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2018-06-05
Il Papa non dà la comunione ai protestanti
ANSA
«Il Santo Padre è perciò giunto alla conclusione che il documento non è maturo per essere pubblicato». Più che una frenata è uno stop vero e proprio quello che è arrivato ieri al cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi, con una lettera firmata dal prefetto dell'ex Sant'Uffizio, monsignor Ladaria Ferrer.
«Con l'esplicito consenso del Papa», Ladaria ha fatto pervenire ai vescovi della Germania una lettera in tedesco datata 25 maggio, dopo averne discusso il giorno prima la stesura definitiva con Francesco. Il caso riguarda il documento che la Conferenza episcopale tedesca aveva approvato a maggioranza lo scorso febbraio a proposito dell'accesso all'eucaristia, in certi casi, per i coniugi protestanti di fedeli cattolici. In gergo tecnico si parla di intercomunione, un argomento affrontato in modo talmente controverso che il 22 marzo sette vescovi tedeschi, tra cui il cardinale di Colonia Rainer Maria Woelki, avevano scritto al Vaticano per manifestare il loro dissenso dai confratelli. Il 3 maggio erano stati convocati a Roma sia il cardinale Marx che Woelki e altri prelati dei rispettivi «partiti», ma sembrava che il Papa volesse non rispondere ai dubia tedeschi e lasciare che se la sbrigassero da soli in Germania. Un atteggiamento che ha sollevato dure critiche da parte di alcuni cardinali come Walter Brandmüller, l'ex prefetto alla Dottrina della fede Gerhard Müller e il cardinale Willem Eijk, arcivescovo di Utrecht, che dalla sua Olanda si è espresso con molta franchezza. «La prassi della Chiesa cattolica, fondata sulla sua fede», ha dichiarato Eijk, «non si cambia statisticamente quando una maggioranza di una Conferenza episcopale vota in favore di questo».
Inaspettatamente ora anche papa Bergoglio ora sembra essersene convinto. E il primo a doversi dichiarare «sorpreso» di questo è il destinatario della missiva, Marx, il quale in una nota diffusa ieri pomeriggio ha detto di sentire «ulteriore bisogno di discussione all'interno della Conferenza episcopale tedesca».
Certo, Ladaria e il Papa dicono di apprezzare gli sforzi ecumenici e li incoraggiano, ma nella sostanza «la questione dell'ammissione alla comunione di cristiani evangelici in matrimoni interconfessionali è un tema che tocca la fede della Chiesa e ha una rilevanza per la Chiesa universale». E quindi, come avevano evidenziato i sette vescovi tedeschi dissidenti, non può essere risolta a geometria variabile dalle singole conferenze episcopali, come invece volevano il cardinale Marx e il cardinale teologo Walter Kasper.
Il documento tedesco di fatto apriva alla intercomunione, rinviando a una interpretazione discutibile del concetto di «grave necessità» presente nel codice di diritto canonico al canone 844. Infatti, il punto 3 della lettera di Ladaria rileva: «Poiché in alcuni settori della Chiesa ci sono a questo riguardo delle questioni aperte, i competenti dicasteri della Santa Sede sono già stati incaricati di produrre una tempestiva chiarificazione di tali questioni a livello di Chiesa universale. In particolare appare opportuno lasciare al vescovo diocesano il giudizio sull'esistenza di una “grave necessità incombente"». Insomma, la questione va risolta al centro e non in periferia.
A motivare lo stop all'intercomunione c'è anche «una grande preoccupazione che nella Conferenza episcopale tedesca resti vivo lo spirito della collegialità episcopale». È chiaro, infatti, che il dissenso intorno a questa proposta ha sollevato forti malumori anche oltre i confini della Germania. È il caso del cardinale Eijk, del vescovo canadese Terrence Prendergast o del vescovo americano Charles Chaput di Philadelpia. «La proposta tedesca», ha scritto Chaput sulla rivista First things, «tronca il legame vitale tra la comunione e la confessione sacramentale» perché «non implica che i coniugi protestanti debbano andare a confessare i peccati gravi come preludio alla comunione». Un passo verso la «protestantizzazione della teologia cattolica dei sacramenti».
Sbaglia chi pensa che questa battaglia intorno alla comunione sia «una sciocchezza», ha tuonato il cardinale Woelki durante le recenti celebrazioni del Corpus Domini a Colonia. «Riguarda la vita e la morte. Riguarda la morte e la resurrezione. Riguarda la vita eterna, riguarda Cristo. Riguarda la Sua Chiesa e di conseguenza riguarda la sua essenza. E questo è il motivo per cui noi dobbiamo combattere per essa, e trovare la via giusta. Non semplicemente una via qualsiasi, ma la via del Signore». Anche il Papa deve essersi reso conto che l'intercomunione alla tedesca rappresenta un rischio enorme per l'unità della Chiesa e forse è meglio non farsi prendere dalla «foga di correre in avanti», come ha detto proprio ieri mattina alla delegazione della Chiesa luterana ricevuta in Vaticano.
Lorenzo Bertocchi
I valori dei cattolici possono tornare nell’agenda politica
Finalmente ci siamo. L'Italia ha un nuovo governo che oggi dovrebbe ottenere la fiducia in Senato. Il risultato delle urne non è certo un dogma assoluto, né tantomeno il sistema democratico-parlamentare è l'unica forma di governo possibile e legittima sia, malgrado si sia diffusa universalmente dopo la Seconda guerra mondiale. Anzi, diventa sempre più inevitabile sottolineare le criticità e i pericoli delle democrazie contemporanea, i cui unici valori fondativi sembrano condurre al discutibilissimo assioma per cui maggioranza uguale verità. Sembra però che il nuovo governo comunichi la volontà di servire il popolo e non di servirsi di esso come è capitato negli anni recenti, con governi tutti più o meno pilotati dall'alto, per lo più dall'Unione europea. D'altra parte, non è totalmente vero che il magistero recente della Chiesa abbia accettato senza problematizarla la logica del sistema democratico-popolare recente.
Tra le critiche più taglienti alla logica che sembra presiedere al sistema democratico attuale, vi sono le osservazioni di
Giovanni Paolo II nell'Evangelium vitae. Scrive il santo e pontefice: «Una delle caratteristiche proprie degli attuali attentati alla vita umana consiste nella tendenza a esigere una loro legittimazione giuridica, quasi fossero diritti che lo Stato, almeno a certe condizioni, deve riconoscere ai cittadini (…). Si pensa, altre volte, che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini vivano secondo un grado di moralità più elevato di quello che essi stessi riconoscono e condividono. Per questo la legge dovrebbe sempre esprimere l'opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini». Crediamo che il Papa polacco qui abbia posto le basi per una critica di fondo dell'attuale sistema democratico, che si fonda sul più contraddittorio dei relativismi etico.
Quindi, cosa chiede l'Italia cattolica, residuale quanto si vuole, al novello governo Conte-Salvini-Di Maio? Essenzialmente tre cose. Una è la fine del laicismo di Stato. Da troppo tempo la politica italiana ha favorito l'estromissione del cristianesimo dalla sua cultura pubblica e sociale. La sinistra, erede del comunismo ateo e il mondo dei media, figlio del libertarismo più immorale, si sono alleati in un patto laico di esproprio della tradizione cristiana, su cui però la nostra identità storica si fonda. La politica che i (veri) cattolici italiani si attendono dal nuovo esecutivo è una politica di rispetto, tutela e promozione delle radici cristiane. E visto che queste radici non sono qualcosa di astratto, è bene promuoverle in concreto. Iniziando per esempio con il favorire, o almeno non vietare, le recite di Natale e i presepi nelle scuole, i crocifissi nelle aule pubbliche, fino magari a una possibile limitazione dell'anticlericalismo in tv e negli spettacoli.
Dare a Dio non significa togliere agli uomini, ma proprio l'opposto, come insegna la storia dell'Occidente. Cancellare i falsi diritti, come l'inaudito eppur rivendicato, diritto alla bestemmia, significa promuovere i veri diritti. Ma promuovere i veri diritti (il diritto al lavoro, alla sicurezza, all'educazione dei minori e non alla loro depravazione), implica che i doveri siano anteposti ai diritti, come spiega bene il massimo filosofo cattolico tedesco in una recente pubblicazione (
Robert Spaemann, Tre lezioni sulla dignità della vita umana, Lindau, 2018). Secondo Spaemann, che rifiuta categoricamente l'aborto e l'eutanasia, la politica deve fondarsi sul riconoscimento della differenza assiologica tra qualcuno e qualcosa: e questo concetto è ciò che chiamiamo la dignità umana. Ma senza religiosità e al di fuori dell'etica naturale, questo concetto è incomprensibile.
La seconda richiesta è la difesa della famiglia naturale. Dal 1968 al 2018 tutte le politiche che sono state fatte in Italia hanno bersagliato la famiglia. A livello economico, a livello giuridico, a livello psicologico perfino. Così, il giovane ha imparato la lezione e ne ha concluso logicamente: allora meglio non sposarsi!
E come dargli torto? Tutte le leggi, le norme e i regolamenti degli ultimi decenni hanno avuto per effetto il calo drastico e irreversibile dei matrimoni, l'aumento spettacolare dei divorzi e delle separazioni, con oceani di dolore sottaciuti e negati dai negazionisti di professione. E anche un calo, forse unico in Europa, della fecondità e della percentuale di figli per donna. Urge correre ai ripari, prima che sia troppo tardi. Aiutare la famiglia stabile, e non qualunque apparente famiglia fondata sul sentimento transitorio e su amori deboli, come li definì
Benedetto XVI. La famiglia italiana, la famiglia di tradizione cristiana deve essere sostenuta (anche a livello materiale), promossa nelle istanze che contano. Il suo ruolo educativo deve essere riconosciuto come primario rispetto a tutte le altre agenzie educative, inclusa la scuola o la parrocchia.
Terza richiesta, la sicurezza sociale, specie nel contrasto all'immigrazione di massa. Non c'è pace, non c'è vivibilità sociale, né serenità senza la sicurezza delle strade e del domicilio. Dovrebbe essere la cosa più banale di questo mondo, ma le forze di sinistra hanno detto che la sicurezza è un tema di destra e così lo hanno più o meno demonizzato. Bisognerebbe accettare di andare in giro sapendo che il borseggio, il furto o lo stupro siano cose normali in questo nostro Paese laico e moderno… Ma che laicità e modernità sono quelle che ci fa accettare la violenza come necessità dei tempi?
Fabrizio Cannone
aticano.
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Riduci
Il prefetto della Dottrina della fede stoppa «con l'esplicito consenso del Pontefice» la proposta votata dai vescovi tedeschi Niente eucaristia ai coniugi delle chiese riformate. «Non corriamo in avanti», ha detto Papa Bergoglio ricevendo i luterani.La lezione di Karol Wojtyla sui limiti delle democrazie liberali è più attuale che mai. Tre spunti utili per il nuovo governo. «Il Santo Padre è perciò giunto alla conclusione che il documento non è maturo per essere pubblicato». Più che una frenata è uno stop vero e proprio quello che è arrivato ieri al cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi, con una lettera firmata dal prefetto dell'ex Sant'Uffizio, monsignor Ladaria Ferrer. «Con l'esplicito consenso del Papa», Ladaria ha fatto pervenire ai vescovi della Germania una lettera in tedesco datata 25 maggio, dopo averne discusso il giorno prima la stesura definitiva con Francesco. Il caso riguarda il documento che la Conferenza episcopale tedesca aveva approvato a maggioranza lo scorso febbraio a proposito dell'accesso all'eucaristia, in certi casi, per i coniugi protestanti di fedeli cattolici. In gergo tecnico si parla di intercomunione, un argomento affrontato in modo talmente controverso che il 22 marzo sette vescovi tedeschi, tra cui il cardinale di Colonia Rainer Maria Woelki, avevano scritto al Vaticano per manifestare il loro dissenso dai confratelli. Il 3 maggio erano stati convocati a Roma sia il cardinale Marx che Woelki e altri prelati dei rispettivi «partiti», ma sembrava che il Papa volesse non rispondere ai dubia tedeschi e lasciare che se la sbrigassero da soli in Germania. Un atteggiamento che ha sollevato dure critiche da parte di alcuni cardinali come Walter Brandmüller, l'ex prefetto alla Dottrina della fede Gerhard Müller e il cardinale Willem Eijk, arcivescovo di Utrecht, che dalla sua Olanda si è espresso con molta franchezza. «La prassi della Chiesa cattolica, fondata sulla sua fede», ha dichiarato Eijk, «non si cambia statisticamente quando una maggioranza di una Conferenza episcopale vota in favore di questo». Inaspettatamente ora anche papa Bergoglio ora sembra essersene convinto. E il primo a doversi dichiarare «sorpreso» di questo è il destinatario della missiva, Marx, il quale in una nota diffusa ieri pomeriggio ha detto di sentire «ulteriore bisogno di discussione all'interno della Conferenza episcopale tedesca». Certo, Ladaria e il Papa dicono di apprezzare gli sforzi ecumenici e li incoraggiano, ma nella sostanza «la questione dell'ammissione alla comunione di cristiani evangelici in matrimoni interconfessionali è un tema che tocca la fede della Chiesa e ha una rilevanza per la Chiesa universale». E quindi, come avevano evidenziato i sette vescovi tedeschi dissidenti, non può essere risolta a geometria variabile dalle singole conferenze episcopali, come invece volevano il cardinale Marx e il cardinale teologo Walter Kasper. Il documento tedesco di fatto apriva alla intercomunione, rinviando a una interpretazione discutibile del concetto di «grave necessità» presente nel codice di diritto canonico al canone 844. Infatti, il punto 3 della lettera di Ladaria rileva: «Poiché in alcuni settori della Chiesa ci sono a questo riguardo delle questioni aperte, i competenti dicasteri della Santa Sede sono già stati incaricati di produrre una tempestiva chiarificazione di tali questioni a livello di Chiesa universale. In particolare appare opportuno lasciare al vescovo diocesano il giudizio sull'esistenza di una “grave necessità incombente"». Insomma, la questione va risolta al centro e non in periferia. A motivare lo stop all'intercomunione c'è anche «una grande preoccupazione che nella Conferenza episcopale tedesca resti vivo lo spirito della collegialità episcopale». È chiaro, infatti, che il dissenso intorno a questa proposta ha sollevato forti malumori anche oltre i confini della Germania. È il caso del cardinale Eijk, del vescovo canadese Terrence Prendergast o del vescovo americano Charles Chaput di Philadelpia. «La proposta tedesca», ha scritto Chaput sulla rivista First things, «tronca il legame vitale tra la comunione e la confessione sacramentale» perché «non implica che i coniugi protestanti debbano andare a confessare i peccati gravi come preludio alla comunione». Un passo verso la «protestantizzazione della teologia cattolica dei sacramenti». Sbaglia chi pensa che questa battaglia intorno alla comunione sia «una sciocchezza», ha tuonato il cardinale Woelki durante le recenti celebrazioni del Corpus Domini a Colonia. «Riguarda la vita e la morte. Riguarda la morte e la resurrezione. Riguarda la vita eterna, riguarda Cristo. Riguarda la Sua Chiesa e di conseguenza riguarda la sua essenza. E questo è il motivo per cui noi dobbiamo combattere per essa, e trovare la via giusta. Non semplicemente una via qualsiasi, ma la via del Signore». Anche il Papa deve essersi reso conto che l'intercomunione alla tedesca rappresenta un rischio enorme per l'unità della Chiesa e forse è meglio non farsi prendere dalla «foga di correre in avanti», come ha detto proprio ieri mattina alla delegazione della Chiesa luterana ricevuta in Vaticano. Lorenzo Bertocchi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-papa-non-da-la-comunione-ai-protestanti-2575172629.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-valori-dei-cattolici-possono-tornare-nellagenda-politica" data-post-id="2575172629" data-published-at="1765393567" data-use-pagination="False"> I valori dei cattolici possono tornare nell’agenda politica Finalmente ci siamo. L'Italia ha un nuovo governo che oggi dovrebbe ottenere la fiducia in Senato. Il risultato delle urne non è certo un dogma assoluto, né tantomeno il sistema democratico-parlamentare è l'unica forma di governo possibile e legittima sia, malgrado si sia diffusa universalmente dopo la Seconda guerra mondiale. Anzi, diventa sempre più inevitabile sottolineare le criticità e i pericoli delle democrazie contemporanea, i cui unici valori fondativi sembrano condurre al discutibilissimo assioma per cui maggioranza uguale verità. Sembra però che il nuovo governo comunichi la volontà di servire il popolo e non di servirsi di esso come è capitato negli anni recenti, con governi tutti più o meno pilotati dall'alto, per lo più dall'Unione europea. D'altra parte, non è totalmente vero che il magistero recente della Chiesa abbia accettato senza problematizarla la logica del sistema democratico-popolare recente. Tra le critiche più taglienti alla logica che sembra presiedere al sistema democratico attuale, vi sono le osservazioni di Giovanni Paolo II nell'Evangelium vitae. Scrive il santo e pontefice: «Una delle caratteristiche proprie degli attuali attentati alla vita umana consiste nella tendenza a esigere una loro legittimazione giuridica, quasi fossero diritti che lo Stato, almeno a certe condizioni, deve riconoscere ai cittadini (…). Si pensa, altre volte, che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini vivano secondo un grado di moralità più elevato di quello che essi stessi riconoscono e condividono. Per questo la legge dovrebbe sempre esprimere l'opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini». Crediamo che il Papa polacco qui abbia posto le basi per una critica di fondo dell'attuale sistema democratico, che si fonda sul più contraddittorio dei relativismi etico. Quindi, cosa chiede l'Italia cattolica, residuale quanto si vuole, al novello governo Conte-Salvini-Di Maio? Essenzialmente tre cose. Una è la fine del laicismo di Stato. Da troppo tempo la politica italiana ha favorito l'estromissione del cristianesimo dalla sua cultura pubblica e sociale. La sinistra, erede del comunismo ateo e il mondo dei media, figlio del libertarismo più immorale, si sono alleati in un patto laico di esproprio della tradizione cristiana, su cui però la nostra identità storica si fonda. La politica che i (veri) cattolici italiani si attendono dal nuovo esecutivo è una politica di rispetto, tutela e promozione delle radici cristiane. E visto che queste radici non sono qualcosa di astratto, è bene promuoverle in concreto. Iniziando per esempio con il favorire, o almeno non vietare, le recite di Natale e i presepi nelle scuole, i crocifissi nelle aule pubbliche, fino magari a una possibile limitazione dell'anticlericalismo in tv e negli spettacoli. Dare a Dio non significa togliere agli uomini, ma proprio l'opposto, come insegna la storia dell'Occidente. Cancellare i falsi diritti, come l'inaudito eppur rivendicato, diritto alla bestemmia, significa promuovere i veri diritti. Ma promuovere i veri diritti (il diritto al lavoro, alla sicurezza, all'educazione dei minori e non alla loro depravazione), implica che i doveri siano anteposti ai diritti, come spiega bene il massimo filosofo cattolico tedesco in una recente pubblicazione ( Robert Spaemann, Tre lezioni sulla dignità della vita umana, Lindau, 2018). Secondo Spaemann, che rifiuta categoricamente l'aborto e l'eutanasia, la politica deve fondarsi sul riconoscimento della differenza assiologica tra qualcuno e qualcosa: e questo concetto è ciò che chiamiamo la dignità umana. Ma senza religiosità e al di fuori dell'etica naturale, questo concetto è incomprensibile. La seconda richiesta è la difesa della famiglia naturale. Dal 1968 al 2018 tutte le politiche che sono state fatte in Italia hanno bersagliato la famiglia. A livello economico, a livello giuridico, a livello psicologico perfino. Così, il giovane ha imparato la lezione e ne ha concluso logicamente: allora meglio non sposarsi! E come dargli torto? Tutte le leggi, le norme e i regolamenti degli ultimi decenni hanno avuto per effetto il calo drastico e irreversibile dei matrimoni, l'aumento spettacolare dei divorzi e delle separazioni, con oceani di dolore sottaciuti e negati dai negazionisti di professione. E anche un calo, forse unico in Europa, della fecondità e della percentuale di figli per donna. Urge correre ai ripari, prima che sia troppo tardi. Aiutare la famiglia stabile, e non qualunque apparente famiglia fondata sul sentimento transitorio e su amori deboli, come li definì Benedetto XVI. La famiglia italiana, la famiglia di tradizione cristiana deve essere sostenuta (anche a livello materiale), promossa nelle istanze che contano. Il suo ruolo educativo deve essere riconosciuto come primario rispetto a tutte le altre agenzie educative, inclusa la scuola o la parrocchia. Terza richiesta, la sicurezza sociale, specie nel contrasto all'immigrazione di massa. Non c'è pace, non c'è vivibilità sociale, né serenità senza la sicurezza delle strade e del domicilio. Dovrebbe essere la cosa più banale di questo mondo, ma le forze di sinistra hanno detto che la sicurezza è un tema di destra e così lo hanno più o meno demonizzato. Bisognerebbe accettare di andare in giro sapendo che il borseggio, il furto o lo stupro siano cose normali in questo nostro Paese laico e moderno… Ma che laicità e modernità sono quelle che ci fa accettare la violenza come necessità dei tempi? Fabrizio Cannone aticano.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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