2021-09-06
Il piano per far fuori Salvini dal governo
I toni ricattatori di Speranza, Letta e Di Maio sono emblematici del pressing che non vuole uscire dal circuito chiusurista. E punta sulla fiducia per chiudere nell’angolo il leader del Carroccio. Si politicizza il decreto green pass per creare imbarazzo alla LegaOrmai è un assioma: finché c’è emergenza, c’è Speranza (nel senso di Roberto). E ovviamente vale anche il viceversa: finché c’è Speranza, c’è emergenza. In altre parole: sia per ragioni di imprinting culturale sia per elementare necessità di sopravvivenza politica, il ministro della Salute continua a scommettere su obblighi e divieti, su un clima di terrore, e anzi alza ogni giorno l’asticella. Nemmeno un ipotetico 90% di vaccinati gli fa escludere tassativamente nuovi lockdown e nuove restrizioni: dal circuito chiusurista non si deve uscire. Ma tutti gli altri? La sensazione è che il grosso degli altri attori giochino una partita tutta politica. Più che la salute degli italiani, sembrano interessati alla salute politica di Matteo Salvini, che è il bersaglio ormai fisso di attacchi concentrici. Ecco Luigi Di Maio: «Salvini deve decidere se inseguire la Meloni o il bene del Paese». Ed ecco la radicalizzazione surreale di Enrico Letta, che trasforma il green pass in una specie di feticcio: «Sul green pass non possono esserci ambiguità. O contro o a favore». Dove si vuol andare a parare con queste accelerazioni, anzi con queste vere e proprie provocazioni, all’interno di una maggioranza (giova sempre ricordarlo) che dovrebbe essere animata da uno spirito di unità nazionale? La sensazione è che pochi credano davvero - in tempi strettissimi - all’imposizione di un obbligo vaccinale generalizzato: i tempi per il pronunciamento finale dell’Ema non sono brevi (si potrebbe arrivare a fine 2022 o addirittura al 2023), e, con un procedimento ancora in itinere, sembra audace - anche giuridicamente - l’idea di una misura assolutamente coercitiva. Perfino la Corte costituzionale italiana, pur spesso ultrasensibile ai desiderata politici del momento, potrebbe avere qualche difficoltà ad adeguare la propria giurisprudenza. Più probabile, anzi scontato, che il vero obiettivo dei pasdaran sia doppio. Nel merito (e questo sarà quasi certamente deciso dal governo), l’estensione dell’obbligo surrettizio attraverso un più largo uso del green pass: per gli statali, e, nel settore privato, per tutte le attività per le quali la carta verde è già richiesta a clienti e consumatori. Quanto alla sostanza, il vero scopo di questo pressing è forzare il governo a mettere la fiducia sull’estensione del green pass per creare un notevole imbarazzo alla Lega. Si badi: non è una questione di lana caprina o di puro tatticismo parlamentare, ma di rapporto con l’opinione pubblica. Senza fiducia, la Lega potrebbe giocare con linearità e lealtà la sua partita parlamentare: votare i propri emendamenti, e votare contro gli emendamenti altrui peggiorativi. Ma se il governo impone le forche caudine della fiducia, tutto si complica. La speranza dei nemici di Salvini è che il leader leghista sia costretto a scegliere tra uno dei tre diversi e seguenti mali. Prima ipotesi: dire un secco no, e così esporsi alla polemica di chi - da quel momento - gli dirà che la Lega si è messa fuori dal governo. È il sogno di Letta dal primo minuto della sua segreteria: buttare fuori il Carroccio, e di fatto trasformare il governo Draghi in una versione aggiornata del Conte bis, cioè un esecutivo a totale trazione giallorossa. Seconda ipotesi: determinare una spaccatura dentro la Lega, che però Salvini, con una paziente attività di dialogo nel suo partito, anche coinvolgendo i governatori, ha finora totalmente scongiurato. Terza ipotesi: indurre Salvini a piegarsi e a capitolare, mostrando che la Lega è platealmente costretta a ingoiare qualunque boccone amaro. Ovviamente, non si sa ancora cosa farebbe la Lega nel caso in cui la fiducia venisse effettivamente posta su un’estrema e irragionevole estensione del green pass. In termini di tattica parlamentare, esiste sempre la possibilità - per una forza di maggioranza - di dire sì alla fiducia e no a un singolo provvedimento: ed è una soluzione da non scartare. Salvini, al momento, mantiene la calma. Non solo. Attraverso la foto di ieri con Giorgia Meloni a Cernobbio, il segretario della Lega ha incoraggiato quanti continuano a sperare in una prossima stagione di governo di centrodestra, facendo capire che l’esperienza di un esecutivo ibrido si concluderà con la fine di questa legislatura, e non andrà oltre. Resta tuttavia un interrogativo non marginale: ma perché Draghi continua a consentire a Pd e grillini questo fastidioso stalking politico ai danni della Lega? A ben vedere, la Lega serve a Draghi: non solo per elementari ragioni di consenso nel Paese, ma pure come argine alle follie della sinistra su tasse e mercato del lavoro. Dunque, non ha molto senso che il premier collabori - più o meno direttamente - a creare imbarazzo a un partito decisivo in questa anomala coalizione. E se aggiungiamo al ragionamento un’altra scadenza oggettivamente in calendario (quella del Quirinale), il discorso si rafforza: ovvio che i giallorossi vorrebbero mettere la Lega fuori dai giochi. Ma Draghi perché mai dovrebbe desiderarlo?
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