2018-09-02
Il Pd «in piazza contro l’odio» s’ispira a chi vuole Salvini a piazzale Loreto
Maurizio Martina, in un'intervista a Repubblica, chiama alle armi: «Manifestazione nazionale a Roma il 29 settembre sull'esempio di Milano». Dove i militanti invocavano il linciaggio del ministro dell'Interno.Maurizio Martina non ha dubbi. Il Pd, dice, deve «buttarsi corpo a corpo, fisicamente», «là dove si manifestano i bisogni». Una frase che sintetizza perfettamente la situazione del suo partito il quale, in effetti, nei bisogni è immerso fino al collo. E, a quanto pare, non ha nessuna intenzione di uscirne, anzi è determinato ad andare «fisicamente» ancora più in profondità nel liquido melmoso. In realtà, Martina - segretario che si è fatto crescere la barba sperando che portasse saggezza - è convinto di aver individuato una via di salvezza. Bisogna, dichiara, ripartire da Milano. Cioè dalla grottesca manifestazione contro Viktor Orbán organizzata qualche giorno fa. «Penso sia venuto il momento di chiamare ad una mobilitazione nazionale gli italiani che non si rassegnano a vedere questo Paese in preda ai seminatori di odio», annuncia Martina. Curioso davvero. Per combattere i seminatori di odio, i democratici vogliono ispirarsi a una sfilata i cui partecipanti hanno invocato il linciaggio di Matteo Salvini, augurandosi che venisse appeso per i piedi a Piazzale Loreto. Combattono l'odio (presunto) con più odio (vero): una strana versione dell'omeopatia. Del resto, il segretario piddino non è il solo a pensarla così. Ieri, su Repubblica, Nadia Urbinati spiegava che la piazza milanese ha portato a un «risveglio dell'opposizione», è stata «il segno e forse il seme di una nuova forma di impegno partigiano». Secondo l'illustre editorialista, l'Italia si trova in una «condizione estrema, simile a quella di chi sta sul crinale di un dirupo e guarda giù, prefigurandosi il peggio». Da un parte, spiega l'Urbinati, c'è «l'umanità» (cioè la sinistra), dall'altra ci sono le «tribù», ovvero i barbari fascistoidi come Salvini e Orbán. Come vedete, il succo dei ragionamenti è sempre lo stesso. I progressisti di casa nostra - che si chiamino Ezio Mauro, Roberto Saviano, Walter Veltroni o Maurizio Martina - non hanno altro messaggio da offrire. Il popolo italiano dovrebbe votarli perché loro sono «migliori», «superiori». Sono più democratici, sono «uomini» e non «bestie» (distinzione di Matteo Renzi di recente ripresa da una copertina dell'Espresso). Le frasi sono diverse, le parole presentano sfumature variegate, ma il nocciolo della questione non cambia. Sembra che dal Pd sorga un unico, disperato grido: «Siamo più bravi e più belli, perché la gente è così stupida da non votarci?». Martina, chiacchierando con Repubblica, ha sfoderato tutto il repertorio. «Il Pd rilancia il suo impegno con la piazza del 29 settembre a Roma», ha annunciato. Meravigliosi ricorsi: per la rinascita dem scelgono il compleanno di Silvio Berlusconi. Sarà, insiste il segretario, «la piazza per l'Italia che non ha paura». Ma paura di che, per l'esattezza? Veramente gli unici che hanno timore (di sparire) sono i progressisti nostrani. Martina non demorde, dichiara a raffica, butta sul tavolo le poche e arruffate carte di cui dispone. Ciancia di «Paese reale», di «riscossa», di «persone e delle loro necessità». Le idee, però, sono poche e molto confuse. «In chiave europea bisogna unire le forze, da Macron a Tsipras su un chiaro progetto di cambiamento sociale e democratico». Insomma, tanto liberismo, un po' di progressismo di facciata, una spruzzata di umanitarismo d'accatto e il condimento per il pastone è fatto. Nella ciotola c'è dentro di tutto, però l'ideologia è sempre quella. Una fede cieca nell'Unione europea e nel sistema per schiacciare i popoli che essa ha prodotto negli anni. Viene da chiedersi: rispetto all'era Renzi che cosa cambia? Assolutamente nulla. I dem vorrebbero «ricominciare dal popolo», ma al massimo riescono a rimediarne un grottesco simulacro, sotto forma del nerboruto «antifascista Ivano», un barbuto e sbraitante signore che ha manifestato a Rocca di Papa per l'accoglienza dei migranti. Perché il popolo, secondo gli illuminati progressisti, ha esattamente le fattezze di questo marcantonio: grida, è un po' scomposto, vive nelle «periferie», le stesse che Martina ha visitato qualche settimana fa come se si recasse al giardino zoologico. Ricordate? Il nostro si aggirava spaesato per Tor Bella Monaca, temendo che da un momento all'altro un gruppo d'aborigeni sbucasse da un cespuglio per farlo prigioniero e cucinarlo nel proverbiale pentolone. Ce l'hanno con il «governo dell'odio», gli amici del Pd, ma non si rendono conto di covare in petto un odio di classe feroce e inestinguibile. Si preoccupano - a parole - per le sorti della democrazia, poi scendono in piazza contro Orbán, un leader democraticamente eletto (per ben quattro volte), che per altro fa parte del Partito popolare europeo, con cui il Pd fa comunella a Bruxelles. Tra gli oppositori del «governo dell'odio» c'è pure Carlo Calenda (quello che, mesi fa, si preparava a salire in montagna per fare la resistenza). Uno che ieri, parlando dell'economista della Lega Claudio Borghi, ha dichiarato: «Questo irresponsabile va fermato rapidamente. Ma proprio rapidamente». Certo, gli avversari vanno fermati con rapidità e magari con le «maniere brusche» evocate da qualche opinionista. Seguendo questa linea, il Pd andrà si troverà sicuramente in mezzo ai bisogni della gente. Poi, a un certo punto, gli italiani tireranno lo sciacquone.