
Cheikh Diankha ha preso oltre 2 milioni di euro per una struttura dove si registrano risse e gente ammassata Lavoro nei campi? Un giallo che ha mosso pure le tv americane. I dem: «Lui in lista? Non sappiamo niente...».Un esempio di buona accoglienza? No, un business a molti zeri, un candidato discutibile e un partito (il Pd) che si fa prendere per il naso. Stavolta tocca alla Sardegna essere teatro di una vicenda nella quale interessi economici e politici, oltre a una buona dose di cinismo, la fanno da padrone. D'altronde solo nel 2017, in termini di trasferimenti ai Cas, la gestione dei migranti ha mosso nella provincia di Sassari ben 22,4 milioni di euro.Tutto ha inizio nel mese di giugno del 2016, quando nel corso di una manifestazione della Coldiretti a Cagliari viene raccontata la storia, ripresa pure dall'Ansa, di alcuni immigrati di varie nazionalità (in prevalenza somali, etiopi e nigeriani) i quali, arrivati nell'isola, ritrovano il mestiere che svolgevano in patria, ovvero quello di contadini. Una storia in grado di commuovere Emma Bonino, da sempre convinta che «se non ci fossero gli immigrati, nessuno raccoglierebbe olive e pomodori». La vicenda rappresenta un bel palcoscenico anche per l'azienda che ha promosso l'iniziativa, la Janas international srls, titolare di un centro di accoglienza straordinario (Cas) che ospita circa 100 persone a Li Lioni, una località piuttosto sperduta tra Sassari e Porto Torres, nel Nord Ovest dell'isola. «Non vogliamo andare in giro a chiedere soldi o elemosina», dichiara all'Ansa il responsabile della struttura, il senegalese Cheikh Diankha, «sappiamo lavorare la terra e da quando ci è stata offerta questa possibilità l'abbiamo colta al volo». Peccato che, qualche mese dopo l'uscita sulla principale agenzia di stampa italiana, qualcuno si sia preso la briga di verificare. A settembre del 2016, a seguito di una segnalazione di una giornalista freelance italiana, una troupe dell'emittente americana Pbs news hour guidata da Malcolm Brabant vola in Sardegna per realizzare un reportage. La squadra compie un sopralluogo nei terreni che dovrebbero ospitare i contadini, ma dei migranti non vi è traccia. Brabant e colleghi interpellano la Coldiretti locale, la quale, pur confermando una richiesta di supporto da parte della Janas, prende le distanze dal progetto, affermando di non essere in realtà mai stata coinvolta ufficialmente. Diankha non risponde più alle telefonate dei giornalisti americani, i quali perciò decidono di andare a trovarlo nella struttura di Li Lioni. L'edificio che ospita il centro di accoglienza in realtà è l'ex discoteca «Kiss Kiss», sottoposta nel 2010 a sequestro per un giro di prostituzione durante l'operazione dalle forze dell'ordine locali denominata «Mouline Rouge». Incalzato dai cronisti, Diankha nega di aver mai ricevuto finanziamenti pubblici per portare avanti l'iniziativa nei campi, ma al termine del servizio si rifiuta di rispondere a domande più specifiche e accompagna con decisione la troupe alla porta. Quella dei reporter statunitensi sarà solo la prima di una lunga serie di visite al centro di accoglienza situato nel sassarese.Qualche mese prima, a giugno, a raggiungere la struttura erano stati gli attivisti della campagna «LasciateCIEntrare», una Ong che si batte per il libero accesso della stampa nei centri di accoglienza. Nel report pubblicato a luglio, l'associazione rilevava numerose criticità: l'eccessiva lontananza dai centri abitati, ad esempio, che rendeva particolarmente arduo il processo di integrazione. Ma il problema non riguardava solo la logistica: come recita il rapporto «non sono stati notati riadattamenti della struttura da luogo di divertimento a struttura residenziale», dal momento che «nell'enorme pista da ballo gli angoli un tempo dedicati ai privé sono utilizzati dagli ospiti per consumare i pasti, in altri ci sono accatastati divanetti e tavolini». Nell'ottobre del 2016, la struttura torna alla ribalta delle cronache, a causa di una rissa scoppiata tra nigeriani e somali e finita con sei persone ferite e dieci arresti. Motivo della contesa: i somali non sopportavano il fatto di dover mangiare le stesse pietanze dei nigeriani. Stando a ciò che riporta la stampa locale, il centro viene definito una «polveriera pronta a scoppiare per qualsiasi incomprensione banale». Dopo l'intervento delle autorità, gli altri ospiti inscenano una protesta che blocca la vicina strada statale 131, l'arteria che collega Porto Torres a Cagliari, creando un pericoloso ingorgo.Decisi a fare chiarezza sulle reali condizioni della struttura, i membri di LasciateCIEntrare tornano a Li Lioni nel febbraio del 2017. L'accoglienza però non è delle migliori: come raccontano gli attivisti, «alla nostra richiesta l'operatore del centro (Cheikh Diankha, ndr) ci ha accompagnato verso l'uscita del cancello esterno pretendendo un'autorizzazione per fare una chiacchierata anche all'esterno della struttura. Il custode lo ha chiuso in malo modo e lo ha bloccato con un lucchetto». Colpiti dalla veemenza della reazione, i volontari dell'associazione decidono di interpellare membri della politica locale. Due giorni dopo l'accaduto ha luogo una nuova visita, ma stavolta la delegazione conta anche Nicola Bianchi (ai tempi deputato del M5s) e Maurilio Murru (consigliere comunale di Sassari del M5s). Murru, contattato dalla Verità, ha riferito che nonostante in apparenza sembrasse tutto in ordine, la tensione durante quei momenti era palpabile. Dal momento che i letti erano sistemati all'interno di grandi cameroni, racconta il consigliere, «per garantirsi la privacy gli ospiti erano costretti a rivestire i letti a castello con un lenzuolo, formando una specie di cubicolo».Un attivista che ha chiesto di mantenere l'anonimato, presente sul posto nel corso di entrambe le visite, ha riferito alla Verità che la «struttura è al margine della strada statale dove non ci sono servizi pubblici, non è adatta come struttura residenziale in quanto non nasce per esserlo, e non sono stati fatti significativi accorgimenti in questo senso». Il centro di Li Lioni non è «adatto ad accogliere persone». Nonostante le segnalazioni, la struttura rimane pienamente operativa. Raggiungendo la località, abbiamo potuto verificare di persona che si trova in una strada sterrata a ridosso della carreggiata e fuori dal mondo, per chi non possiede un mezzo di locomozione motorizzato.Gli abitanti della zona ci hanno spiegato che i migranti si muovono in bici, spesso anche di notte e senza pettorina, mettendo a rischio la loro e l'altrui incolumità. Altri cittadini hanno lamentato in zona, durante le ore notturne, la presenza di prostitute. Lo svago è rappresentato da un vicino campo da calcetto che, almeno d'estate, viene frequentato tutte le sere. A dispetto dei precedenti poco rassicuranti, la Janas international è riuscita a espandersi. Come si evince dai documenti della prefettura, l'impresa gestisce almeno altri due centri in altrettante frazioni di Sassari: uno a Campanedda e l'altro a La Corte. Stando ai dossier parlamentari, solo nel 2017 la Janas ha percepito la bellezza 2.150.000 euro per la gestione dell'accoglienza. Nonostante gli introiti, la sede legale è presso il domicilio di uno dei soci, e la presenza della società si evince solo dal nome riportato su una cassetta delle lettere.La figura di Cheikh Diankha è altrettanto ambigua. Esponente di spicco della nutrita comunità senegalese a Sassari, Diankha finisce nel giro dei centri di accoglienza per non uscirne più. Dai documenti ufficiali si apprende che non ha mai ricoperto alcuna carica ufficiale nella Janas, eppure è sempre lui a gestire le visite e a figurare sulla stampa in qualità di responsabile della struttura. Questa notorietà, se così vogliamo chiamarla, gli frutta pure la candidatura da parte del Partito democratico alle elezioni regionali che si svolgeranno il prossimo 24 febbraio. Particolare curioso: la segreteria cittadina del Pd ha dichiarato di non sapere chi sia Diankha e di non essere a conoscenza dei legami con la Janas e con i fatti riportati nel video della troupe americana, che in queste settimane è diventato virale nel Sassarese. Dopo non esseri presentato a un appuntamento, raggiunto telefonicamente dalla Verità Cheikh Diankha ha negato di aver ricevuto finanziamenti pubblici per l'iniziativa dei campi, aggiungendo che la struttura di Li Lioni non presenta problemi. Riguardo alla candidatura, Diankha non ha specificato da quale corrente del Pd sia arrivata. Nel corso della telefonata, ha poi fatto riferimento al «nuovo colonialismo» per sfruttare l'Africa, del quale l'Italia sarebbe responsabile per il solo fatto di appartenere alla Nato: «Salvini parla, ma non sa le cose, è giovane. Quello che hanno fatto gli italiani in Libia, in Somalia e in Eritrea lo sanno tutti. La Francia ha più colpe, però le colpe sono divise, nessuno si salva». Non c'è che dire, bella riconoscenza per il Paese che l'ha accolto e che ora potrebbe potenzialmente offrirgli uno stipendio da consigliere regionale (oltre 10.000 euro lordi).Per Maurilio Murru, invece, la candidatura di Diankha rappresenta «un cerchio che si chiude». Nel 2017, a seguito di un episodio di guerriglia tra residenti e migranti in un noto centro accoglienza cittadino, Murru denunciava il fatto che l'amministrazione guidata da Nicola Sanna (Pd, oggi candidato alle regionali nella stessa lista di Diankha) avrebbe taciuto sul numero dei migranti assegnato a Sassari (900 contro i 400 dell'accordo Anci) per permettere al comune di incassare un lauto bonus sull'immigrazione.
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