2021-04-06
Il ministro «giovane» non può gestire il dramma della droga
Affidare le politiche antistupefacenti a Fabiana Dadone, favorevole alla cannabis legale, dimostra che il governo non fa sul serio.Considerata l'ossessione per la salute fisica che la nostra società ha sviluppato da qualche anno a questa parte è che è definitivamente deflagrata con la pandemia, dovremmo considerare il consumo di droga come una emergenza nazionale. La relazione annuale 2020 della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa) riportava dati raccapriccianti: aumento del 127% del consumo di cocaina, aumento delle morti da overdose per il terzo anno consecutivo (crescita dell'11% rispetto al 2018), esplosione nel consumo delle nuove droghe sintetiche. Eppure, sembra che le nostre istituzioni continuino a considerare il problema in maniera quasi folkloristica. Quando in tv o sui giornali qualcuno prova a porre il tema della lotta alla droga viene trattato, nella migliore delle ipotesi, come un bigotto reazionario o, nella peggiore, come un poveretto che tenta di raccogliere l'acqua con un cucchiaio traforato. Il fatto che la pentastellata Fabiana Dadone, ministro alle Politiche giovanili, abbia ricevuto le deleghe all'antidroga è la dimostrazione plastica di come l'argomento venga preso poco sul serio. Lo si riduce, con enorme miopia, a una faccenda che riguarda i ragazzini, come se si trattasse di occuparsi di qualche pischello che si fa le canne nel cortile della scuola. E infatti viene affidata la pratica al ministro «gggiovane», noto ai più per una foto diffusa online in cui esibiva una maglietta dei Nirvana, jeans e un paio di scarpe rosse col tacco parcheggiate sulla scrivania, come a dire: sono ribelle ma anche sexy, visto? Soprattutto, la Dadone è una fiera sostenitrice dell'antiproibizionismo, e ha sottoscritto ben due proposte di legge (2014 e 2015) che prevedevano la «legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati». Ovvio: liberissimo il ministro di fornire di sé l'immagine che preferisce. C'è solo un piccolo problema, e cioè che il consumo di droghe non è né una faccenda per teenager che si affumicano d'erba né un grottesco derby fra proibizionisti e antiproibizionisti, laddove questi ultimi sarebbero illuminati e tolleranti mentre i primi sarebbero «oscurantisti», come ha detto un esponente dei Cinquestelle nei giorni scorsi. Sempre secondo i dati ufficiali, «i consumatori di cannabis appartengono per il 25,3% alla fascia di età compresa tra i 20 e i 24 anni; per il 19,92% a quella dei maggiori di 40 anni e per il 16,80% a quella compresa tra i 25 e i 29 anni. I più giovani, i minorenni, rappresentano il 6,33% del totale». Insomma, il consumo è estremamente diffuso e riguarda una fetta piuttosto ampia della popolazione. Purtroppo, poi, ci sono le altre droghe. La cocaina, i cui sequestri sono triplicati, e l'eroina. Roba che ammazza centinaia di persone ogni anno, ma di cui non si parla praticamente mai. Facciamo un esempio? Nei giorni scorsi si è scritto molto di Maddalena Urbani, figlia di Carlo, medico che ha sacrificato la vita per il suo lavoro sulla Sars. È morta per un miscuglio di droghe e psicofarmaci, e tutti i commentatori si sono concentrati sulla sua situazione psicologica, provando - con una certa superficialità - a scandagliarne i luoghi oscuri e le sofferenze. La droga, in questo mare di retorica, è rimasta sul fondo. Maddalena è morta in casa di uno spacciatore siriano che si trovava ai domiciliari eppure aveva ancora in casa dosi di eroina. Certo, questa ragazza avrà avuto le sue ferite da curare con le sostanze, ma ai fini del suo decesso conta anche - e parecchio - la facilità con cui quelle sostanze se l'è procurate. Un discorso analogo si potrebbe imbastire anche per il caso di Pamela Mastropietro, o per quello di Desirée Mariottini. Queste storie capaci di spaccare il cuore dimostrano che il dramma degli stupefacenti va ben oltre le discussioni da centro sociale sulla legalizzazione della cannabis. Se ci si vuole occupare seriamente del contrasto alla droga serve una azione ad ampio spettro, che consideri la questione sotto tutti i punti di vista. Bisogna considerare, ad esempio, che oltre un terzo degli arrestati per spaccio sono stranieri, dunque l'immigrazione clandestina ha un enorme peso nell'intera faccenda. Bisogna considerare la penetrazione delle mafie straniere sul nostro territorio, a partire da quella nigeriana che solo un paio di anni fa ha provocato una strage con la famigerata eroina gialla. Come se non bastasse, bisogna tenere conto del modo in cui il territorio viene presidiato. Quanta della solerzia impiegata per individuare gli italiani insofferenti alle restrizioni sanitarie è stata utilizzata negli ultimi anni per combattere lo spaccio? Vero: le forze dell'ordine non hanno mai smesso di svolgere con impegno il proprio compito, ma quali governi hanno realmente posto il contrasto agli stupefacenti in cima alle priorità? Ora abbiamo raggiunto l'apice dell'assurdità, con la delega alle politiche antidroga affidata alla Dadone. «Per anni», ha giustamente notato Giorgia Meloni, «Fratelli d'Italia ha chiesto l'assegnazione della delega perché era scandaloso che nessuno si occupasse a tempo pieno dell'emergenza droga ma è grave e deludente che per un compito così delicato come la lotta alle dipendenze sia stato scelto un esponente politico firmatario di proposte per legalizzare la cannabis».Oltre alla questione dell'antiproibizionismo, già di per sé gravissima, viene da chiedersi se la ministra «rock» abbia le competenze (e, soprattutto, la volontà politica) per affrontare il problema droga in tutta la sua complessità. Fino all'altro giorno si è occupata di Pubblica amministrazione, di tecnologie digitali e di smart working. Non ci risulta che abbia posizioni particolarmente severe sull'immigrazione irregolare. E allora perché affidarle un incarico così delicato? La risposta, in realtà, la sappiamo: perché della lotta alla droga non frega nulla a nessuno. Molto meglio inseguire e multare chi si abbassa la mascherina in spiaggia. Quello sì che è utile.