2020-12-03
Il precetto che manda in cortocircuito Grillo
La Carta è piena di commi puramente teorici, che il legislatore non ha trasformato in norme precise. Come l'articolo 4, che impone di svolgere un'attività che faccia progredire la società. Tema che ai grillini farebbe comodo cavalcare, ma poi addio decrescita felice.Indovinello: qual è la differenza tra la luna e la Costituzione italiana? Risposta: nessuna differenza; hanno entrambe una faccia nascosta per vedere la quale occorre girarci intorno. La faccia nascosta della Costituzione è quella nella quale si trovano alcune sue disposizioni che, per un verso, risultano (bene o male che ciò sia) pressocché totalmente ignorate; per altro verso, avrebbero potuto o potrebbero avere, stando alla loro letterale formulazione, inaspettate ed anche inquietanti applicazioni se il contesto politico ne avesse offerto o ne offrisse l'occasione. Prendiamo, ad esempio, il secondo comma dell'articolo 4, nel quale si afferma che: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Si tratta di una norma che è rimasta, finora, allo stato di semplice ed astratta enunciazione di principio, non essendovi stata alcuna apprezzabile iniziativa politica volta a dare ad essa una specifica, pratica attuazione. Ma se una tale iniziativa dovesse da qualcuno essere assunta in avvenire le prospettive potrebbero risultare assai preoccupanti. Basti pensare che potrebbe tranquillamente prevedersi come reato, siccome contraria al suddetto dovere, la condotta di chi scegliesse deliberatamente di non dedicarsi ad alcuna attività lavorativa o ad alcuna funzione, pubblica o privata che sia, avendo la possibilità di vivere della rendita dei propri beni, senza neppure darsi la cura di amministrarli, avendo delegato ad altri questa incombenza (che pure, di per sé, potrebbe forse costituire una «funzione»). E la sanzione, in questo caso, oltre alla pena vera e propria, detentiva e/o pecuniaria, potrebbe essere anche quella della confisca dei beni in questione. Tale misura, infatti, potrebbe trovare giustificazione anche sulla base dell'art. 42 della Costituzione, nella parte in cui prevede che sia compito dello Stato, con apposite leggi, far sì che la proprietà adempia ad una «funzione sociale»; condizione, questa, che facilmente si potrebbe ritenere mancante quando dalla proprietà di un bene fosse solo il titolare a trarre passivamente vantaggio. La sanzione penale potrebbe tuttavia colpire anche chi, pur senza vivere di rendita, si limitasse a non darsi da fare per cercare un lavoro o intraprendere comunque un'attività, potendo contare, ad esempio, sull'assistenza economica dei propri familiari; e costoro, a loro volta, proprio per questo, potrebbero essere addirittura considerati corresponsabili del reato. A ciascuno potrebbe inoltre essere imposto, come condizione per non incorrere nella sanzione, l'obbligo di fornire periodicamente, a scadenze predeterminate, la prova di aver adempiuto o, almeno, di essersi adeguatamente adoperato per adempiere al dovere in questione, quando l'avvenuto adempimento non potesse desumersi da altri elementi quali, ad esempio, la dichiarazione dei redditi, dalla quale già risultasse che essi derivano dallo svolgimento di un 'attività lavorativa o di una funzione. E non basta ancora. La norma costituzionale, infatti, come si è visto, non si limita ad imporre genericamente il dovere di svolgere «un'attività o una funzione» ma pretende, in aggiunta, che queste siano tali da «concorrere al progresso materiale o spirituale della società»; il che consentirebbe di sottoporre a sanzione, ad esempio, chi traesse i propri mezzi di sussistenza da attività quali l'accattonaggio (non molesto) o la prostituzione (non esercitata in modo scandaloso o molesto), le quali, pur non essendo di per sé vietate, difficilmente potrebbero essere considerate come suscettibili di dare un apprezzabile contributo «al progresso materiale o spirituale della società». E ciò a prescindere dalla estrema nebulosità ed opinabilità di tale concetto, per cui anche altre attività, a seconda delle visioni politiche di un ipotetico legislatore, potrebbero essere escluse dal novero di quelle rispondenti alla suddetta finalità, con conseguente assoggettabilità a sanzione per coloro che le esercitano. Si dirà che tutto ciò è pura fantasia e che non è ragionevolmente ipotizzabile la sua trasformazione in realtà. Il che è vero per la prima parte, ma potrebbe non esser vero per la seconda. Non sembra affatto da escludere, infatti, che, agli occhi di una non trascurabile parte della pubblica opinione inclinata a visioni di tipo moralistico-giustizialista (quale rivelatasi, ad esempio, con il massiccio consenso tributato, nelle elezioni politiche del 2018, al Movimento 5 stelle), prospettive del genere di quelle sopra illustrate appaiano tutt'altro che da respingere e che, quindi, alla prima occasione favorevole, qualcuno si prenda la briga di proporne l'attuazione. Vi è da dire, però, che una efficace controspinta, nell'ambito di quella stessa parte della pubblica opinione di cui si è detto, potrebbe derivare dal fatto che essa è anche largamente affascinata dal funesto miraggio della cosiddetta «decrescita felice» e sarebbe, quindi, presumibilmente, del tutto aliena dall'auspicare e sostenere scelte politiche che, sulla scorta del precetto costituzionale, fossero volte a stimolare la propensione al lavoro e, quindi, ad impedire che la «decrescita» si realizzasse. In una tale situazione di incertezza, quindi, il meglio che ci si possa ragionevolmente augurare è che, almeno per quanto riguarda il secondo comma dell'articolo 4, la faccia nascosta della Costituzione rimanga tale ancora per lungo tempo.