2024-02-01
Il Pd premia i violenti di Askatasuna e li nomina «bene comune» di Torino
La giunta dem vuole istituzionalizzare il centro sociale composto da membri a processo per aggressioni e lotta armata. Vivono nella completa illegalità ma vengono coccolati dall’amministrazione: è uno scandalo. Uno dei centri sociali più violenti d’Italia, l’Askatasuna di Torino, sta per essere «legalizzato» perché la giunta comunale ha sentenziato che quel covo di gente violenta e che vive nell’illegalità più totale «è un bene comune di Torino». Niente sgomberi dunque, niente controlli, niente discussioni: il centro sociale Askatasuna è lì e lì deve rimanere con la licenza più ampia di fare il cazzo che vogliono. Viva Torino. Viva il Piemonte. Viva l’Italia. Un normale cittadino deve stare attento quando fa la doccia, quando mette una tenda davanti casa, quando deve rifare un muretto che crolla. Tutto questo non vale per gli askatasunini: gli abitanti della Repubblica autonoma di Askatasuna possono fare tutto con le terga corazzate dalla giunta di Torino (guidata dal sindaco del Pd, Stefano Lo Russo, ndr).Addirittura hanno utilizzato il termine «bene comune», forse non sapendo e non conoscendo la rilevanza storico-filosofica di questo concetto, bonum comunis: esso origina all’interno della filosofia del pensiero filosofico-teologico cattolico e si riferisce a quei beni che non sono individuali ma comuni in quanto sintetizzano in sé l’utilità di essi per tutti. Ditemi voi dove cavolo possa essere l’utilità per tutti di questo centro sociale torinese noto per le violenze di piazza, noto per le violenze nei cantieri no Tav al punto che lo scorso dicembre la Cassazione, in relazione a uno dei tanti processi che vede imputati esponenti di Askatasuna, ha parlato di propositi - leggete bene - di «lotta armata» da parte di questi soggetti.Propositi che sono stati portati avanti attraverso la preordinata provocazione di contrasti con le forze dell’ordine. È stato anche detto, come obiettivo dichiarato nel 2019, che sarebbe stato trasformato in un «presidio antifascista». Si dice che qualcuno, preso da una sorta di divinazione mistica, abbia cominciato a mettere sacchi di sabbia alle finestre per prepararsi all’imminente lotta antifascista. Propongo un cambio di nome del centro sociale, non più Askatasuna ma Askatafascio perché comprensivo (vedi «fascio» finale) della lotta antifascista. A dicembre, a seguito di un controllo effettuato, la Digos ha trovato di tutto e di più: condizioni igienico-sanitarie assenti, mancate autorizzazioni per le attività svolte tra le quali, naturalmente, la somministrazione di cibi e bevande con preferenza alcolica. Magari avranno distribuito anche qualche cordiale così come avveniva tra le truppe antifasciste per tenere in alto il fisico e il morale.E dopo tutto questo, il Comune tenta di «istituzionalizzare» il centro. Dalle nostre parti ciò significa farne una istituzione. Ma, d’altra parte, questo vuol dire che tale istituzione dovrebbe essere fondata sulla legge o accettata perché c’è sempre stata e sempre riconosciuta. Qui che c’è di istituzionale? Il casino, questo c’è, di istituzionale.Capite che è surreale, illogico, ingiusto, paradossale, irrazionale usare termini come «bene comune» o «istituzione» per un centro tra i più violenti d’Italia? Dove molti dei suoi componenti, come abbiamo sopra ricordato, sono stati o sono sotto processo per atti violenti.Ma che deve pensare un cittadino comune, un giovane, una persona qualsiasi che rispetta i termini normali della legalità? Ma perché mai dovrebbe continuare a rispettarli? Se un’istituzione vera come il Comune chiama istituzione (cioè la parifica a sé) un centro sociale assurdo come questo, allora va bene tutto, ognuno faccia quel che vuole, ma chi se ne frega del rispetto, del decoro, di un minimo di galateo istituzionale. Roba del passato, roba da ancien régime, roba che poteva andare bene nei secoli precedenti, prima di Askatasuna.In altri termini: il Comune di Torino ha stabilito che c’è, nella nostra storia nazionale, un prima Askatasuna e un dopo Askatasuna. Una svolta giuridico-politico-sociologico-esistenziale, roba che la Rivoluzione francese sembra una specie di riunione di condominio. Veramente c’è da rimanere spogli di tutto ciò che indossiamo, a partire dalle braghe. È un cascame totale di tutto, è un’apocalisse dell’assurdo. Ma cosa volete dire di fronte a una cosa del genere? Centro sociale Askatasuna: bene comune, istituzione, presidio dell’antifascismo. Sembra una costituzione. Askatasuna, come è noto, nella lingua basca significa libertà e, secondo gli adepti di questo centro sociale, evidentemente, la libertà è la loro e di quella degli altri chi se ne fotte. È uno spettacolo scandaloso, vergognoso, osceno e disonesto. Questa volta a Torino hanno esagerato.
Jeffrey Epstein e Donald Trump (Ansa)
L'ad di SIMEST Regina Corradini D'Arienzo
La società del Gruppo Cdp rafforza il proprio impegno sui temi Esg e conferma anche la certificazione sulla parità di genere per il 2025.
SIMEST, la società del Gruppo Cassa depositi e prestiti che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha ottenuto l’attestazione internazionale Human Resource Management Diversity and Inclusion – ISO 30415, riconoscimento che certifica l’impegno dell’azienda nella promozione di un ambiente di lavoro fondato sui principi di diversità, equità e inclusione.
Il riconoscimento, rilasciato da Bureau Veritas Italia, arriva al termine di un percorso volto a integrare i valori DE&I nei processi aziendali e nella cultura organizzativa. La valutazione ha riguardato l’intera gestione delle risorse umane — dal reclutamento alla formazione — includendo aspetti come benessere, accessibilità, pari opportunità e trasparenza nei percorsi di crescita. Sono stati inoltre esaminati altri ambiti, tra cui la gestione degli acquisti, l’erogazione dei servizi e la relazione con gli stakeholder.
L’attestazione ISO 30415 rappresenta un passo ulteriore nel percorso di sostenibilità e responsabilità sociale di SIMEST, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, in particolare quelli relativi alla parità di genere e alla promozione di condizioni di lavoro eque e dignitose.
A questo traguardo si affianca la conferma, anche per il 2025, della certificazione UNI/PdR 125:2022, che attesta l’efficacia delle politiche aziendali in tema di parità di genere, con riferimento a governance, crescita professionale, equilibrio vita-lavoro e tutela della genitorialità.
Valeria Borrelli, direttrice Persone e organizzazione di SIMEST, ha dichiarato: «Crediamo fortemente che le persone siano la nostra più grande risorsa e che la pluralità di esperienze e competenze sia la chiave per generare valore e innovazione. Questi riconoscimenti confermano l’impegno quotidiano della nostra comunità aziendale nel promuovere un ambiente inclusivo, rispettoso e aperto alle diversità. Ma il nostro percorso non si ferma: continueremo a coltivare una cultura fondata sull’ascolto e sull’apertura, affinché ciascuno possa contribuire alla crescita dell’organizzazione con la propria unicità».
Con questo risultato, SIMEST consolida il proprio posizionamento tra le aziende italiane più attive sui temi Esg, confermando una strategia orientata a una cultura del lavoro sostenibile, equa e inclusiva.
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