
La società che ospita il locale amato da Luigi Di Maio e Monica Cirinnà spara a salve sulla Verità.Avevamo perso le tracce di Cristiano Carocci quando era potente portavoce del ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno. Lo ritroviamo direttore della Comunicazione del gruppo Pulcini, costretto a «leggere e rileggere» i nostri pezzi. L'altro ieri ha inviato una lettera al sito Dagospia con un incipit alla Totò: «Siamo uomini di mondo e sappiamo che a Ferragosto non è sempre facile riempire le pagine dei giornali, compresi quelli online. Per questo, incuriositi, abbiamo iniziato la lettura del pezzo di Amadori pubblicato il 15 agosto sulla Verità […] cercando di capire dove lo stimato collega volesse “andare a parare"». L'articolo in questione era intitolato: «Ma quale Papeete, l'alleanza grillo-dem balla nel locale vip tra lazzi e drag queen» e raccontava le serate danzanti di Luigi Di Maio e Monica Cirinnà nel ristorante Lío, un locale trasgressivo e alla moda ospitato a Poltu Quatu all'interno di una struttura di proprietà del Gruppo Pulcini. Carocci, che in passato è stato persino direttore generale per la tutela del consumatore al ministero e commissario straordinario dell'Istituto sperimentale per le patologie vegetali di Roma (sic), si è reinventato esegeta dei nostri articoli, con scarsi risultati. Intanto perché, magari dal buen retiro di Poltu Quatu, sostiene che a ferragosto i giornali non sappiano che cosa scrivere. Forse bisognerebbe rammentargli che il 13 agosto in Aula è stata ufficializzata una crisi di governo che non ha precedenti della storia repubblicana. Eppure per il distratto Carocci (che si definisce «comunicatore in tutte le declinazioni e le interlocuzioni» e «lobbista») ci saremmo occupati del Lío o per recuperare lo scoop di un giornale concorrente (?) o, udite udite, «per sferrare un lunghissimo attacco a freddo e senza una documentazione accurata alla reputazione di Daniele Pulcini che ha realizzato un nuovo punto di attrazione turistica in Sardegna, nuova e apprezzata meta del jet set internazionale». Insomma noi della Verità, mentre il governo affonda, non avremmo di meglio da fare che dichiarare guerra alla Marina di Poltu Quatu, impresa sarda di un imprenditore che, seppur plurimputato, non è certamente in cima all'attuale agenda dell'informazione. Il buon Carocci scrive anche che «se l'obiettivo era questo, occorreva una maggiore precisione nella ricostruzione dei fatti giudiziari». L'ex editore del mensile della destra sociale Area (Carocci in quella veste dovette spiegare alla Procura di Parma un finanziamento di Calisto Tanzi, ex patron della Parmalat) ci fa notare (in fondo è anche avvocato) che il suo capo, in uno dei processi in cui è alla sbarra, è accusato di truffa e non di corruzione, come da noi scritto. Vero. Va detto, però, che prima di mandare in stampa l'articolo avevamo riletto la parte riguardante le imputazioni a uno dei legali di Pulcini, il quale non aveva avuto nulla da ridire sulla «ricostruzione dei fatti giudiziari». A indurci in errore sono stati i vecchi atti del procedimento: all'inizio delle indagini tra le ipotesi di reato c'era anche la corruzione. All'epoca Antonio Pulcini e il figlio Daniele erano accusati di aver pagato una mazzetta da 1,8 milioni all'allora assessore al Patrimonio della Regione Lazio Marco Di Stefano (ospite a prezzi di favore nel resort di Poltu Quatu, evidenziarono i pm) e a un suo stretto collaboratore poi scomparso nel nulla. La mazzetta sarebbe stato un ringraziamento per un affitto fuori mercato pagato da una società regionale per due edifici di proprietà dei Pulcini. Ma durante le indagini non è stata trovata traccia di quella tangente. Per questo il Tribunale oggi contesta solo la truffa e non la corruzione, mentre falso e abuso d'ufficio sono stati prescritti.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.