2019-10-29
Il metodo Trump è folle ma funziona. E ora il Medio Oriente cambia volto
L'eliminazione di Al Baghdadi è un successo del leader Usa che fa contenti curdi, siriani e turchi. I media criticano la versione della Casa Bianca, ma nessuno fiatò sulla oscura uccisione di Osama Bin Laden sotto Barack Obama.L'operazione che ha portato alla morte di Abu Bakr Al Baghdadi evidenzia alcuni aspetti interessanti della strategia internazionale di Donald Trump. Il presidente americano è stato a più riprese criticato nelle ultime settimane per la sua linea di disimpegno dal Medio Oriente, oltre che per aver abbandonato i curdi davanti all'invasione della Turchia nel Nordest della Siria. Nella fattispecie, è stato detto che la Casa Bianca avrebbe compiuto un tradimento, per calcoli di natura biecamente elettorale. Ora, che Trump voglia ritirarsi dal Medio Oriente (anche) per mantenere la sua promessa di porre un freno alle cosiddette «guerre infinite», è senz'altro vero. Il punto è che la situazione risulta forse un po' più complicata di come spesso viene dipinta. Il raid statunitense contro il califfo ha avuto infatti innanzitutto la capacità di mettere, per la prima volta, d'accordo le principali parti in lizza nel complicatissimo scacchiere siriano. In particolare, turchi e curdi hanno entrambi salutato con soddisfazione la scomparsa di Baghdadi. Se il ministero della Difesa di Ankara ha sostenuto di aver fornito informazioni agli Stati Uniti per condurre l'intervento, il leader curdo, Mazloum Abdi, ha parlato di «un'operazione storica e di successo grazie a un lavoro congiunto di intelligence con gli Stati Uniti». Lo stesso braccio destro di Baghdadi, Abu Hassan al Muhaji, è stato ucciso da un'operazione coordinata tra l'intelligence delle Forze democratiche siriane e le forze armate americane. Insomma, la morte del califfo sembrerebbe aver posto le basi atte a predisporre un terreno comune per un eventuale dialogo tra turchi e curdi. Un dialogo magari vacillante e ancora lontano, ma va comunque registrato che - almeno in questo frangente - i due antichi avversari si trovano dalla stessa parte della barricata. Se i curdi risultano da sempre acerrimi nemici dell'Isis (contro cui hanno combattuto per anni, aiutati dagli americani), Ankara presenta alle sue spalle una storia ben diversa. Per lungo tempo, la Turchia ha assunto una posizione particolarmente ambigua nei confronti dello Stato islamico, senza poi dimenticare - più in generale - i suoi legami con alcune controverse galassie dell'Islam politico, a partire da quei Fratelli musulmani che Washington avrebbe intenzione di inserire nella lista delle organizzazioni terroristiche. Una delle priorità dell'amministrazione Trump in termini di strategia per la sicurezza nazionale è sempre stata quella di contrastare l'islamismo e, conseguentemente, gli stessi Fratelli musulmani. Questo ha portato la Casa Bianca a stringere saldi legami con l'Egitto e l'Arabia Saudita, suscitando così le ire di Erdogan. Adesso, dopo l'operazione militare Fonte di pace, il Sultano sembra aver cambiato linea. E, dietro questo mutamento, potrebbero trovarsi due «occulti» registi: Trump e Vladimir Putin. Il primo potrebbe aver garantito a Erdogan un ammorbidimento militare dal Nordest della Siria, in cambio di un deciso appoggio alla lotta contro l'islamismo. Il secondo potrebbe aver posto il problema di Idlib: l'ultima roccaforte dei ribelli siriani, ricca di cellule jihadiste (soprattutto qaediste) e militarmente spalleggiata proprio dalla Turchia. Non è un mistero che Putin e Bashar Al Assad vogliano mettere le mani sulla provincia ribelle. E, in questo senso, è probabile che lo Zar abbia concesso al Sultano l'area del Nordest siriano, in cambio proprio di Idlib. Non sarà del resto un caso che Baghdadi si fosse nascosto proprio in questa regione ed Erdogan, in una simile ottica, potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale nella sua individuazione. Insomma, non è affatto da escludere che gli sforzi congiunti di Trump e Putin (pur mossi da differenti obiettivi) possano avere alla fine spinto il Sultano a fare una scelta di campo nettamente avversa al jihadismo. Il raid contro Baghdadi sembra confermarlo. Bisognerà poi ovviamente vedere se Erdogan avrà intenzione di restare fedele a questa linea. Da tutto ciò, si evince come il disimpegno militare di Trump dalla Siria non si configuri come mero isolazionismo. E, del resto, lo stesso vicepresidente americano, Mike Pence, ha recentemente ribadito il coinvolgimento politico e diplomatico statunitense nell'area. Senza comunque dimenticare che il presidente abbia annunciato di voler lasciare un numero esiguo di soldati sul territorio siriano, per difendere i giacimenti petroliferi da eventuali attacchi jihadisti. Nonostante la morte di Baghdadi sia stata calorosamente salutata dall'intero mondo politico statunitense, c'è chi mette in discussione il resoconto fornito da Trump sugli ultimi momenti di vita del terrorista. Secondo il Guardian, è possibile che l'inquilino della Casa Bianca abbia drammatizzato troppo l'evento: le immagini viste da Trump nella situation room - sostiene - sarebbero infatti state senza sonoro e il presidente non avrebbe quindi potuto ascoltare Baghdadi urlare e piangere, come da lui raccontato. Anche ammettendo che Trump possa aver enfatizzato la scena, bisogna forse tener conto di due considerazioni. La prima: il suo intento era quello di sferrare un duro colpo simbolico all'Isis (che di propaganda mediatica si è sempre alimentato), sottraendo ogni crisma di eroicità e martirio all'autoproclamato califfo. In secondo luogo, se è indubbiamente giusto esigere un resoconto fedele ai fatti, bisognerebbe allora ricordare che l'amministrazione Obama non abbia mai fornito alla stampa foto del cadavere di Osama Bin Laden, ucciso da un'operazione americana in Pakistan nel 2011, sostenendo che una loro diffusione avrebbe aizzato il sentimento antiamericano in Medio Oriente. Una scelta politica, dunque. Come quella di Trump.