True
2024-12-02
Il pediatra non basta più. Neo genitori assediati da esperti, app e algoritmi
iStock
Un esercito di esperti ha soppiantato balie e tate. A supportare neogenitori confusi, alle prese con il bebè, c’è un moltiplicarsi di specialisti (più o meno qualificati) raggiungibili online in community, app, podcast e tutorial. Su web e social, a disposizione di mamme e papà inesperti e ansiosi, alle prese con il neonato - il primo e spesso anche l’ultimo o l’unica - si offrono i servizi più disparati. Alla distanza di un clic è un pullulare di specialisti, pronti a risolvere ogni dubbio prima, durante e dopo l’arrivo di un erede - fino alla sua maggiore età - e, addirittura, app per co-genitori, cioè mamme e papà che stanno insieme, senza essere una coppia, ma solo per fare un figlio. Accanto a ginecologi e sessuologi - che entrano in gioco, prodighi di consigli, ben prima del concepimento - non possono mancare ostetriche, puericultrici specializzate in allattamento, pedagogisti clinici, l’osteopata per la gravidanza e quello pediatrico, ovviamente psicologi per ogni evenienza, personal trainer per tornare in forma dopo il parto o per l’allenamento funzionale e, chiaramente, il nutrizionista.
Altro che la tata, il pediatra o le nonne del piccolo o della neonata: oggi è l’algoritmo a fornire suggerimenti in post e video dedicati a temi specifici, oppure in portali come parentsmile. La piattaforma, fondata da una mamma sulla base della sua esperienza, per esempio, «offre servizi medici, formativo-educativi, assistenziali e per il fitness, il tutto in un unico hub». I servizi, si legge nel sito, «sono prenotabili h24, 7/7, 365 giorni l’anno, con conferma immediata ed erogati esclusivamente da professionisti altamente qualificati con titoli legalmente riconosciuti», per i quali sono disponibili le tariffe, tendenzialmente orarie, che vanno dai 50-60 euro a 100, se vengono a domicilio. Difficile fare un censimento, le community si creano attorno a genitori, specialisti, associazioni e possono essere indipendenti o sponsorizzati da marchi di prodotti per l’infanzia.
È il caso del Pampers Village, progetto lanciato nel 2021, con articoli e podcast per dare consigli, rispondere dubbi e condividere storie, sviluppato insieme a Heart4Children, un’associazione di promozione sociale, con il contributo di Mind4Children, spin-off dell’Università di Padova.
«Le community online, sia indipendenti, sia sponsorizzate dai brand, funzionano come canali di passaparola digitale e soddisfano bisogni tipici dei neogenitori», spiega Fulvio Fortezza, professore associato di Marketing al Dipartimento di Economia e management dell’Università di Ferrara. «Oltre offrire consigli, aiutano a creare un senso di appartenenza, diventando veri e propri spazi di mutuo sostegno. I forum nati in modo indipendente vengono spesso affiancati da spazi creati e moderati dalle aziende che organizzano eventi e forniscono contenuti utili, integrando suggerimenti con l’offerta dei loro prodotti. Più che di una manipolazione», osserva l’esperto, «si tratta di un’operazione che risponde a un’esigenza reale, di consumatori più ansiosi, meno sicuri» e attenti a «evitare errori».
Il marketing, quindi, fa solo il suo mestiere in una società «in cui molti riferimenti familiari e sociali tradizionali sono scomparsi o si sono indeboliti», argomenta Fortezza. «Una volta il sapere su come crescere i figli veniva trasmesso dai familiari o dai vicini di casa. Oggi si cerca sostegno su Google, blog, app e community online. Il web ha portato a una trasformazione: non c’è più il consiglio del genitore o della nonna, ma quello di altri genitori o di esperti attraverso le community online. Di fronte a questa autonomia, i brand trovano terreno fertile per inserirsi e proporsi».
Del resto, la depressione perinatale, secondo l’Istituto superiore di sanità, colpisce circa il 10-20% delle donne e il 2-10% degli uomini. Allo stesso modo, la percentuale di ansia nel periodo perinatale varia dall’11 al 25% per le donne e dall’8 al 20% per gli uomini. I genitori spesso percepiscono anche uno stress legato al ruolo, che viene definito parenting stress, che porta a percepire il bambino come particolarmente richiedente e difficile da accudire. Così, quasi sei neogenitori su dieci dichiarano il desiderio di avere un supporto psicologico - anche se poi dolo il 4% segue il percorso con un professionista - come rivela un’indagine diffusa in queste settimane da Nestlé e sviluppata in Italia insieme a Unobravo. Certo, la survey rivela anche il dato incoraggiante che 8 intervistati su 10 rifarebbe la scelta di mettere al mondo un figlio ed evidenzia un maggiore coinvolgimento del padre nel prendersi cura del piccolo, ma non aiutano le pressioni e le aspettative sociali e familiari dichiarate dal 40%. Inoltre, un recente studio della Ohio State University segnala che il 62% dei genitori, a causa della nuova responsabilità, si sente estremamente stanco e quasi il 40% ritiene di non avere un adeguato supporto nel suo ruolo. «Questo è collegato alla trasformazione della società», rimarca il professore. «Prima il concetto di famiglia era diverso», si era di più, più vicini «e presenti». Oggi è tutto più frammentato, «sono saltati i legami, cresce il numero dei single e dei single di ritorno», e «il web è pervasivo: viene interrogato su tutto» e offre di tutto.
Accanto all’osteopata, che dovrebbe essere interrogato per valutare eventuali squilibri o possibili tensioni che si possono essere verificate nel piccolo nel corso del parto o nell’allattamento, non mancano la puericultrice e il nutrizionista, prodigo di consigli per la dieta migliore per questa funzione. Per interpretare poi il significato del pianto e capire se si tratti di fame, stanchezza o fastidio, viene in aiuto una app, a dare il verdetto. Se poi si ha un animale domestico, c’è lo psicologo con tutta una serie di accorgimenti per evitare che si ingelosisca con l’arrivo del bimbo o della bimba.
A tale proposito, parallelamente, «sta crescendo il mercato legato agli animali domestici», riflette Fortezza. Diversi studi evidenziano che per i pet «si sviluppa un grado di attaccamento equiparabile a quello che si sviluppa verso un figlio o una figlia. Questo affetto porta all’acquisto di prodotti specifici e di qualità per gli animali, tanto che, in alcuni supermercati, i reparti dedicati agli amici a quattro zampe sono paragonabili, in dimensioni, a quelli dei prodotti per l’infanzia. È ormai comune vedere che le spese per il pet care siano considerevoli, con una gamma merceologica in costante espansione: cibo, accessori e altri servizi».
Guardando al futuro, è probabile che il fenomeno dell’informazione digitale e dei servizi per i genitori «raggiunga la maturità, ma si assisterà a nuove evoluzioni nelle necessità di consumo, a supporto di altre categorie di utenti. Stiamo assistendo a un cambiamento sociale che riguarda anche le famiglie, sempre più fluide e monocomponenti. Il mercato», conclude, «dovrà quindi prepararsi a rispondere a queste nuove esigenze, spostando l’attenzione e creando nuovi prodotti e servizi per i diversi tipi di nuclei familiari», con meno bimbi e più animali.
«Avere un bambino in età adulta moltiplica le aspettative e l’ansia»
Sono saltati i riferimenti sociali, il modello di famiglia è cambiato nel giro di qualche decennio. Anche la scelta di essere genitori è sempre meno contemplata all’interno di una realtà matrimoniale, di un impegno, di un desiderio di stabilità. Il mondo è più complesso e, così, anche la dimensione affettiva e relazionale. I genitori si trovano immersi in una realtà social dove non mancano esperti di ogni cosa pronti a dispensare consigli. Le soluzioni a tutte le domande si trovano nel giro di qualche secondo, ma regna anche una pressione di perfezionismo patinato a cui è difficile sottrarsi, specie quando l’arrivo di un bebè rende naturalmente più vulnerabili e incerti. I figli, però «non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di autenticità», avverte David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi.
Quali difficoltà si trovano ad affrontare oggi i neogenitori ?
«Molteplici e interdipendenti. C’è, innanzitutto, un tema sociale: negli ultimi anni, è diventato quasi obbligatorio per entrambi i genitori lavorare. Questo ha ridotto la presenza costante di almeno un genitore nel crescere i figli. Poi, c’è la questione dei servizi: in Italia, purtroppo, non brilliamo in termini di supporto alla genitorialità. In assenza dei nonni, spesso è davvero complicato riuscire a conciliare tutto».
Certo, mancano asili nido, scuole a tempo pieno, politiche che vengano incontro alle esigenze familiari con un equilibrio tra vita professionale e familiare. Ma c’è anche dell’altro?
«Sì, c’è un aspetto psicologico importante. Oggi i genitori sentono una forte pressione a essere perfetti, e questo crea molte ansie. Viviamo in una cultura che, negli anni, ha alimentato questa idea di genitore perfetto, ma io credo che i figli abbiano più bisogno di genitori autentici che perfetti. Servono genitori in grado di mettersi in gioco, di essere sé stessi. I bambini non cercano la perfezione, ma un riferimento, autenticità».
Nella concretezza, quali altre sfide devono affrontare mamme e papà con l’arrivo di un figlio o una figlia?
«Sicuramente quella di trovare un equilibrio tra la dimensione affettiva e il dare delle regole. Negli anni passati si tendeva a dare regole in modo eccessivo. Oggi, invece, sembra quasi che si abbia paura di farlo. Ma i ragazzi hanno bisogno di entrambe le cose: hanno bisogno di affetto e di regole, e di avere accanto un genitore che sia un punto di riferimento adulto, non solo un amico. Viviamo una crisi del modello adulto. Mentre fino a qualche decina d’anni fa la transizione all’età adulta era più netta, oggi abbiamo persone di 30, 40, perfino 50 anni che non si sentono ancora completamente adulti. Non è un giudizio, è una realtà che vediamo sempre di più. Quindi sì, anche prima di diventare genitori, servirebbe una riflessione sulla maturità e sulla responsabilità, perché essere genitore richiede di assumere un ruolo adulto».
Parlando di contesto sociale, oggi le soluzioni sembrano più facili da raggiungere: una ricerca su web e si trova la risposta. Quali sono i risvolti nel confronto con i figli?
«Noi viviamo in un mondo apparentemente semplice e comodo, ma in realtà è molto complesso e da molti punti di vista. Rispetto al passato, c’è un flusso continuo di informazioni: i social media, il web. Siamo immersi in un contesto pieno di stimoli e pressioni. In passato, l’infanzia era più semplice anche nelle dinamiche sociali: giocavamo per strada, avevamo meno distrazioni. Oggi invece tutto è più complesso, e questo si riflette anche nel disorientamento sul ruolo del genitore».
Invece di tanti esperti, i genitori potrebbero beneficiare di un altro tipo di supporto?
«Sì, come psicologi crediamo sarebbe utile una sorta di scuola per genitori, ma non per insegnare una performance genitoriale. Servirebbe per aiutare a riscoprire l’autenticità e la naturalezza di questo ruolo. Non si tratta di imparare a essere genitori perfetti, ma di recuperare un equilibrio, di affrontare la genitorialità con consapevolezza, responsabilità, ma anche con più semplicità e più naturalezza. Oggi, diventando genitori a un’età più adulta, ci sono tantissime aspettative sui figli, si moltiplicano così le ansie e i dubbi che si cercano di arginare interrogando i social, invece che attingendo dal proprio vissuto e dai propri genitori».
È quindi una questione anagrafica?
«Un tempo si diventava genitori intono ai 20 anni, non con meno incertezze, ma con più capacità di mettersi in gioco, con semplicità, da adulti responsabili e non ossessionati dalla perfezione».
Continua a leggereRiduci
Un tempo c’erano i consigli della nonna e un’unica figura medica di riferimento. Oggi abbondano gli specialisti, dall’osteopata alla puericultrice al nutrizionista... Ma sono davvero tutti necessari?Il presidente dell’Ordine degli psicologi David Lazzari: «Mamme e papà sono ossessionati dalla perfezione. Hanno paura a dare regole e per ogni dubbio interrogano il Web. Un tempo ci si metteva in gioco più facilmente».Lo speciale contiene due articoliUn esercito di esperti ha soppiantato balie e tate. A supportare neogenitori confusi, alle prese con il bebè, c’è un moltiplicarsi di specialisti (più o meno qualificati) raggiungibili online in community, app, podcast e tutorial. Su web e social, a disposizione di mamme e papà inesperti e ansiosi, alle prese con il neonato - il primo e spesso anche l’ultimo o l’unica - si offrono i servizi più disparati. Alla distanza di un clic è un pullulare di specialisti, pronti a risolvere ogni dubbio prima, durante e dopo l’arrivo di un erede - fino alla sua maggiore età - e, addirittura, app per co-genitori, cioè mamme e papà che stanno insieme, senza essere una coppia, ma solo per fare un figlio. Accanto a ginecologi e sessuologi - che entrano in gioco, prodighi di consigli, ben prima del concepimento - non possono mancare ostetriche, puericultrici specializzate in allattamento, pedagogisti clinici, l’osteopata per la gravidanza e quello pediatrico, ovviamente psicologi per ogni evenienza, personal trainer per tornare in forma dopo il parto o per l’allenamento funzionale e, chiaramente, il nutrizionista. Altro che la tata, il pediatra o le nonne del piccolo o della neonata: oggi è l’algoritmo a fornire suggerimenti in post e video dedicati a temi specifici, oppure in portali come parentsmile. La piattaforma, fondata da una mamma sulla base della sua esperienza, per esempio, «offre servizi medici, formativo-educativi, assistenziali e per il fitness, il tutto in un unico hub». I servizi, si legge nel sito, «sono prenotabili h24, 7/7, 365 giorni l’anno, con conferma immediata ed erogati esclusivamente da professionisti altamente qualificati con titoli legalmente riconosciuti», per i quali sono disponibili le tariffe, tendenzialmente orarie, che vanno dai 50-60 euro a 100, se vengono a domicilio. Difficile fare un censimento, le community si creano attorno a genitori, specialisti, associazioni e possono essere indipendenti o sponsorizzati da marchi di prodotti per l’infanzia. È il caso del Pampers Village, progetto lanciato nel 2021, con articoli e podcast per dare consigli, rispondere dubbi e condividere storie, sviluppato insieme a Heart4Children, un’associazione di promozione sociale, con il contributo di Mind4Children, spin-off dell’Università di Padova. «Le community online, sia indipendenti, sia sponsorizzate dai brand, funzionano come canali di passaparola digitale e soddisfano bisogni tipici dei neogenitori», spiega Fulvio Fortezza, professore associato di Marketing al Dipartimento di Economia e management dell’Università di Ferrara. «Oltre offrire consigli, aiutano a creare un senso di appartenenza, diventando veri e propri spazi di mutuo sostegno. I forum nati in modo indipendente vengono spesso affiancati da spazi creati e moderati dalle aziende che organizzano eventi e forniscono contenuti utili, integrando suggerimenti con l’offerta dei loro prodotti. Più che di una manipolazione», osserva l’esperto, «si tratta di un’operazione che risponde a un’esigenza reale, di consumatori più ansiosi, meno sicuri» e attenti a «evitare errori». Il marketing, quindi, fa solo il suo mestiere in una società «in cui molti riferimenti familiari e sociali tradizionali sono scomparsi o si sono indeboliti», argomenta Fortezza. «Una volta il sapere su come crescere i figli veniva trasmesso dai familiari o dai vicini di casa. Oggi si cerca sostegno su Google, blog, app e community online. Il web ha portato a una trasformazione: non c’è più il consiglio del genitore o della nonna, ma quello di altri genitori o di esperti attraverso le community online. Di fronte a questa autonomia, i brand trovano terreno fertile per inserirsi e proporsi». Del resto, la depressione perinatale, secondo l’Istituto superiore di sanità, colpisce circa il 10-20% delle donne e il 2-10% degli uomini. Allo stesso modo, la percentuale di ansia nel periodo perinatale varia dall’11 al 25% per le donne e dall’8 al 20% per gli uomini. I genitori spesso percepiscono anche uno stress legato al ruolo, che viene definito parenting stress, che porta a percepire il bambino come particolarmente richiedente e difficile da accudire. Così, quasi sei neogenitori su dieci dichiarano il desiderio di avere un supporto psicologico - anche se poi dolo il 4% segue il percorso con un professionista - come rivela un’indagine diffusa in queste settimane da Nestlé e sviluppata in Italia insieme a Unobravo. Certo, la survey rivela anche il dato incoraggiante che 8 intervistati su 10 rifarebbe la scelta di mettere al mondo un figlio ed evidenzia un maggiore coinvolgimento del padre nel prendersi cura del piccolo, ma non aiutano le pressioni e le aspettative sociali e familiari dichiarate dal 40%. Inoltre, un recente studio della Ohio State University segnala che il 62% dei genitori, a causa della nuova responsabilità, si sente estremamente stanco e quasi il 40% ritiene di non avere un adeguato supporto nel suo ruolo. «Questo è collegato alla trasformazione della società», rimarca il professore. «Prima il concetto di famiglia era diverso», si era di più, più vicini «e presenti». Oggi è tutto più frammentato, «sono saltati i legami, cresce il numero dei single e dei single di ritorno», e «il web è pervasivo: viene interrogato su tutto» e offre di tutto. Accanto all’osteopata, che dovrebbe essere interrogato per valutare eventuali squilibri o possibili tensioni che si possono essere verificate nel piccolo nel corso del parto o nell’allattamento, non mancano la puericultrice e il nutrizionista, prodigo di consigli per la dieta migliore per questa funzione. Per interpretare poi il significato del pianto e capire se si tratti di fame, stanchezza o fastidio, viene in aiuto una app, a dare il verdetto. Se poi si ha un animale domestico, c’è lo psicologo con tutta una serie di accorgimenti per evitare che si ingelosisca con l’arrivo del bimbo o della bimba. A tale proposito, parallelamente, «sta crescendo il mercato legato agli animali domestici», riflette Fortezza. Diversi studi evidenziano che per i pet «si sviluppa un grado di attaccamento equiparabile a quello che si sviluppa verso un figlio o una figlia. Questo affetto porta all’acquisto di prodotti specifici e di qualità per gli animali, tanto che, in alcuni supermercati, i reparti dedicati agli amici a quattro zampe sono paragonabili, in dimensioni, a quelli dei prodotti per l’infanzia. È ormai comune vedere che le spese per il pet care siano considerevoli, con una gamma merceologica in costante espansione: cibo, accessori e altri servizi». Guardando al futuro, è probabile che il fenomeno dell’informazione digitale e dei servizi per i genitori «raggiunga la maturità, ma si assisterà a nuove evoluzioni nelle necessità di consumo, a supporto di altre categorie di utenti. Stiamo assistendo a un cambiamento sociale che riguarda anche le famiglie, sempre più fluide e monocomponenti. Il mercato», conclude, «dovrà quindi prepararsi a rispondere a queste nuove esigenze, spostando l’attenzione e creando nuovi prodotti e servizi per i diversi tipi di nuclei familiari», con meno bimbi e più animali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pediatra-non-basta-piu-neo-genitori-assediati-da-esperti-app-e-algoritmi-2670246087.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="avere-un-bambino-in-eta-adulta-moltiplica-le-aspettative-e-lansia" data-post-id="2670246087" data-published-at="1733007679" data-use-pagination="False"> «Avere un bambino in età adulta moltiplica le aspettative e l’ansia» Sono saltati i riferimenti sociali, il modello di famiglia è cambiato nel giro di qualche decennio. Anche la scelta di essere genitori è sempre meno contemplata all’interno di una realtà matrimoniale, di un impegno, di un desiderio di stabilità. Il mondo è più complesso e, così, anche la dimensione affettiva e relazionale. I genitori si trovano immersi in una realtà social dove non mancano esperti di ogni cosa pronti a dispensare consigli. Le soluzioni a tutte le domande si trovano nel giro di qualche secondo, ma regna anche una pressione di perfezionismo patinato a cui è difficile sottrarsi, specie quando l’arrivo di un bebè rende naturalmente più vulnerabili e incerti. I figli, però «non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di autenticità», avverte David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi. Quali difficoltà si trovano ad affrontare oggi i neogenitori ? «Molteplici e interdipendenti. C’è, innanzitutto, un tema sociale: negli ultimi anni, è diventato quasi obbligatorio per entrambi i genitori lavorare. Questo ha ridotto la presenza costante di almeno un genitore nel crescere i figli. Poi, c’è la questione dei servizi: in Italia, purtroppo, non brilliamo in termini di supporto alla genitorialità. In assenza dei nonni, spesso è davvero complicato riuscire a conciliare tutto». Certo, mancano asili nido, scuole a tempo pieno, politiche che vengano incontro alle esigenze familiari con un equilibrio tra vita professionale e familiare. Ma c’è anche dell’altro? «Sì, c’è un aspetto psicologico importante. Oggi i genitori sentono una forte pressione a essere perfetti, e questo crea molte ansie. Viviamo in una cultura che, negli anni, ha alimentato questa idea di genitore perfetto, ma io credo che i figli abbiano più bisogno di genitori autentici che perfetti. Servono genitori in grado di mettersi in gioco, di essere sé stessi. I bambini non cercano la perfezione, ma un riferimento, autenticità». Nella concretezza, quali altre sfide devono affrontare mamme e papà con l’arrivo di un figlio o una figlia? «Sicuramente quella di trovare un equilibrio tra la dimensione affettiva e il dare delle regole. Negli anni passati si tendeva a dare regole in modo eccessivo. Oggi, invece, sembra quasi che si abbia paura di farlo. Ma i ragazzi hanno bisogno di entrambe le cose: hanno bisogno di affetto e di regole, e di avere accanto un genitore che sia un punto di riferimento adulto, non solo un amico. Viviamo una crisi del modello adulto. Mentre fino a qualche decina d’anni fa la transizione all’età adulta era più netta, oggi abbiamo persone di 30, 40, perfino 50 anni che non si sentono ancora completamente adulti. Non è un giudizio, è una realtà che vediamo sempre di più. Quindi sì, anche prima di diventare genitori, servirebbe una riflessione sulla maturità e sulla responsabilità, perché essere genitore richiede di assumere un ruolo adulto». Parlando di contesto sociale, oggi le soluzioni sembrano più facili da raggiungere: una ricerca su web e si trova la risposta. Quali sono i risvolti nel confronto con i figli? «Noi viviamo in un mondo apparentemente semplice e comodo, ma in realtà è molto complesso e da molti punti di vista. Rispetto al passato, c’è un flusso continuo di informazioni: i social media, il web. Siamo immersi in un contesto pieno di stimoli e pressioni. In passato, l’infanzia era più semplice anche nelle dinamiche sociali: giocavamo per strada, avevamo meno distrazioni. Oggi invece tutto è più complesso, e questo si riflette anche nel disorientamento sul ruolo del genitore». Invece di tanti esperti, i genitori potrebbero beneficiare di un altro tipo di supporto? «Sì, come psicologi crediamo sarebbe utile una sorta di scuola per genitori, ma non per insegnare una performance genitoriale. Servirebbe per aiutare a riscoprire l’autenticità e la naturalezza di questo ruolo. Non si tratta di imparare a essere genitori perfetti, ma di recuperare un equilibrio, di affrontare la genitorialità con consapevolezza, responsabilità, ma anche con più semplicità e più naturalezza. Oggi, diventando genitori a un’età più adulta, ci sono tantissime aspettative sui figli, si moltiplicano così le ansie e i dubbi che si cercano di arginare interrogando i social, invece che attingendo dal proprio vissuto e dai propri genitori». È quindi una questione anagrafica? «Un tempo si diventava genitori intono ai 20 anni, non con meno incertezze, ma con più capacità di mettersi in gioco, con semplicità, da adulti responsabili e non ossessionati dalla perfezione».
Steve Witkoff (Ansa)
Il consigliere presidenziale russo, Yuri Ushakov, ha, sì, definito l’incontro «utile, costruttivo e molto concreto», ma ha anche precisato che resta «molto lavoro da fare». «Non siamo certo più lontani dalla pace», ha poi specificato. «Siamo riusciti a concordare alcuni punti, altri hanno suscitato critiche, ma l’essenziale è che si sia svolta una discussione costruttiva e che le parti abbiano dichiarato la loro volontà di proseguire negli sforzi», ha continuato, pur sottolineando che sulla questione dei territori «non è ancora stata scelta alcuna soluzione di compromesso», nonostante «alcune proposte americane possano essere discusse». «Apprezziamo la volontà politica del presidente Trump di continuare a cercare soluzioni. Siamo tutti pronti a incontrarci tutte le volte che sarà necessario per raggiungere una soluzione pacifica», ha dichiarato, dal canto suo, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha anche accusato gli europei di «rifiutare» il dialogo con Mosca, per poi sostenere che Putin non avrebbe respinto in toto il piano di pace americano.
«Quello che stiamo cercando di capire è se è possibile porre fine alla guerra in un modo che protegga il futuro dell’Ucraina e che entrambe le parti possano accettare», ha affermato, martedì sera, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, commentando il colloquio svoltosi al Cremlino. «Penso che abbiamo fatto qualche progresso, ma non siamo ancora arrivati al traguardo», ha aggiunto, per poi specificare: «Solo Putin può porre fine a questa guerra da parte russa». Ricordiamo che, ieri, Rubio, oltre a parlarsi telefonicamente con Antonio Tajani sulla mediazione statunitense in Ucraina, non ha preso parte alla riunione dei ministri degli Esteri della Nato, facendosi rappresentare dal suo vice. Un’assenza a suo modo significativa che il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ha comunque cercato di minimizzare, affermando: «Non leggiamo più di quanto non ci sia». «C’è solo una persona al mondo che è in grado di sbloccare la situazione quando si tratta della guerra in Ucraina, ed è il presidente americano Donald J. Trump» ha anche detto, puntando così a rinsaldare le relazioni transatlantiche. Relazioni tuttavia un po’ scricchiolanti: secondo Politico, ieri, al vertice Nato, il vicesegretario di Stato americano, Christopher Landau, ha criticato gli europei per aver allentato i loro legami con l’industria della difesa statunitense.
Nel frattempo, sempre ieri, è saltato l’incontro che avrebbe dovuto tenersi a Bruxelles tra Witkoff e Volodymyr Zelensky. «Dopo Bruxelles, Rustem Umerov e Andrii Hnatov inizieranno i preparativi per un incontro con gli inviati del presidente Trump negli Stati Uniti», ha dichiarato, poco dopo la notizia, il presidente ucraino. «I rappresentanti ucraini informeranno i loro colleghi in Europa su quanto emerso dai contatti avvenuti ieri a Mosca da parte americana e discuteranno anche della componente europea della necessaria architettura di sicurezza», ha aggiunto. Una doccia fredda sull’Ucraina è frattanto arrivata dal presidente finlandese, Alexander Stubb. «La realtà è che anche noi finlandesi dobbiamo prepararci al momento in cui la pace sarà ristabilita e che tutte le condizioni per una pace giusta di cui abbiamo tanto parlato negli ultimi quattro anni hanno poche possibilità di essere soddisfatte», ha affermato.
È in questo quadro ingarbugliato che Emmanuel Macron continua a cercare di ritagliarsi il ruolo di anti-Trump. Il presidente francese si è recato a Pechino, dove, secondo la Bbc, ha intenzione di discutere della crisi ucraina con Xi Jinping, per cercare di convincerlo a fare pressione su Putin. Si tratta, in sostanza, della stessa strategia portata avanti per anni dall’amministrazione Biden, che però non ha avuto alcun effetto concreto. È d’altronde tutto da dimostrare che Pechino auspichi realmente una conclusione del conflitto ucraino. Se all’inizio dell’invasione si era presentato come l’uomo del dialogo con Mosca, dal 2024 l’inquilino dell’Eliseo si è riscoperto falco antirusso (pur non disdegnando di mandare, lo scorso maggio, l’ambasciatore francese all’insediamento presidenziale di Putin). Adesso, nel suo iperattivismo inconcludente, Macron sta tentando di aprire un non meglio precisato percorso diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tenendo la mano al rivale sistemico degli Usa: il che rischia di portare indirettamente a nuove fibrillazioni tra Washington e Bruxelles.
In tutto questo, ieri, al vertice della Nato, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha discusso con gli omologhi di Bulgaria e Romania dei recenti attacchi ucraini nel Mar Nero. Attacchi che, lunedì, Tayyip Erdogan aveva severamente criticato, affermando: «Non possiamo in nessun caso accettare questi attacchi, che minacciano la sicurezza della navigazione, dell’ambiente e della vita nella nostra zona economica esclusiva». Un’irritazione, quella di Ankara, che potrebbe avere impatti negativi sulla posizione negoziale di Zelensky, che già deve gestire le difficoltà legate al caso Yermak. Fidan ha inoltre reso noto che il presidente turco continua a essere in contatto con Putin. «La cosa principale è che i negoziati continuino e che si trovi una via di mezzo. Credo che Witkoff, che attualmente sta mediando, possa svolgere un ruolo positivo. Ha sufficienti competenze», ha affermato.
Continua a leggereRiduci
Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
Al di là del merito delle dichiarazioni, che si riferivano esplicitamente alla cybersicurezza, rimane un fatto che Cavo Dragone - accostando le tre parole «Nato», «Russia» e «attacco preventivo» - ha finito per generare un vespaio di polemiche. Mosca, naturalmente, non l’ha presa bene: «Riteniamo che la dichiarazione di Giuseppe Cavo Dragone sui potenziali attacchi preventivi contro la Russia sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell’Alleanza di continuare a muoversi verso un’escalation», ha dichiarato Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo. Che poi ha definito le parole dell’ammiraglio «un tentativo deliberato di minare gli sforzi volti a trovare una via d’uscita alla crisi ucraina».
Anche in Italia, del resto, l’intervista di Cavo Dragone ha suscitato malumori bipartisan: dalle forze di maggioranza a quelle di opposizione, tutti i partiti hanno espresso perplessità sull’opportunità di rilasciare dichiarazioni tanto forti, o comunque fraintendibili. Lo stesso Antonio Tajani, atlantista doc, interpellato a caldo sulle parole del presidente del comitato militare della Nato, aveva detto: «Quello che conta non sono le dichiarazioni, ma il lavoro». Non esattamente una difesa a spada tratta.
Sarà anche per questo che Cavo Dragone, sentito ieri dall’Ansa, ha provato ad aggiustare il tiro: «Nell’intervista al Financial Times, così come in altre dichiarazioni, ho fatto riferimento specificamente alle minacce ibride di cui siamo quotidianamente oggetto, evidenziando come sia importante e necessario mantenere un approccio flessibile e assertivo, senza alimentare ovviamente processi escalatori», ha detto l’ammiraglio. Che poi ha aggiunto: «La Nato, come sempre ribadito, rimane infatti un’alleanza difensiva».
Queste dichiarazioni, peraltro, sono seguite all’incontro che Cavo Dragone ha avuto con Tajani a margine della ministeriale Nato: «Gli ho ribadito il mio giudizio, credo di aver ben interpretato le sue parole senza strumentalizzarle», ha sottolineato il ministro degli Esteri. «Non ci ho trovato nulla di strano, nulla di anomalo, nulla in contrasto con i principi della Nato. Mi pare che sia tutto concluso. Gli ho ribadito la mia stima, la mia solidarietà, perché mi pare che stia svolgendo molto bene il suo ruolo».
Più piccato è stato, invece, il commento di Giorgia Meloni: «È una fase in cui bisogna misurare molto bene le parole», ha detto ieri il premier a margine di un vertice in Bahrein. «Bisogna evitare tutto quello che può far surriscaldare gli animi. L’ammiraglio Cavo Dragone stava parlando di cybersicurezza. Io l’ho letta così: la Nato è un’organizzazione difensiva, oltre a difenderci dobbiamo fare anche meglio prevenzione. Attenzione anche a come si leggono parole che bisogna anche essere molto attenti a pronunciare», ha concluso la leader di Fratelli d’Italia.
Insomma, va bene essere «proattivi», come sostiene l’ammiraglio, ma certe strategie sarebbe opportuno non sbandierarle ai quattro venti. Del resto, così la pensa anche Baiba Braze, il ministro degli Esteri lettone: «Certe cose è meglio farle, e non dirle. Gli Alleati hanno capacità di attacco informatico e, se necessario, possono essere impiegate, ma nessuno ne parlerà ad alta voce».
Continua a leggereRiduci
Carlo Melato dialoga con il critico musicale Alberto Mattioli sulle attese suscitate dal titolo scelto dal Piermarini per il 7 dicembre: Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk. Un capolavoro che ha sofferto la censura staliniana e che dev’essere portato al grande pubblico, anche televisivo, scommettendo sulla sua potenza e non sul boom di ascolti