2022-06-03
Il Pd in Toscana è in caduta libera e richiama l’ex governatore Rossi
Vuole risollevare il partito e si candida alla segreteria regionale. Dal crollo verticale degli iscritti agli affanni di Eugenio Giani fino al futuro sindaco di Firenze: troppi dossier aperti nell’ex impero rosso diventato un poltronificio. Si comincia male. Anzi: si prosegue peggio. Qualche giorno fa l’ex capolista del Pd a Prato alle ultime elezioni regionali di due anni fa, è passato a Fratelli d’Italia. Oltre al gesto, hanno fatto male a un partito che non trova pace, le parole con cui Lorenzo Zejnati ha spiegato la scelta choc: «La sinistra mi ha deluso tantissimo, ho visto solo una barbara occupazione del potere». Nell’ultima regione dove il Pd resta disperatamente aggrappato al suo passato glorioso, succede anche questo. La passione che ha animato generazioni di militanti si è disintegrata davanti al miraggio di una poltrona. La sinistra ha cambiato il suo patrimonio genetico. «Mi dicono che in Toscana gli iscritti al partito ora siano qualche decina di migliaia, una volta questi numeri si facevano in una sola provincia. Qualcosa vorrà dire», ha commentato l’ex governatore toscano Enrico Rossi in un’intervista al Corriere Fiorentino. Non sono concetti casuali. In effetti il Partito democratico in dieci anni ha perso quattro iscritti su dieci: è passato dai 45.000 del 2012 ai 26.000 di oggi. Rossi si prepara a correre per diventare il segretario regionale del Pd, al prossimo congresso che si dovrebbe tenere entro l’anno. Scalda i muscoli e le parole: rientrato dalla infelice scampagnata in Articolo1, sarebbe l’uomo adatto per riprendere in mano il partito che è senza un saldo timoniere da anni. L’europarlamentare Simona Bonafè, l’attuale segretario, non ha avuto la forza di incidere e si è lasciata sfuggire di mano la leadership di Eugenio Giani, che nel 2020 è diventato governatore della Toscana senza alternative nel suo partito, un po’ per pigrizia di chi avrebbe potuto contendergli la candidatura, un po’ perché la stagione del Covid, di fronte all’emergenza, ha scoraggiato anche le battaglie politiche. Il problema è che il bilancio del primo anno e mezzo di governo sta scontentando un po’ tutti. In Regione, non solo l’opposizione di centrodestra, si lamentano che non si marci come sarebbe necessario in un momento di grave crisi; che vi siano pile di carte da firmare perché il governatore è costantemente in pellegrinaggio per la Toscana a tagliare nastri, in una eterna campagna elettorale. Ma è proprio questo il rischio che una larga parte del Pd vorrebbe già scongiurare, non profilandosi una correzione di rotta. E siccome nessuno prende in mano la situazione, i più esperti e navigati esponenti della sinistra toscana, personalità che hanno governato in passato la Regione, come Vannino Chiti e lo stesso Rossi, e l’ex senatore Michele Ventura, già leader della sinistra fiorentina, si stanno muovendo. Sono preoccupati per l’impotenza del partito e per i problemi amministrativi che si stanno accumulando, in un territorio che il centrodestra avrebbe già potuto colonizzare assai più di quanto non abbia fatto senza impegnarsi troppo e commettendo parecchi errori. La giunta nominata da Giani, figlia oltretutto di scelte che furono complicatissime per non scontentare nessuno, è molto defilata. Di proposte degli assessori fin qui non resta traccia palpabile. Dunque, la prima mossa per ridare vigore al partito, sarebbe proprio il tentativo di affidarne la guida a Enrico Rossi, già riabilitato nel ruolo di commissario politico in Umbria, dopo la momentanea autoepurazione nell’inutile partitino di Roberto Speranza. L’intervista al Corriere Fiorentino ha reso caldissima la candidatura alla segreteria di Rossi («Se me lo chiedono, io ci sono»). Non è un’impresa facile, la sua. Perché le sentinelle mediatiche del governatore, per ora, sono riuscite a distrarre l’opinione pubblica dalle criticità reali. Per esempio dai problemi della sanità che fino a oggi sono stati mascherati da promesse che, inevitabilmente, stanno scadendo.È arrivato il momento di far presto. Perciò si disegna un possibile scenario, che porterebbe Rossi alla segreteria, spostando Simona Bonafè al Senato nel 2023. Se l’ipotesi Rossi naufragasse, l’ex governatore potrebbe trovare rifugio al Parlamento europeo, nel posto che è adesso della Bonafè. Che, però, sarebbe nel mirino anche di Dario Nardella, che nel 2024 terminerà il suo secondo mandato da sindaco e non sarà più rieleggibile. Molti hanno notato come Nardella si sia dato molto da fare per il coordinamento dei sindaci delle più importanti città europee in appoggio alla resistenza ucraina. Del resto, il sindaco di Firenze, è considerato da tempo una delle poche carte credibili da giocare sul palcoscenico nazionale. C’è, però, un altro piano, che non è da considerare affatto un piano B. E cioè: se la strada europea non fosse percorribile per Nardella, molti già lo vedono destinato a diventare governatore della Toscana, però passando inevitabilmente da primarie interne contro Giani, dall’esito tutt’altro che scontato, proprio a causa della forza elettorale che in questi anni il presidente è stato bravo a coltivarsi. Con Rossi alla segreteria Pd e Nardella al vertice della Regione, l’obiettivo della sinistra sarebbe quello di abbandonare lo spirito avventuriero che l’ha fin qui devastata, e di provare a riorganizzarsi, recuperando una disciplina che manca da anni. Da quando il renzismo ha picconato la roccaforte che sembrava inespugnabile e disorientato le certezze di questa terra rossa. Significherebbe, anche, pensare meno alla spartizione del potere, che oggi sembra l’occupazione principale di chi avrebbe ben altri pensieri su cui concentrarsi. A questo mosaico manca il nuovo sindaco di Firenze. Qualcuno, alla ricerca disperata di un’uscita dal tunnel, avrebbe pensato perfino a una manovra spericolata: scambio di testimone fra Nardella e Giani, con l’attuale governatore a fare il sindaco, ruolo al quale ha sempre ambito e che rientra più nelle sue corde. Ma non combaciano i tempi: i giochi della sinistra obbligherebbero i toscani a votare un anno prima della scadenza naturale (2025) in concomitanza con le comunali fiorentine (2024). Percorso piuttosto complicato e cervellotico. Soprattutto difficile da spiegare agli elettori, già piuttosto stanchi. E poi la sinistra non si può più permettere di fare il bello e il cattivo tempo come una volta, quando c’era il partitone. Fino a oggi le è andata anche troppo bene. Se perdesse la maggioranza a Firenze e Prato, crollerebbe l’egemonia del Pd. Il male, la sinistra, se lo è fatta molto da sola. Anzi, con un centrodestra più sveglio e determinato, l’ex impero rosso sarebbe ben più povero. E di questo passo non è detto che possa accadere. Perciò tenta di correre ai ripari.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)