2018-09-18
Il ministero paga il film che celebra l’attivista gay teorico della pedofilia
Gli anni amari, finanziato anche da due regioni e prodotto dalla Rai, racconta la vita di Mario Mieli. Icona del mondo arcobaleno, praticava la coprofagia e difendeva i rapporti sessuali con i bambini. La Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, lo ha annunciato con la fanfara: «Il film ha il temperamento ribelle dell'autore, ma anche i crismi della produzione ufficiale con la Rai, Pavarotti international, le commissioni ministeriali». In effetti, alla realizzazione di Gli anni amari, regia di Andrea Adriatico, contribuiscono un bel po' di istituzioni pubbliche. Rai cinema, prima di tutto, che produce l'opera assieme a Cinemare. Anche il ministero dei Beni e delle attività culturali ha dato una bella mano. Nel 2017, la direzione generale per il cinema ha stabilito che Gli anni amari meritasse di rientrare fra i lungometraggi «di particolare qualità artistica e film difficili con risorse finanziarie modeste». Dalle casse dello Stato è arrivato un finanziamento da 150.000 euro, non male per un'opera così, diciamo, «di nicchia». Altro denaro pubblico è giunto dalla Regione Emilia Romagna, che ha gentilmente erogato 105.374 euro di fondi. In aggiunta, va considerato il contributo della Apulia film commission, che ha attinto per l'occasione al Fondo europeo di sviluppo regionale.Tale interventismo istituzionale sconcerta, ma in fondo non stupisce. Perché il film di cui stiamo parlando è dedicato a Mario Mieli, uno dei primi e più celebri attivisti Lgbti del nostro Paese, a cui non per nulla è dedicato il circolo arcobaleno romano noto per aver portato in tribunale Silvana De Mari.A impersonarlo sullo schermo sarà il giovane Nicola Di Benedetto, accompagnato da attori come Antonio Catania, Sandra Ceccarelli, Lorenzo Balducci e la scrittrice Grazia Verasani, che firma anche la sceneggiatura.Benché la sua figura non sia certo nota alle masse, si può dire che il pensiero di Mieli abbia trionfato. Malgrado egli venga ancora presentato come una sorta di «maledetto» - un «ribelle» appunto - le idee che esprimeva nei suoi scritti e nelle sue performance pubbliche oggi sono divenute di largo consumo, innervano il cosiddetto «mainstream» e influenzano il senso comune. Non a caso, il nome di Mario Mieli, da qualche mese, si riaffaccia prepotentemente sulla scena. Gli sono stati dedicati spettacoli teatrali, mostre, adesso il film. Alla fine del 2017, poi, Feltrinelli ha ristampato il suo libro più celebre, Elementi di critica omosessuale. Si tratta della tesi di laurea in filosofia morale di Mieli, stampata la prima volta da Einaudi nel 1977. Nel volume è condensato praticamente tutto il Mieli-pensiero, in particolare il ragionamento sulla transessualità.«L'Eros libero sarà transessuale», si legge, «anche perché la liberazione dell'omosessualità e l'abolizione del repressivo primato eterosessuale-genitale avranno favorito e determinato la disinibizione completa e la natura ermafrodita profonda del desiderio, che è transessuale».Poco dopo, l'attivista spiegava: «La scoperta e la progressiva liberazione della transessualità del soggetto porteranno alla negazione della polarità tra i sessi e al conseguimento utopico del nuovo uomo-donna o assai più probabilmente donna-uomo». In effetti, ciò che Mieli scriveva più di quarant'anni fa si sta concretizzando. Oggi la «sessualità fluida» è di gran moda, il trans è una sorta di emblema della globalizzazione che fonde le identità e abbatte i confini (anche tra i sessi).Già così risulta parecchio discutibile il fatto che la Rai, il ministero dei Beni culturali e alcuni enti locali finanzino un film celebrativo come Gli anni amari. Il problema, però, è che Mario Mieli non si è affatto fermato qui. I suoi scritti vanno molto oltre, rivelandosi a tratti raccapriccianti. Stiamo parlando delle pagine in cui l'autore si occupa della pedofilia. Sempre in Elementi di critica omosessuale, Mieli scrive: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino […] l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro». Poi prosegue: «Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. […]. La pederastia […] “è una freccia di libido scagliata contro il feto"».Quando parla di «pederestia», Mieli si riferisce alla pedofilia. «Per pederastia», specifica in una nota a margine, «intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi». Si parli pure di provocazione, si ammanti tutto di intellettualismo, ma il punto è uno soltanto: Rai, ministero e Regioni contribuiscono alla produzione di un film che incensa un difensore della pedofilia.Del resto, sulla posizione del regista Andrea Adriatico non ci possono essere dubbi. Gli anni amari, dice in un comunicato stampa, è «la rievocazione di un necessario movimento per i diritti, come quello omosessuale, che doveva inventare forme nuove per farsi riconoscere. Ed è soprattutto il ritratto di un ragazzo la cui genialità, la cui libertà interiore e la cui gioia di vivere erano troppo intense per il mondo che lo circondava». Secondo Adriatico, Mario Mieli «era un genio, che ci ha sedotto, come riusciva a sedurre tutti coloro con cui entrava in relazione. Ma era anche un ragazzo immerso in una profonda solitudine, quella in cui aveva costruito la sua bolla di sopravvivenza e quella in cui era relegato da chi lo considerava troppo snob o troppo scomodo».Più che altro, Mieli era un personaggio problematico. Come ha scritto Federico Sardo, egli nacque «a Milano nel 1952 da una famiglia ebraica estremamente borghese e benestante. Lo scontro con la sua famiglia caratterizzerà tutta la sua vita, Mieli arriverà addirittura - così racconta ne Il risveglio dei faraoni - a cercare di uccidere il padre, avvelenandolo, più volte». Non per nulla, la famiglia cercò in tutti i modi di ostacolare l'uscita di quel romanzo, uscito soltanto nel 1994 e presto ritirato. Negli anni Settanta, il rampollo della buona famiglia frequenta la cosiddetta «fossa dei leoni», luogo di prostituzione milanese nei pressi del Parco Sempione. «Di giorno andavo a scuola truccato, partecipavo alle occupazioni, di notte andavo a battere sotto il ponte della “Fossa", che è un po' il cuore di Milano e quando piove molto sembra Venezia», raccontava Mario medesimo. Pochi anni dopo, Mieli volò a Londra, e fu lì che elaborò tante delle sue idee. Sempre lì fu arrestato: nudo e alterato dalle droghe aveva cercato di abbordare un poliziotto a Heathrow. Finì in una clinica psichiatrica, cosa che gli ricapiterà anche dopo il ritorno in Italia. Tra un'intemperanza e l'altra, Mieli è stato tra i fondatori del Fuori, il «Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano», da cui prenderà le distanze quando il Fronte si legherà al partito radicale. A lungo ha frequentato la sinistra extraparlamentare, distinguendosi - tra il 1976 e il 1977 - per alcuni exploit pubblici. «Alla fine di una manifestazione bolognese contro la repressione», ricostruisce Federico Sardo, «sale sul palco sottraendo il microfono a Dario Fo e invitando i compagni a non stare lì ad ascoltare il solito monologo dell'attore, ma ad andare a contestare il vescovo in piazza Maggiore». In quella e in altre occasioni, Mieli non verrà trattato benissimo dai compagni, anzi. Dopo aver rischiato il linciaggio in alcune occasioni, si allontanerà anche dagli extraparlamentari. I quali non gradivano troppo il suo trucco, gli abiti femminili, l'estetica transessuale e il corollario di slogan tipo «Froce, sì/ma contro la Dc».Le sue attività intellettuali proseguirono, scrisse tra le altre cose un film che fu prodotto dalla Rai e collaborò con la tv pubblica. Ma la sua esistenza, dalla metà degli anni Settanta in poi, prese una pessima piega. Il sito del film Gli anni amari offre una sintetica ricostruzione: «Convinto di avere ascendenze dai faraoni d'Egitto e interessato allo studio dell'alchimia, si addentra sempre più in percorsi esoterici, che lo portano tra l'altro alla teorizzazione e alla pratica della coprofagia (anche in happening pubblici), come una delle strade per la liberazione dell'uomo e il raggiungimento dell'età d'oro per il mondo». È evidente che qualcosa non va. E infatti, il 12 marzo del 1983, Mario Mieli, appena trentenne, infila la testa nel forno e si ammazza.È una storia nera, la sua, fatta senz'altro di solitudine e pure di dolore. Una vicenda che si può senz'altro raccontare, come no: nessuno pretende che cali il silenzio. Ma spendere centinaia di migliaia di euro pubblici per un film che descrive come «un genio» un teorico della pedofilia e della coprofagia, beh, francamente lo eviteremmo volentieri.