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2019-12-21
Il mercato dei clandestini deceduti. Le ’ndrine facevano i soldi con i loculi
Getty Images
I migranti fruttano euro anche da morti. E a fiutare il business è stata, ancora una volta, la 'ndrangheta. Nell'inchiesta ribattezzata Rinascita, che l'altro giorno ha dato una dura sberla alle cosche di Vibo Valentia, con ripercussioni sulla politica regionale che si ipotizza intrecciata con la massoneria, i pm della Procura antimafia di Catanzaro hanno svelato logiche agghiaccianti dietro alla realizzazione dei centri d'accoglienza per immigrati. Dopo aver speculato sull'ospitalità, sui 35 euro a testa, come svelò la precedente indagine coordinata dal procuratore Nicola Gratteri sul Cara di Crotone, i picciotti delle cosche calabresi ora si sono buttati sul mercato dei loculi e delle cappelle cimiteriali, truccando le gare d'appalto. Ma anche sulle sepolture, sostiene la Procura, «di immigrati clandestini». E, come al solito, negli intrighi tra malaffare, malavita e immigrazione, c'è finita dentro fino al collo una Onlus. L'associazione Sacra famiglia, governata e presieduta da Orazio Lo Bianco, detto U' Tignusu, il tignoso, che per gli investigatori è appartenente all'omonima consorteria. Tramite un altro indagato, Rosario Pugliese, conosciuto negli ambienti della mala con il nome di Saro Cassarola, uno con la Santa (carica di altissimo rango nella 'ndrangheta), che viene indicato nei documenti investigativi come socio occulto di Lo Bianco nella sua impresa individuale e nella Paradiso Srl. Un nome evocativo per una impresa di pompe funebri.
Lo Bianco è accusato di aver turbato la gara d'appalto per i servizi di sepoltura di 16 salme di migranti: in concorso, tra gli altri, con un pubblico ufficiale del Comune di Vibo Valentia. Impressionanti le intercettazioni raccolte nelle informative degli inquirenti. Due coinvolti discutono animatamente del macabro mercimonio: «No, no: sedici! Sedici morti! Sedici morti erano! Otto te li fai tu e otto me li faccio io! Invece, Manuele, fai una cosa: compra tutte le cose tu, e dividiamo le spese. Io stesso ho comprato le casse, io stesso gli ho pagato...». In un'altra circostanza gli indagati si spartiscono 18 salme arrivate con un viaggio della morte: «Cinque li do a te...», dice tale Orazio, cui replica Leonardo: «Cinque me ne dai… su 18 cinque me ne dai?». E l'altro: «Eh, che cazzo vuoi...». Leonardo è stizzito: «E chi li fa gli altri?». La risposta dà l'idea del commercio immondo ma organizzato in atto: «Non credo che ce li danno tutti a noi...».
I magistrati sono partiti dai trucchetti per trasformare i cadaveri dei clandestini in euro e hanno riassunto in un capo d'imputazione la scoperta, sostenendo che gli indagati «turbavano la gara d'appalto indetta dal Comune di Vibo Valentia per la prestazione dei servizi funerari e di sepoltura di 16 salme di migranti. In particolare, Orazio Lo Bianco, sfruttando la forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza alla locale di 'ndrangheta di Vibo Valentia, impediva a un imprenditore funerario proveniente da Pizzo (Comune vicino a Vibo, ndr) la partecipazione alla gara». L'affare era cosa loro. Segno che attorno alle sepolture, pagate dal Comune, c'è da guadagnare.
E come in tutte le storie di mafia che si rispettino, c'è un collaboratore di giustizia che ha svelato come avveniva lo squallido mercato: un basista della 'ndrangheta, avvalendosi della complicità di uno dei capi custode cimiteriali di Vibo Valentia, chiamato «il becchino», «gestiva le cappelle e i loculi, organizzando un vero e proprio mercato delle stesse». I magistrati, per vederci chiaro, hanno delegato alcuni accertamenti ai carabinieri. E si è scoperto che tramite un'impresa di edilizia artigiana, segnalata dai militari dell'Arma, le persone indagate «ristrutturavano le cappelle e i loculi di defunti di cui non ci sono più familiari superstiti, seppellendo nelle fosse comuni i resti delle ossa, e rivendendo le cappelle al prezzo di 50.000 o 60.000 euro».
Dai loculi assegnati alle salme degli immigrati sbarcati nel porto di Vibo Marina fuoriusciva però cattivo odore, a causa dei lavori di sigillatura eseguiti alla buona. Un aspetto segnalato anche dai cittadini. La sorpresa è saltata fuori durante le riesumazioni: un immigrato della Sierra Leone, deceduto dopo un ricovero in ospedale, non era stato seppellito nel loculo assegnato. E lo stesso era accaduto con il cadavere di una donna incinta, deceduta prima dello sbarco. Uno degli immigrati era stato addirittura seppellito solo con l'involucro di zinco, ovvero senza bara. E, così, dalla tomba fuoriuscivano odori nauseanti. Anche qui le carte riportano intercettazioni repellenti, con gli indagati che si interrogano su come arginare il problema del fetore, in grado di attirare attenzioni sgradite.
Ma questo inquietante capitolo dell'inchiesta non è l'unico dedicato al business calabrese sui migranti. Uno degli indagati eccellenti finito nella rete di Gratteri è Luigi Incarnato, segretario del Psi calabrese, nonché commissario della Sorical, ente a capitale misto pubblico privato che in Calabria gestisce la fornitura idrica, finito ai domiciliari. Leggendo l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Barbarà Saccà si scopre che alla base del provvedimento restrittivo, anche per lui, ci sono questioni legate ai migranti: «Luigi Incarnato, candidato del Partito democratico, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, per ottenere, a proprio vantaggio, il voto elettorale, offriva a Pietro Giamborino e Pino Cuomo (che accettavano l'accordo) la propria disponibilità a favorire (...) la realizzazione, nel Comune di Paola, di un centro di accoglienza straordinario per migranti richiedenti asilo (...)». La mala, insomma, avrebbe orientato i voti che controllava in cambio di un incontro con il sindaco di Paola Roberto Perrotta. Lì la cosca voleva trasformare l'hotel Alahambra, una struttura piazzata davanti al santuario della città di Sant'Antonio, in un centro d'accoglienza temporaneo.
Il sindaco, dopo aver dato la disponibilità a diventare partner del progetto, ha però spiegato che c'era un ostacolo: il Comune aveva già aderito al progetto Sprar e i tempi per candidare una ulteriore struttura erano scaduti. Ma per capire fino in fondo ciò che si è mosso attorno al grande affare dell'accoglienza, è necessario approfondire anche la figura di Giamborino, ex consigliere regionale del Pd (anche lui ai domiciliari). Il politico è considerato come «formalmente affiliato» alla 'ndrangheta. E davanti a lui, alla fine, il sindaco dice: «Fate le vostre brave richieste e partiamo».
La truffa dell’olio bio per lucrare sui profughi
Sulla carta, grazie alla documentazione truccata, l'olio che producevano era extravergine da agricoltura biologica. Ma, hanno scoperto gli investigatori della Guardia di finanza, era ottenuto usando, durante la fase di produzione, agenti chimici. I proventi della frode alimentare venivano poi reimpiegati per un secondo progetto: acquistare immobili all'asta fallimentare per una casa di cura di lusso e per sostenere un centro di accoglienza per migranti sulle colline dell'entroterra cosentino: a Cleto, 1.400 abitanti, proprio di fronte alle isole Eolie.
Franco La Rupa, ex consigliere della regione Calabria del partito di Clemente Mastella (Udeur) ed ex sindaco di Amantea, in provincia di Cosenza, è stato arrestato insieme al figlio Antonio dalla Guardia di Finanza di Cosenza a conclusione di un'indagine coordinata dalla Procura di Paola. I due sono indagati per i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode nell'esercizio del commercio, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, calunnia e tentata estorsione. «Tramite attestazioni mendaci e occultamento delle fatture di acquisto dei prodotti chimici non ammessi che venivano sistematicamente utilizzati nei campi», sostiene l'accusa, «traevano in inganno l'organismo certificatore del ministero delle Politiche agricole e forestali, ottenendo da quest'ultimo il rilascio dell'attestato di operatore agrobiologico». Grazie a quel certificato potevano immettere sul mercato il falso olio biologico, traendone un profitto, hanno stimato i magistrati della Procura di Paola, di 150.000 euro. Oltre che percepire specifici contributi dall'Unione europea e dalla Regione Calabria per un ammontare di circa 114.000 euro. Gli investigatori ritengono di aver accertato che i due abbiano commercializzato nella loro azienda agricola la bellezza di 41.860 chili di olio. I guadagni, secondo l'accusa «ottenuti con una serie di operazioni finanziarie abilmente concepite per nasconderne la provenienza», sono stati poi reimpiegati per l'acquisto di un complesso immobiliare nel comune di Serra d'Aiello, in provincia di Cosenza, attraverso un'asta fallimentare. Lì era stata messa su una lussuosa casa di cura, già sequestrata al 50 per cento nell'ambito di una precedente inchiesta. Le date dei movimenti bancari hanno insospettito gli investigatori. I fondi incamerati dall'azienda agricola nel luglio del 2016 (per una consistente partita di olio venduta a un distributore calabrese) sarebbero quindi stati usati ad agosto per partecipare alla compravendita dell'immobile. L'ipotesi di autoriciclaggio scatta quindi proprio perché «i pagamenti relativi all'operazione commerciale apparivano», sottolinea il gip, «strettamente collegati all'acquisto del compendio immobiliare».
Un bonifico da 10.000 euro, invece, era stato disposto sui conti dell'Associazione Il Sorriso, colpita da una interdittiva antimafia. La causale: «Apporto alla zia». Beneficenza, secondo La Rupa. Ma gli investigatori hanno scoperto che a guidare l'associazione, c'era sua sorella Maria Pia La Rupa. L'indagato, scrivono gli investigatori, «è solito gestire abilmente i propri affari, attribuendo in maniera fittizia la titolarità di imprese e conti correnti bancari ai propri familiari, che utilizza come paravento per le proprie attività». E tra queste c'era il tentativo dell'associazione il Sorriso di stipulare un contratto di erogazione di servizi da erogare a un Centro di accoglienza straordinaria per immigrati, coincidenza, nello stesso comune della provincia di Cosenza in cui si trova l'azienda agricola oggetto dell'inchiesta delle Fiamme gialle. Nel provvedimento del prefetto che mise ko l'associazione, acquisito dal gip e riportato nell'ordinanza d'arresto, si legge della possibilità «di situazioni che evidenziano l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionale le scelte e gli indirizzi» dell'associazione, a causa proprio della riconducibilità a Franco La Rupa.
A lui il prefetto assegnava «la reale regia direzionale» del centro, che, si legge nel documento, «è ragionevole desumere sia stata mascherata a causa dei gravi pregiudizi penali e del livello di compromissione con la criminalità organizzata». La Rupa non compariva, insomma, «per non pregiudicare i rapporti dell'associazione con la pubblica amministrazione, assicurandosi però la presenza di soggetti suoi fiduciari e, soprattutto, dei propri stretti familiari». Tutte le operazioni dai conti correnti, poi, sono riconducibili proprio a lui. Il gip, quindi, a questo punto, non ha più dubbi: le operazioni bancarie avevano un solo scopo, «ostacolare l'individuazione di qualsiasi collegamento tra l'origine del profitto illecito scaturente dalla cessione del falso olio biologico». Nelle carte è finita anche una visita di cortesia a casa di un maresciallo della finanza prima di pasqua. Il sottufficiale ha scritto tutto in una annotazione inviata in Procura e ai suoi superiori: «Franco La Rupa e sua nipote si sono presentati portandomi quattro polli, una bottiglia di grappa, una pastiera e una cassetta di frutta fresca». Così pensava, forse, di farla franca.
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Nelle carte dell'inchiesta di Nicola Gratteri l'osceno mercimonio. I clan, in combutta con becchini, tecnici comunali e una Onlus, truccavano le gare per le sepolture e utilizzavano i corpi dei migranti per occupare le cappelle.Un ex consigliere regionale cosentino spacciava come naturale il prodotto di olive coltivate con pesticidi. I soldi ricavati da vendita e incentivi Ue li investiva in attività in mano a dei prestanome. Tra queste, un'associazione che doveva offrire servizi ai migranti.Lo speciale contiene due articoli.I migranti fruttano euro anche da morti. E a fiutare il business è stata, ancora una volta, la 'ndrangheta. Nell'inchiesta ribattezzata Rinascita, che l'altro giorno ha dato una dura sberla alle cosche di Vibo Valentia, con ripercussioni sulla politica regionale che si ipotizza intrecciata con la massoneria, i pm della Procura antimafia di Catanzaro hanno svelato logiche agghiaccianti dietro alla realizzazione dei centri d'accoglienza per immigrati. Dopo aver speculato sull'ospitalità, sui 35 euro a testa, come svelò la precedente indagine coordinata dal procuratore Nicola Gratteri sul Cara di Crotone, i picciotti delle cosche calabresi ora si sono buttati sul mercato dei loculi e delle cappelle cimiteriali, truccando le gare d'appalto. Ma anche sulle sepolture, sostiene la Procura, «di immigrati clandestini». E, come al solito, negli intrighi tra malaffare, malavita e immigrazione, c'è finita dentro fino al collo una Onlus. L'associazione Sacra famiglia, governata e presieduta da Orazio Lo Bianco, detto U' Tignusu, il tignoso, che per gli investigatori è appartenente all'omonima consorteria. Tramite un altro indagato, Rosario Pugliese, conosciuto negli ambienti della mala con il nome di Saro Cassarola, uno con la Santa (carica di altissimo rango nella 'ndrangheta), che viene indicato nei documenti investigativi come socio occulto di Lo Bianco nella sua impresa individuale e nella Paradiso Srl. Un nome evocativo per una impresa di pompe funebri.Lo Bianco è accusato di aver turbato la gara d'appalto per i servizi di sepoltura di 16 salme di migranti: in concorso, tra gli altri, con un pubblico ufficiale del Comune di Vibo Valentia. Impressionanti le intercettazioni raccolte nelle informative degli inquirenti. Due coinvolti discutono animatamente del macabro mercimonio: «No, no: sedici! Sedici morti! Sedici morti erano! Otto te li fai tu e otto me li faccio io! Invece, Manuele, fai una cosa: compra tutte le cose tu, e dividiamo le spese. Io stesso ho comprato le casse, io stesso gli ho pagato...». In un'altra circostanza gli indagati si spartiscono 18 salme arrivate con un viaggio della morte: «Cinque li do a te...», dice tale Orazio, cui replica Leonardo: «Cinque me ne dai… su 18 cinque me ne dai?». E l'altro: «Eh, che cazzo vuoi...». Leonardo è stizzito: «E chi li fa gli altri?». La risposta dà l'idea del commercio immondo ma organizzato in atto: «Non credo che ce li danno tutti a noi...».I magistrati sono partiti dai trucchetti per trasformare i cadaveri dei clandestini in euro e hanno riassunto in un capo d'imputazione la scoperta, sostenendo che gli indagati «turbavano la gara d'appalto indetta dal Comune di Vibo Valentia per la prestazione dei servizi funerari e di sepoltura di 16 salme di migranti. In particolare, Orazio Lo Bianco, sfruttando la forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza alla locale di 'ndrangheta di Vibo Valentia, impediva a un imprenditore funerario proveniente da Pizzo (Comune vicino a Vibo, ndr) la partecipazione alla gara». L'affare era cosa loro. Segno che attorno alle sepolture, pagate dal Comune, c'è da guadagnare.E come in tutte le storie di mafia che si rispettino, c'è un collaboratore di giustizia che ha svelato come avveniva lo squallido mercato: un basista della 'ndrangheta, avvalendosi della complicità di uno dei capi custode cimiteriali di Vibo Valentia, chiamato «il becchino», «gestiva le cappelle e i loculi, organizzando un vero e proprio mercato delle stesse». I magistrati, per vederci chiaro, hanno delegato alcuni accertamenti ai carabinieri. E si è scoperto che tramite un'impresa di edilizia artigiana, segnalata dai militari dell'Arma, le persone indagate «ristrutturavano le cappelle e i loculi di defunti di cui non ci sono più familiari superstiti, seppellendo nelle fosse comuni i resti delle ossa, e rivendendo le cappelle al prezzo di 50.000 o 60.000 euro».Dai loculi assegnati alle salme degli immigrati sbarcati nel porto di Vibo Marina fuoriusciva però cattivo odore, a causa dei lavori di sigillatura eseguiti alla buona. Un aspetto segnalato anche dai cittadini. La sorpresa è saltata fuori durante le riesumazioni: un immigrato della Sierra Leone, deceduto dopo un ricovero in ospedale, non era stato seppellito nel loculo assegnato. E lo stesso era accaduto con il cadavere di una donna incinta, deceduta prima dello sbarco. Uno degli immigrati era stato addirittura seppellito solo con l'involucro di zinco, ovvero senza bara. E, così, dalla tomba fuoriuscivano odori nauseanti. Anche qui le carte riportano intercettazioni repellenti, con gli indagati che si interrogano su come arginare il problema del fetore, in grado di attirare attenzioni sgradite. Ma questo inquietante capitolo dell'inchiesta non è l'unico dedicato al business calabrese sui migranti. Uno degli indagati eccellenti finito nella rete di Gratteri è Luigi Incarnato, segretario del Psi calabrese, nonché commissario della Sorical, ente a capitale misto pubblico privato che in Calabria gestisce la fornitura idrica, finito ai domiciliari. Leggendo l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Barbarà Saccà si scopre che alla base del provvedimento restrittivo, anche per lui, ci sono questioni legate ai migranti: «Luigi Incarnato, candidato del Partito democratico, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, per ottenere, a proprio vantaggio, il voto elettorale, offriva a Pietro Giamborino e Pino Cuomo (che accettavano l'accordo) la propria disponibilità a favorire (...) la realizzazione, nel Comune di Paola, di un centro di accoglienza straordinario per migranti richiedenti asilo (...)». La mala, insomma, avrebbe orientato i voti che controllava in cambio di un incontro con il sindaco di Paola Roberto Perrotta. Lì la cosca voleva trasformare l'hotel Alahambra, una struttura piazzata davanti al santuario della città di Sant'Antonio, in un centro d'accoglienza temporaneo.Il sindaco, dopo aver dato la disponibilità a diventare partner del progetto, ha però spiegato che c'era un ostacolo: il Comune aveva già aderito al progetto Sprar e i tempi per candidare una ulteriore struttura erano scaduti. Ma per capire fino in fondo ciò che si è mosso attorno al grande affare dell'accoglienza, è necessario approfondire anche la figura di Giamborino, ex consigliere regionale del Pd (anche lui ai domiciliari). Il politico è considerato come «formalmente affiliato» alla 'ndrangheta. 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I proventi della frode alimentare venivano poi reimpiegati per un secondo progetto: acquistare immobili all'asta fallimentare per una casa di cura di lusso e per sostenere un centro di accoglienza per migranti sulle colline dell'entroterra cosentino: a Cleto, 1.400 abitanti, proprio di fronte alle isole Eolie. Franco La Rupa, ex consigliere della regione Calabria del partito di Clemente Mastella (Udeur) ed ex sindaco di Amantea, in provincia di Cosenza, è stato arrestato insieme al figlio Antonio dalla Guardia di Finanza di Cosenza a conclusione di un'indagine coordinata dalla Procura di Paola. I due sono indagati per i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode nell'esercizio del commercio, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, calunnia e tentata estorsione. «Tramite attestazioni mendaci e occultamento delle fatture di acquisto dei prodotti chimici non ammessi che venivano sistematicamente utilizzati nei campi», sostiene l'accusa, «traevano in inganno l'organismo certificatore del ministero delle Politiche agricole e forestali, ottenendo da quest'ultimo il rilascio dell'attestato di operatore agrobiologico». Grazie a quel certificato potevano immettere sul mercato il falso olio biologico, traendone un profitto, hanno stimato i magistrati della Procura di Paola, di 150.000 euro. Oltre che percepire specifici contributi dall'Unione europea e dalla Regione Calabria per un ammontare di circa 114.000 euro. Gli investigatori ritengono di aver accertato che i due abbiano commercializzato nella loro azienda agricola la bellezza di 41.860 chili di olio. I guadagni, secondo l'accusa «ottenuti con una serie di operazioni finanziarie abilmente concepite per nasconderne la provenienza», sono stati poi reimpiegati per l'acquisto di un complesso immobiliare nel comune di Serra d'Aiello, in provincia di Cosenza, attraverso un'asta fallimentare. Lì era stata messa su una lussuosa casa di cura, già sequestrata al 50 per cento nell'ambito di una precedente inchiesta. Le date dei movimenti bancari hanno insospettito gli investigatori. I fondi incamerati dall'azienda agricola nel luglio del 2016 (per una consistente partita di olio venduta a un distributore calabrese) sarebbero quindi stati usati ad agosto per partecipare alla compravendita dell'immobile. L'ipotesi di autoriciclaggio scatta quindi proprio perché «i pagamenti relativi all'operazione commerciale apparivano», sottolinea il gip, «strettamente collegati all'acquisto del compendio immobiliare». Un bonifico da 10.000 euro, invece, era stato disposto sui conti dell'Associazione Il Sorriso, colpita da una interdittiva antimafia. La causale: «Apporto alla zia». Beneficenza, secondo La Rupa. Ma gli investigatori hanno scoperto che a guidare l'associazione, c'era sua sorella Maria Pia La Rupa. L'indagato, scrivono gli investigatori, «è solito gestire abilmente i propri affari, attribuendo in maniera fittizia la titolarità di imprese e conti correnti bancari ai propri familiari, che utilizza come paravento per le proprie attività». E tra queste c'era il tentativo dell'associazione il Sorriso di stipulare un contratto di erogazione di servizi da erogare a un Centro di accoglienza straordinaria per immigrati, coincidenza, nello stesso comune della provincia di Cosenza in cui si trova l'azienda agricola oggetto dell'inchiesta delle Fiamme gialle. Nel provvedimento del prefetto che mise ko l'associazione, acquisito dal gip e riportato nell'ordinanza d'arresto, si legge della possibilità «di situazioni che evidenziano l'esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionale le scelte e gli indirizzi» dell'associazione, a causa proprio della riconducibilità a Franco La Rupa. A lui il prefetto assegnava «la reale regia direzionale» del centro, che, si legge nel documento, «è ragionevole desumere sia stata mascherata a causa dei gravi pregiudizi penali e del livello di compromissione con la criminalità organizzata». La Rupa non compariva, insomma, «per non pregiudicare i rapporti dell'associazione con la pubblica amministrazione, assicurandosi però la presenza di soggetti suoi fiduciari e, soprattutto, dei propri stretti familiari». Tutte le operazioni dai conti correnti, poi, sono riconducibili proprio a lui. Il gip, quindi, a questo punto, non ha più dubbi: le operazioni bancarie avevano un solo scopo, «ostacolare l'individuazione di qualsiasi collegamento tra l'origine del profitto illecito scaturente dalla cessione del falso olio biologico». Nelle carte è finita anche una visita di cortesia a casa di un maresciallo della finanza prima di pasqua. Il sottufficiale ha scritto tutto in una annotazione inviata in Procura e ai suoi superiori: «Franco La Rupa e sua nipote si sono presentati portandomi quattro polli, una bottiglia di grappa, una pastiera e una cassetta di frutta fresca». Così pensava, forse, di farla franca.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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