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Il partito Salvini - Berlusconi

Il partito Salvini - Berlusconi
Silvio Berlusconi e Matteo Salvini (Ansa)
Silvio Berlusconi accarezza l'idea di un nuovo predellino. Sì, gli piacerebbe scompaginare i giochi, come fece il 18 di novembre del 2007.

A quell'epoca, tutti lo davano per spacciato, soprattutto i suoi alleati Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, i quali intendevano togliergli lo scettro del centrodestra. Per 24.000 voti gli era sfuggita la vittoria contro Romano Prodi e, un anno dopo le elezioni, anche la spallata per rispedire anticipatamente a casa il leader dell'Ulivo. Dunque, il capo di An e quello dell'Udc gli presentarono il conto, che poi consisteva in una specie di commissariamento. Fine dell'uomo solo al comando, basta con le operazioni di arruolamento di parlamentari dei rispettivi partiti, stop alla sua candidatura automatica a presidente del Consiglio: in pratica, un'abdicazione.

Che fosse arrivato il momento di prendere in contropiede gli amici-nemici, Berlusconi lo capì dopo aver ascoltato le requisitorie contro di lui dei colonnelli di Fini riuniti ad Assisi. Gli interventi più applauditi al convegno di Destra protagonista, la componente moderata di An di cui faceva parte tra gli altri Italo Bocchino, furono quelli più critici contro di lui. Dunque, ascoltato il tono dei discorsi pronunciati nel teatro della città umbra, nel pomeriggio il Cavaliere prese la macchina e raggiunta San Babila, nel cuore di Milano, improvvisò un comizio, con cui lanciò l'idea del partito unico.

Fu una sfida a Casini, ma soprattutto a Fini, il quale reagì mostrando tutta l'acredine che da tempo coltivava, parlando di «comiche finali». E, rispondendo al Cavaliere che si era scagliato contro i «parrucconi della politica», disse che il fondatore di Forza Italia di parrucchini se ne intendeva. Sì, i miracolati di Berlusconi, quelli che senza la sua discesa in campo sarebbero finiti ai margini lasciando il Paese in mano alla sinistra, all'improvviso dimostravano di volersi liberare in fretta dell'ingombrante padre del centrodestra.

Come sia finita è noto: Forza Italia si trasformò nel Popolo delle Libertà, Casini se ne andò per la propria strada, iniziando un percorso che lo ha portato a candidarsi alle ultime elezioni con il Pd, e Fini, dopo aver giurato che mai sarebbe entrato nel nuovo partito di Berlusconi, all'improvviso fece marcia indietro quando capì che il Cavaliere gli avrebbe svuotato mezzo partito. Sì, con un colpo di scena, l'uomo che già da 13 anni era il protagonista dello schieramento moderato, ribaltò la situazione e in pochi mesi, grazie a nuove elezioni, tornò alla guida del Paese per la terza volta.

Certo il 2007 è lontano, Forza Italia non è in ottima forma e lo stesso si può dire del suo fondatore, che a causa dei postumi del Covid trascorre spesso periodi di cura in ospedale. Tuttavia Berlusconi è Berlusconi, un Ercolino sempre in piedi, uno che quando pensi di averlo mandato al tappeto te lo ritrovi davanti, pronto per un altro round. A lui si attaglia alla perfezione il soprannome che Indro Montanelli diede ad Amintore Fanfani: Rieccolo. Il suo è un eterno ritorno, che va avanti da quasi trent'anni. Certo, oggi il suo partito è a meno dell'8 per cento e non c'è leader politico di destra e di sinistra che non speri di mettere le mani sul tesoretto di voti che il Cavaliere custodisce. Matteo Renzi sogna di ereditare un pezzo di partito per irrobustire la sua Italia più morta che Viva. Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, coltiva l'idea di essere a sua volta unto dal Signore e di passare dalle calli della laguna alle piazze della città eterna e dunque ha fondato un movimento che copia quello ideato nel 1994 da Berlusconi: Coraggio Italia. Insomma, la lista di pretendenti al trono è lunga e nei prossimi mesi altri aspiranti potrebbero aggiungersi.

Tuttavia, se c'è una cosa che abbiamo imparato negli anni è che il Cavaliere dà il meglio di sé quando è messo all'angolo, quando cioè sembra non avere vie d'uscita. Ricordate il periodo in cui fu cacciato dal Parlamento? Dopo pochi mesi rientrò dalla porta di servizio col patto del Nazareno, tornando a contare come prima, forse più di prima. E adesso, con Mario Draghi, qualche parolina ancora può dirla.

Sì, Berlusconi ha 84 anni e molti acciacchi, in tanti gli hanno voltato le spalle e a volte sembra distaccato da ciò che succede a Roma e dentro il suo stesso partito. Ma è sempre Berlusconi e da lui c'è da attendersi qualche colpo a sorpresa. Così, si dice che negli ultimi tempi sogni un nuovo predellino che lo rimetta al centro dei giochi. Non un comizio in piazza e nemmeno un rientro in scena con un ruolo operativo. L'idea sarebbe la seguente: unire Lega e Forza Italia in un nuovo contenitore di cui Salvini faccia il segretario e lui il presidente. Entrambi ne trarrebbero vantaggio. Il capo del Carroccio non soffrirebbe più la minaccia del sorpasso di Giorgia Meloni e il Cavaliere non correrebbe il rischio di vedersi sfilare gli onorevoli che temono di non essere ricandidati: invece di lasciare che siano gli altri a passare con Salvini, passerebbe lui con tutto il blocco dei suoi parlamentari. Ma un partito unico funzionerebbe? Forse sì, perché potrebbe candidarsi a essere il partito di Mario Draghi, in Italia e in Europa. E Berlusconi porterebbe in dote anche l'ingresso del nuovo gruppo nel Ppe, consacrandosi come il padre nobile dei moderati. Il nome? Ancora non c'è, ma potrebbe essere Salva Italia, che ridotto a una sigla suonerebbe come un Si e i militanti si farebbero chiamare salvatori dell'Italia. Fantasie di un leader stanco e tradito? Può essere. Ma con il Cav, mai dire mai.

La sinistra caccia Gesù dal Natale
Ansa
Per non urtare la sensibilità di chi professa altre fedi, una primaria di Reggio Emilia ha rivisto la versione italiana di «Jingle Bells» sostituendo Cristo con vaghe allusioni alla pace. L’«assessora» islamica aveva invitato gli istituti a «decolonizzare lo sguardo».

Includere escludendo, il club degli intelligenti per decreto è sempre un giro avanti anche sul Natale. Dopo avere trasformato i pastori in migranti, i re Magi in attivisti pro Pal, la Madonna in una peripatetica, San Giuseppe in una drag queen e la stella cometa in un razzo su Gaza, non restava che cancellare Gesù Bambino. In attesa di farlo dal presepe, a Reggio Emilia lo hanno espulso dal canto più amato dai bimbi, Jingle Bells. Una deportazione canora in piena regola, messa a punto dai parolieri della scuola primaria San Giovanni Bosco (istituto comprensivo Ligabue) che hanno deciso l’epurazione religiosa dalla versione italiana per il consueto motivo peloso: non urtare la suscettibilità dei musulmani. I quali, peraltro, da anni vedono in questa gratuita sottomissione culturale uno dei segnali più evidenti della degenerazione dei valori occidentali.

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Le balle di Landini per giustificare lo sciopero
Maurizio Landini (Ansa)

È ufficiale: Maurizio Landini, ossia colui che da tempo prova a paralizzare l’Italia rivendicando fantasiose scelte di politica economica, parla di tasse e redditi senza sapere nulla di tasse e redditi.

Pur di giustificare l’ennesima manifestazione a ridosso del fine settimana (senza weekend i cortei andrebbero deserti), in un’intervista concessa a Repubblica il segretario della Cgil spiega le ragioni dello sciopero di oggi con una serie di balle, inventando di sana pianta numeri a sostegno delle sue tesi. Cominciamo dalla magica soluzione con cui lui risolverebbe il problema delle risorse finanziarie per aumentare i redditi di lavoratori e pensionati. L’idea è la solita vecchia trovata della patrimoniale, che però Landini non applicherebbe sulla proprietà, ma sui redditi. «Chiediamo al governo di introdurre un contributo di solidarietà (meglio non chiamarla tassa, è poco carino, ndr) dell’1,3 per cento su 500.000 italiani con redditi netti annui sopra i due milioni: vale 26 miliardi».

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Il segretario ha stancato pure la5 Cgil: basta scioperi, firmiamo i contratti
Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri durante il Forum delle relazioni industriali 2025 in Assolombarda, Milano, 10 Novembre (Ansa)
Monta il malcontento dei settori riformisti (Poste, tessile, chimici): l’isolamento non porta nessun risultato Per adesso restano coperti, ma se anche l’ultima serrata (quella di oggi) sarà un fallimento si faranno sentire.

Passi per l’opposizione puramente politica al centrodestra, che con diverse tonalità di rosso è sempre stata (purtroppo) un tratto distintivo della Cgil. Si può soprassedere pure sull’uso improprio di uno strumento di protesta che andrebbe centellinato come quello dello sciopero. E al limite viene scusato persino l’isolamento del sindacato di Corso d’Italia da Cisl e Uil, anche se l’ultima separazione, quella da Bombardieri, ha fatto storcere il naso a una buona parte dei dirigenti e della base cigiellina. Ma quello che davvero non va giù sul territorio e nei settori più riformisti del sindacato è la mancata presa di distanza dai fatti di Genova.

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Nel 1990 il nostro reddito pro capite era vicino a quello Usa (42.600 dollari contro 44.300). Ora la distanza è abissale (53.100 e 75.400). Ma ad arrancare è stata tutta l’Europa, che ha puntato su deflazione salariale e folli regolamenti anti imprese.

Chissà se i numerosi politici, prevalentemente del Pd, che nei giorni scorsi hanno orgogliosamente esposto sui social la bandiera della Ue, abbiano mai riflettuto sull’effettivo contributo della Ue al benessere dell’Italia e degli altri 26 Stati membri. Così, giusto per poter rivendicare con ancora maggior orgoglio, davanti alle ripetute accuse di Donald Trump, che la Ue è un progetto che nei suoi primi 35 anni (di cui 26 anche con la moneta unica) ha costituito un vantaggio per i Paesi aderenti, rispetto alla situazione ante 1992.

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