2019-12-21
Il Pd vuole la Rai, cartellino giallo a Salini
L'impasse politica getta la tv pubblica in una fase di stallo: le nomine restano bloccate e gli investimenti vengono messi in dubbio. L'ad attacca i partiti ma i democratici, che bramano un tg, ringhiano: «Non faccia la vittima e lavori seriamente. Se ne è capace».Nel presepe della Rai la statuetta di Fabrizio Salini è ormai ai margini. Lui è quello voltato di spalle che corre lontano, mentre Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Matteo Renzi non hanno ancora deciso se inseguirlo o lasciarlo andare. La posizione dell'ad non è mai stata così traballante e le sue dichiarazioni di corridoio («I partiti paralizzano la mia Rai», «Non sono stato nominato per giocare a Tetris con le pedine della politica») sono testimonianza di un indebolimento progressivo del suo ruolo, della gelida solitudine che precede la fine della corsa. Peraltro Salini dice il vero perché l'ennesimo stucchevole tentativo di tenere la politica fuori da viale Mazzini è fallito. Soprattutto nella stagione del governo Pd-5 stelle-Italia viva la bulimia di potere e di posti al sole sta raggiungendo vette da banchetto babilonese.Se l'ad ha una colpa, è quella di avere sempre assecondato le pretese dei partiti, la naturale vocazione sinistrese dell'azienda, fino a diventare indeciso a tutto pur di non scontentare amici, semplici conoscenti e correnti politiche. Così quando dice «Sono stato nominato con l'esplicito mandato di tenere la politica fuori dalla Rai», di fatto urla alla luna perché a nominarlo è stato il Movimento 5 stelle nel periodo più rivoluzionario, immediatamente seguito dalla stagione delle poltrone e dei mutui, laddove le linee di principio sono state velocemente sostituite dalle convenienze. Un terreno sul quale i marpioni dem hanno esperienza ultradecennale e potere di veto anche attraverso l'Usigrai. Così Salini è immobile, il suo piano editoriale (quello delle direzioni orizzontali di genere tematico) esiste solo sulla carta e neppure il rimpastino dei dirigenti gli sta riuscendo. Il Pd ha chiesto un tg, il candidato è Mario Orfeo ma l'amministratore delegato si è trovato davanti al muro grillino: Di Maio non ha ancora digerito il trattamento riservato a Virginia Raggi sul caso della monnezza a Roma quando dirigeva il Tg1. Paralisi. Il Tg1 sta andando male, il direttore Giuseppe Carboni è in difficoltà, la sinistra chiede di sostituirlo, ma è in quota pentastellata quindi non si tocca. Paralisi. Il Tg2 è l'unico appaltato all'opposizione e non entra nei giochi. Salini non riesce neppure a sostituire Carlo Freccero, andato in pensione a novembre; per tappare il buco ha dovuto avocare a sé il ruolo di direttore di Rai 2 ad interim. Due giorni fa in cda è saltata anche l'unica nomina prevista, quella di Angelo Teodoli alla direzione del Coordinamento generi: il curriculum è stato presentato fuori tempo massimo. La situazione a RadioRai è identica: nessuno sa quale futuro dirigenziale abbiano i radiogiornali. E la guerriglia politica si riverbera sul consiglio d'amministrazione dove la rappresentante del Pd, Rita Borioni, è molto più vicina ai renzianissimi Michele Anzaldi e Davide Faraone che ai referenti del Narareno. Dettaglio che ha messo più volte di malumore Zingaretti. E la defezione per protesta della consigliera all'ultimo cda è un altro segnale preciso, scritto su Facebook. «Siamo alle prese con un piano industriale che deve comunque essere portato avanti per non lasciare la Rai in mezzo a un pericolosissimo guado. Invece è tutto, ancora una volta, drammaticamente fermo».Sembra un inestricabile ingorgo di ferragosto e Salini - che in teoria viaggia con i pieni poteri in tasca - fa la figura del vigile vestito di bianco sul panettone cilindrico, assediato dalle lamiere. Piange dallo sconforto. Il suo sfogo è un segno di grande debolezza e la replica che arriva dal Pd è qualcosa di più di un cartellino giallo: «Lo invitiamo a non fare la vittima e a mettersi a lavorare seriamente. Se ne è capace». L'ultima frase somiglia a un ultimatum. Sembra passato un secolo dalle delikatessen di quel weekend estivo nelle Langhe con il gotha della sinistra radical chic al desco di Carlo De Benedetti. Neanche sei mesi dall'investitura al warning, in Rai capita questo e altro. La paralisi non fa bene neanche agli investimenti e nelle sedi amministrative sono preoccupati perché il ministero dello Sviluppo economico ha messo in dubbio l'erogazione di 40 milioni di extragettito 2019 (stanziati nella legge di Bilancio) proprio per mancanza di progettualità. «Vi diamo i soldi se ci spiegate come intendete spenderli», hanno detto al Mise. I parametri sono rigorosi, difficile sfuggire ai controlli. Servirebbero documentazioni esaustive, piani operativi. Invece la trattativa per ottenere il finanziamento è stata condotta in modo maldestro e il cda non ha ancora approvato il documento. Il senso di palude comincia a diventare palpabile e riguarda anche il settore immobiliare dell'azienda. La sede di Cagliari cade a pezzi e non ci sono accenni di ristrutturazione; a Torino è stato necessario rifare al ribasso il bando di vendita del grattacielo di via Cernaia, visto che la prima asta è andata deserta; a Firenze la massima parte dell'enorme sede è inutilizzata.A tutto questo si aggiunge la vicenda del tentativo di truffa ai danni dell'azienda realizzato con una falsa mail di un falso ex ministro Giovanni Tria all'indirizzo del presidente Marcello Foa. Nessun danno, ma l'audizione di presidente e amministratore delegato da parte della commissione di Vigilanza è stata secretata e gli atti inviati in Procura. Nel presepe Rai non manca nulla, c'è anche il Salini in allontanamento. Per salvare il posto gli serve uno scatto di reni, un rigurgito di decisionismo. Ma il cavallo morente di Francesco Messina davanti alla sede sembra più arzillo di lui.
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)
L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)