2019-07-03
Il muro ha funzionato. Merkel costretta a rinunciare ai suoi
Christine Lagarde alla Bce, Ursula von der Leyen alla Commissione. Giuseppe Conte: «Avremo una vicepresidenza, voglio il posto alla Concorrenza».È fatta. Alla fine, accordo sul nuovo organigramma Ue, dopo giorni di impasse e la bocciatura della prima soluzione, quella centrata su Frans Timmermans alla Commissione: ipotesi abbattuta dai no dell'Italia, dei Paesi di Visegrád e complessivamente di 11 membri Ue. A meno di ulteriori colpi di scena, gli incarichi di punta saranno così ripartiti: alla guida della Commissione Ursula von der Leyen (tedesca, Ppe, ministro della Difesa di Angela Merkel); sotto di lei, tre vice: Timmermans, la liberale danese Margrethe Vestager, e lo slovacco Maros Sefcovic; al vertice del Consiglio, il belga Charles Michel; al posto di Federica Mogherini, il socialista spagnolo Josep Borrell; alla Bce, la francese Christine Lagarde, già capo del Fmi. E infine, per la presidenza dell'Europarlamento, una divisione della legislatura in due, come tra Martin Schulz e Antonio Tajani. Ma stavolta ci sarebbero più pretendenti: il grande sconfitto di questo giro di nomine, il Ppe tedesco Manfred Weber, il socialista bulgaro Sergei Stanishev (o l'italiano David Sassoli), il solito belga Guy Verhofstadt, la verde tedesca Ska Keller. Donald Tusk ha anche annunciato che all'Italia andrà una vicepresidenza alla Commissione, anche se non è ancora stato reso noto quale. Anche Giuseppe Conte ha annunciato: «L'Italia ha potuto rivendicare la garanzia di un commissario di alto rilievo economico (alla concorrenza, ndr) e di una vicepresidenza» della Commissione, «questa garanzia io ieri non l'avevo». Poi ha aggiunto: «L'Italia potrà orientare la nuova politica economica e sociale dell'Ue. Era quello che avevo richiesto: guardiamo ai profili e alle figure».«A prescindere dai nomi, l'importante è che in Europa cambino le regole, a partire da immigrazione, taglio delle tasse e crescita economica», ha commentato Matteo Salvini, mentre Luigi Di Maio ha detto: «Ora sarà fondamentale vedere quale ruolo sarà assegnato all'Italia che vanta un grandissimo credito».Ma su tutto grava l'incognita del Pse, inferocito per il siluramento di Timmermans. Non è un dettaglio, perché la Commissione deve essere approvata in Parlamento. E sarebbe divertente vedere i sovranisti nella maggioranza e i socialisti fuori. La vera sorpresa riguarda la personalità che succederà a Jean-Claude Juncker, e cioè la tedesca von der Leyen, la cui candidatura è decollata quando si è iniziato a parlare di una donna. In un primo momento, sembrava poterla insidiare la bulgara Kristalina Georgieva, fautrice di un riequilibrio rispetto allo strapotere francotedesco, ma alla fine si è imposta la tedesca. La sua biografia è segnata dalla vicinanza alla Merkel, di cui è stata ministro dal 2005 (Affari sociali, poi Lavoro, infine Difesa). La sua storia offre molti spunti: evangelica, sette figli, proveniente da una famiglia agiata e moglie di un uomo ancora più ricco. Nel suo Dna c'è l'Ue: pur tedesca, è infatti nata in Belgio, ed è figlia di un ex direttore generale della Commissione. Se questo quadro sarà confermato, a una prima analisi, si possono mettere sul tavolo tre elementi positivi e altrettanti negativi. Il primo elemento positivo è che Germania e Francia, pur incassando le poltrone principali, sono dovute venire a patti con Visegrád e l'Italia. Tanto che la Germania è stato l'unico Paese ad astenersi sulla von der Leyen. Quanto al gruppo di Visegrád, è stato protagonista assoluto. Il portavoce di Viktor Orbán, Zoltan Kovacs, ha scandito su Twitter il successo di una linea negoziale: «I quattro di Visegrád, uniti, hanno ancora dimostrato la loro forza crescente e influenza». Morale: tutte le balle lette da mesi sul presunto isolamento dei sovranisti, sull'Italia messa in un angolo, su Orbán impresentabile, sono state spazzate via. Al contrario, Italia e Visegrád hanno mostrato di poter costruire ben più che una minoranza di blocco. Il secondo elemento positivo, connesso al primo, è il logoramento di Emmanuel Macron e Angela Merkel. Il primo incassa il vertice Bce (ed era prevedibile), ma, come un Re Mida al contrario, ha portato sfortuna a tutte le sue candidature di partenza: da Michel Barnier a Margrethe Vestager. Quanto alla Merkel, ha salvato la faccia con la candidatura della von der Leyen, ma tra problemi di salute, sconfitte elettorali in patria e una conduzione balbettante di questo negoziato, appare al passo d'addio. Il terzo elemento positivo è che la von der Leyen è una sicura atlantista, e la sua nomina è una mano tesa a Donald Trump. Va letto così anche il sostegno di Visegrád. Va ricordato che quando nei mesi scorsi Macron rilanciò il progetto di esercito Ue, con una provocatoria curvatura anti Usa, fu la von der Leyen la prima a stopparlo: «Non si tratta di un progetto immediato». Veniamo agli aspetti negativi. Primo: non si tratta di personalità con uno standing elevato, ma in qualche caso di figure sconosciute fuori dai loro Paesi. Secondo (ed è un precedente inquietante): la von der Leyen fu scatenata in occasione della crisi greca, scavalcando in durezza perfino Wolfgang Schäuble, chiedendo ad Atene ulteriori garanzie (oro e altre proprietà pubbliche). Insomma, non le sarà facile riposizionarsi come nemica dell'austerity. Terzo: il loro profilo è quasi per tutti di tipo «eurolirico», cioè di sostenitori di una maggiore integrazione Ue. A volte, la politica può produrre grandi cambiamenti: e sarebbe una sorpresa interessante se i neo nominati, una volta votati da Visegrád e dall'Italia, si facessero interpreti di scelte più rispettose delle autonomie nazionali.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
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