per provare a spaventarle sancisce che «è l’ultimo esecutivo che guido in questa legislatura». Traduzione: se cade domani, a Ferragosto o sulla finanziaria, si va ad elezioni anticipate. Poi si dedica al Movimento 5 stelle, il macigno nelle scarpe, l’elemento di corto circuito. Nella fotografia della telefonata da Madrid, seduto su una panchina mentre la delegazione Nato ammirava i Dodici apostoli di Pieter Paul Rubens, sembra che Draghi stesse parlando con Giuseppe Conte, il presunto o possibile Giuda. Meglio stemperare. «Il governo è stato formato per fare ma ho detto a tutti, prima di formarlo, che questo governo non si sarebbe fatto senza il M5s. Questa resta la mia opinione. I pentastellati hanno dato un contributo importante e continueranno a darlo, anche perché Conte mi ha assicurato che non è intenzione del movimento né uscire, né limitarsi a dare un appoggio esterno. Peraltro il governo non si accontenta di un appoggio esterno». Secondo avviso: se i grillini fanno un passo di lato si va a casa tutti. E nessun rimpasto per chiudere il caso Di Maio.Quella che va in scena a Palazzo Chigi è una conferenza stampa stanca, dove il cloroformio draghiano funziona a meraviglia. Neppure sull’ipotetica frase da zizzania a Beppe Grillo («Rimuovi Conte dalla presidenza») si verifica il sussulto. «Non ho mai fatto questa dichiarazione, non ho sentito Grillo e se ci sono riscontri oggettivi li aspetto. Non ho mai pensato di entrare nelle questioni interne a un partito, non capisco perché mi si voglia tirare dentro. Ho sentito Conte ieri e ci risentiremo domani. Ho chiesto di vedere lui e Grillo».Anche la Lega entra nel cono della polemica, la sua posizione contro la presentazione di Ius scholae e cannabis viene ritenuta dalle redazioni mainstream appiattite sulla narrazione di Enrico Letta un disallineamento, un tentativo di far saltare il banco. In realtà è semplicemente una reazione legittima alla consueta forzatura del Pd, che continua a scambiare un governo di larghe intese - con agenda blindata - per il suo giardinetto condominiale. Draghi non cade nella trappola e sui due temi lunari rimare di ghiaccio: «Sono proposte di iniziativa parlamentare, il governo non prende posizione né le commenta. Sono certo che le diversità di vedute non porteranno problemi».Verso la fine si passa a un tocco di cabaret, quando un giornalista chiede al premier se pensa di essere l’argine al populismo. La stanchezza e l’afa romana non impediscono a Draghi di trovare una risposta da manuale: «Non penso al populismo come a qualcosa da combattere o da disprezzare; il populismo è un segnale di insoddisfazione, di isolamento, di frustrazione dei cittadini. Quindi si sconfigge rispondendo concretamente ai bisogni degli italiani». Perplesso per il fatto che nella settimana dei presunti trionfi internazionali l’attenzione mediatica si sia concentrata sulle camarille politiche, il premier vorrebbe chiudere lo show. Ma a tradimento un’aspirante al Pulitzer gli chiede perché stava telefonando al Prado mentre gli altri big guardavano quadri e ascoltavano musica. «Ero un po’ stanco e ho fatto delle telefonate anche per preparare il Consiglio dei ministri. Tutti sapevano che non sarei rimasto cinque giorni a Madrid».Così la giornata cominciata al Quirinale con lo spettro della crisi si conclude in gloria, ma con i veleni che sgocciolano sul pavimento di palazzo Chigi. Conte è solo rabbonito, la truppa pentastellata resta ingestibile, la Lega sta in campana, il Pd dissemina il cammino di trappole per poi accusare di disfattismo chi le disinnesca. È difficile pensare che il rientro precipitoso non fosse legato alle scosse telluriche in Parlamento. E se ieri c’era aria di tempesta, non è certo tornata la calma solo perché «papà» è di nuovo seduto sul dondolo nel patio con la doppietta carica.Il Draghi più vero è sembrato quello della risposta video negata a Madrid dopo il summit Nato. Nervoso, affaticato, per niente algido. Quando, alla domanda sul sacrificio strategico del popolo curdo in cambio dell’acquiescenza di Recep Erdogan a far entrare nell’alleanza Svezia e Finlandia, ha voltato le spalle e se n’è andato. Si è comportato come un allenatore di calcio sconfitto 3-0, ancora troppo adrenalinico per rispondere con lucidità. Poi, richiamato dal sesto senso degli uomini di Stato (che si differenziano dagli uomini di moto), è tornato indietro e se l’è cavata con un «chiedetelo a svedesi e finlandesi». Come gettare la palla in tribuna. Come dire «il governo non rischia» e poi subito aggiungere «sennò tutti a casa». La Quinta B è avvisata.